GIOLFINO, Nicola
Nato a Verona nel 1476, dall'intagliatore Nicolò e da Tommasina, è registrato nel 1490 - con il nome di Nicola e non di Nicolò - nell'anagrafe della contrada veronese di Falsorgo insieme con i genitori, la sorella Maddalena e lo zio Girolamo. L'ambito della sua prima formazione fu la bottega di famiglia, dove da tre generazioni si praticava l'arte dell'intaglio, secondo una tradizione di scultura artigiana e decorativa fedele ancora al linearismo gotico e quasi interamente insensibile alla lezione padovana di Donatello. Di certo più decisivo fu il successivo apprendistato, almeno a partire dal 1492, presso Liberale da Verona, con cui aveva già lavorato lo zio Antonio, che sullo scorcio del secolo era attivo nel grande cantiere della cappella Bonaveri in S. Anastasia. Da Liberale, la cui bottega in quegli anni era frequentata anche da Francesco Torbido e Giovan Francesco Caroto, il G. poté assimilare il gusto per la narrazione aneddotica, la forza espressiva dei colori, la sensibilità del miniatore per la linea decorativa; qui oltretutto maturò la vocazione per un anticlassicismo acceso e tormentato che segnerà radicalmente il suo personale linguaggio figurativo.
Morto il padre, all'età di venticinque anni il G. viene ricordato nell'anagrafe del 1501 con il nome di "pictor"; nell'estimo del 1502 è allibrato per 12 soldi, un reddito superiore non solo a quello degli scultori della sua famiglia, ma anche a quello dei pittori della vecchia generazione, come Liberale e Domenico Morone. La quotazione elevata denuncia un'attività artistica fin da subito fiorente e riconosciuta, che si scontra però con il vuoto di opere a lui attribuibili con certezza prima del 1515. M. Repetto Contaldo (1991-92) ha proposto di riconoscere gli esordi del G. negli affreschi sulla facciata di una casa in piazza delle Erbe a Verona, commissionati dopo il 1497 dal nobile Benassuto Montanari, dove, soprattutto nell'Ercole che uccide l'idra e nei tondi soprastanti con Teste di imperatori romani, si esplicita una cultura antiquaria tipicamente padana, che riallacciandosi alle invenzioni trecentesche di Altichiero si avvicina alla maniera all'antica di Giovan Maria Falconetto. Ai primi anni del Cinquecento si può datare anche il S. Rocco della Cassa di risparmio di Firenze, forse parte di una pala d'altare un tempo nella chiesa di S. Silvestro a Verona scomparsa nella prima metà del Settecento (Repetto Contaldo, 1992), e la decorazione ad affresco della facciata della casa dei Giolfino presso porta Borsari, dove l'enigmatico Trionfo di un condottiero è inserito in una cornice con fregio a grottesche, i cui motivi romaneggianti manifestano il debito verso l'arte di Andrea Mantegna (Id., 1987). In data imprecisata il G. sposò Ginevra Barbarossa, dalla quale ebbe sette figli: Camilla, Elisabetta e Lucrezia, Andrea, Nicolò iunior, che forse esercitò l'arte pittorica, Giovanni Paolo, Agostino.
Intorno al 1510 si può collocare la Madonna col Bambino (detta Madonna dei Gelsomini), conservata nel Museo di Castelvecchio a Verona.
Il G. adotta qui, forse per la prima volta, una particolare tipologia fisionomica che ritorna spesso nella sua opera: il volto tondo con lo sguardo perduto nel vuoto, le palpebre cascanti, il naso piccolo e camuso. La tela mostra evidenti segni dell'alunnato presso Liberale da Verona nell'uso delle lumeggiature che seguono l'andamento tortuoso delle stoffe e nel modello compositivo che, improntato alle novità leonardesche, si ritrova nei dipinti di analogo soggetto della Galleria nazionale d'arte antica di Palazzo Barberini di Roma (attualmente in deposito presso la presidenza del Consiglio dei ministri), degli Staatliche Museen di Berlino e in quello ora in collezione privata torinese (Lucco, 1991). Alle suggestioni liberalesche l'artista mescola però una tecnica tutta personale, forse eco della pratica scultorea della famiglia o primo riflesso dello studio dei lombardi, soprattutto di Giovanni Antonio Boltraffio e Andrea Solario, che lo porta a usare un segno profondo e ombre insistite sulle carnagioni scure, con un prevalere complessivo dei toni bruni, su cui si staccano pochi stridenti colori.
Nel 1515 il pittore si trasferì dalla contrada di Falsorgo a quella limitrofa di S. Michele ad Portas, dove rimase fino alla morte. A questo stesso anno risalgono le prime opere di sicura cronologia: due vivacissimi frammenti di predella, rappresentanti uno (datato) le Guarigioni miracolose di s. Nicola da Tolentino (Opava, Museo di Slesia), e l'altro la Morte di s. Filippo Benizi (Philadelphia Museum art, Johnson Collection: e proveniente dalla perduta pala di S. Filippo Benizi eseguita nel 1515 per la cappella di Arnolfo de Arcolis in S. Maria della Scala a Verona). In queste tavole il G., ignorando ogni idealizzazione classica, dipinge figure piccole e sproporzionate, vivacemente espressive, che richiamano il linguaggio dei ferraresi e del bolognese Amico Aspertini. Il 19 marzo 1516 il G. stipulò un contratto con Alvise Miniscalchi per la realizzazione di un'ancona nella chiesa domenicana di S. Anastasia a Verona, da realizzarsi entro il Natale dello stesso anno dietro il compenso di 57 ducati d'oro.
La pala fu terminata solo nell'ottobre del 1518 (Cuppini, 1966-67), anno che compare sul cartellino ai piedi della Vergine insieme con il monogramma dell'artista. L'opera rappresenta la Discesa dello Spirito Santo, immaginata sotto un porticato dotato di un curioso soffitto prospettico, entro il quale stanno la Vergine e gli apostoli in preghiera, figure gigantesche dai volti fortemente caratterizzati, che dimostrano come il G. ammirasse le tendenze più avanzate della grafica tedesca, in particolare di Hans Burgkmair e di Jörg Breu il Vecchio. L'espressionismo accentuato si unisce poi a un cromatismo intenso e dissonante, attraverso il quale l'artista esibisce tutta la sua dirompente estraneità alla contemporanea pittura veronese di Francesco Morone, Girolamo dai Libri e dei fratelli Caroto. La pala è corredata da una predella con la Predicazione di s. Vincenzo Ferrer, dove il G. riesce a raccontare la scena principale con una serie di annotazioni bizzarre e ad armonizzarle con lo sfondo paesistico.
Tra il 1515 e il 1520 si può datare la Pala dei Caliari (Madonna col Bambino in gloria, s. Matteo, s. Girolamo e il donatore) ora al Museo di Castelvecchio, ma proveniente dall'altare maggiore della soppressa chiesa veronese di S. Matteo Concortine. L'opera, purtroppo difficilmente leggibile perché danneggiata da un cattivo restauro di metà Ottocento, fu commissionata da Girolamo de' Caliari, rettore della chiesa dal 1496 al 1541, che si fece ritrarre en abysse tra i due santi protettori (Sgulmero, 1903). Vicine a questa pala sono anche la Madonna col Bambino dell'Accademia Carrara di Bergamo e i Tre angeli con i simboli della Passione dei Musei civici di Padova (Grossato).
Nel testamento del 1520 lo zio Giovanni nominava il G. erede di metà del suo patrimonio nel caso si fosse estinta la discendenza maschile del fratello Girolamo, eletto erede universale (Biadego, 1894). Tra il 1520 e il 1530 potrebbe essere stata dipinta la Pentecoste di S. Maria della Scala a Verona, una grande tela centinata che presenta la firma e la data 1486, entrambe false (Gerola). La tensione emotiva e il colore cupo della Pala Miniscalchi si stempera nelle opere del decennio successivo, forse in conseguenza del diffondersi in terra atesina del linguaggio raffaellesco, conosciuto attraverso le stampe di Marcantonio Raimondi, e in parte grazie all'imporsi dello stile di Paolo Morando detto il Cavazzola, al cui fianco il G. lavorò nella cappella dei terziari in S. Bernardino. Qui infatti, negli anni intorno al 1522 - data iscritta nella pala d'altare del Cavazzola, ora a Castelvecchio (Pala Sacco) - il G. eseguì un complesso ciclo decorativo dedicato alla vita di s. Francesco.
Gli affreschi ricoprono interamente le pareti della cappella e sono suddivisi in diciotto riquadri, ognuno dei quali è accompagnato da una didascalia in latino che ne descrive il contenuto, in genere tratto dalla Legenda maior di s. Bonaventura, e ne sottolinea il parallelismo con la vita di Cristo. Nella fascia centrale del soffitto a botte si trovano raffigurati il Cristo risorto, con intorno figure di Apostoli, profeti e angeli musicanti, in parte ridipinti; nella volta sopra l'altare stanno i busti di S. Francesco e dei suoi primi seguaci. Tutte le scene sono caratterizzate da una felice vena narrativa e illustrativa che, unita allo schiarimento della tavolozza, ha fatto ipotizzare un contatto diretto del G. con gli affreschi di Lorenzo Lotto a Trescore (Repetto Contaldo, 1963). Alla scorrevolezza del racconto contribuiscono gli sfondi che sembrano essere nati da un'osservazione diretta della natura: così nella scena con S. Francesco e il miracolo di Rieti il paesaggio è ripreso dalla campagna intorno a Verona, mentre veri e propri scorci della città atesina compaiono nella Guarigione dell'ossesso e nella Rinuncia agli averi.
L'osservazione diretta della natura si riscontra anche in opere di piccole dimensioni ambientate nell'arioso scenario di piazza dei Signori, per esempio nelle Storie di s. Barbara a Castelvecchio o nel Sacrificio di Muzio Scevola in collezione privata (Cuppini, 1981, p. 271). Quest'ultima opera, come anche il Deucalione e Pirra (Bloomington, Indiana University Museum of Art), fa parte della copiosa e discontinua produzione di tavole per fronti di cassoni e spalliere da letto, di difficile decifrazione sul piano dell'attribuzione e della datazione (Repetto Contaldo, 1976). Da ricordare, fra questi lavori, è senz'altro la tavola con Achille riconosciuto da Ulisse (Verona, Museo di Castelvecchio), dove il soggetto staziano è risolto con arguzia da favolista, mentre l'equilibrio della composizione è sostenuto da eleganti rapporti cromatici giocati sui toni del giallo, del rosso e del verde. La scioltezza del segno e la brillantezza del colore trovano un parallelo convincente negli affreschi frammentari con le Arti liberali conservati a Castelvecchio e databili verso il 1525.
Staccate nel 1873 da un locale del convento dei teatini a S. Nicolò, provengono probabilmente da una delle case limitrofe, inglobate nel convento al momento della sua costruzione, a partire dal 1627, le sette figure femminili segnano un ulteriore avvicinamento del G. alla moda armoniosa del raffaellismo. Particolarmente riuscita è la Musica, una fanciulla che canta accompagnandosi col salterio, mentre da un ramo di alloro pende una tabella sulla quale è scritta la prima frase del soprano nella frottola Ecco che per amarte, composta nel 1507 dal veronese Bartolomeo Tromboncino (Disertori).
Legata alle influenze del manierismo romano è anche la Madonna col Bambino in gloria, s. Giacomo, s. Giovanni e il donatore, già a Verona in S. Giacomo Ospitale e ora negli Staatliche Museen di Berlino; è sensibile invece alla lezione di Lotto il frammento di affresco con l'Annunciazione, strappato dalla torre della villa Serego a Pedemonte e trasferito nella villa ex Boccoli di S. Sofia di Pedemonte (Cuppini, 1981, pp. 468 s.). Nel 1524 l'artista eseguì due affreschi, entrambi perduti, nella chiesa dei servi di Maria a Vicenza (Boschini).
Tra il 1526 e il 1532 il G. realizzò per la vecchia chiesa parrocchiale di Bovolone una pala d'altare con la Madonna col Bambino in gloria, s. Biagio, s. Fermo e s. Rustico, alla quale è stilisticamente vicino il trittico con la Madonna col Bambino in trono, s. Prosdocimo e s. Rocco nella chiesa di S. Prosdocimo a Pradelle di Gazzo. Di questi anni va considerata anche la grande Pala Faella (Redentore in gloria tra s. Giorgio e s. Erasmo) in S. Anastasia a Verona: firmata col monogramma "NI"; fu realizzata su commissione di Bonsignorio Faella e, dopo la sua morte, del nipote Giorgio, il cui santo eponimo campeggia in posizione di pari dignità rispetto al santo titolare (Repetto Contaldo, 1992). Alla fine del terzo decennio il G. operò all'interno del duomo veronese per completare la decorazione della cappella Calcasola, dove tra il 1503 e il 1504 il suo maestro Liberale aveva eseguito la celebre Adorazione dei magi. Dipinse, a contorno di quest'opera, due tavole laterali - a sinistra i Ss. Rocco e Antonio, a destra i Ss. Bartolomeo e Sebastiano - e a coronamento una lunetta con la Deposizione, sagomata e mutilata nel corso della risistemazione settecentesca. L'intervento del G. va probabilmente datato al 1529, quando la Società del Ss. Sepolcro e di S. Rocco era subentrata alla famiglia Calcasola nella gestione dell'altare (Simeoni, pp. 87 s.). La datazione sembra essere confermata soprattutto dalle due tavole laterali, stilisticamente vicine agli affreschi della cappella del Sacramento in S. Maria in Organo (1532 circa). D'altra parte, l'introduzione accanto a s. Bartolomeo, eponimo del canonico fondatore della cappella, di tre santi apotropaici ben si addice agli anni 1526-29, quando, a seguito della guerra della Lega di Cognac, carestie e pestilenze flagellarono Verona sottoponendola a una grave crisi economica e demografica. In questo stesso giro di anni vanno collocati i Tre angeli musicanti (Vienna, Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste) e la Lucrezia (Oberlin, OH, Allen Memorial Art Museum).
Tra il giugno e l'ottobre del 1532 i registri del convento olivetano di S. Maria in Organo a Verona ricordano una serie di pagamenti in frumento e in denaro a favore del G., che si possono collegare agli affreschi della cappella del Sacramento, rappresentanti la Pasqua ebraica, la Raccolta della manna e l'Ascensione di Cristo (Rognini). In essi il G. mostra una calibrata sintassi compositiva, un disegno sicuro, unito a un colore dal timbro luminoso che si libera, al solito, nelle distese paesistiche degli sfondi.
Databile tra il 1530 e il 1543 è l'unico ritratto noto eseguito dal G.: si tratta del Conte Provolo Giusti (Verona, Istituto ospedaliere), rappresentato seduto, con il volto scavato e gli occhi allucinati, mentre alle sue spalle si apre una finestra sulla piazza dei Signori, in cui spicca il particolare del condannato appeso all'arco della tortura, forse un omaggio ai celebri impiccati pisanelliani di S. Anastasia. Tra il 1532 e il 1541 si deve collocare la tela dell'altare maggiore di S. Brizio a Lavagno con la Madonna col Bambino in gloria e santi, dove la tipologia della Vergine, seduta sulle nubi con le vesti allargate, denuncia la ripresa di un modello di Alessandro Bonvicini detto il Moretto.
Il 20 ag. 1538 il G. figura come procuratore della Compagnia della Madonna Grande nella chiesa di S. Eufemia, dove un tempo si trovava una sua pala con la Madonna col Bambino in gloria, s. Giuseppe, s. Antonio Abate, s. Paolo e s. Orsola, distrutta durante l'occupazione napoleonica (Dalla Rosa, p. 64).
Negli anni Quaranta l'estro fantastico della sua pittura trovò modo di esprimersi compiutamente nelle quattro storie bibliche sulla parete meridionale della navata di S. Maria in Organo, eseguite per conto dell'abate Cipriano Cipriani. Gli affreschi rappresentano il Diluvio universale, Adamo ed Eva nell'Eden, il Sacrificio di Isacco e Giuseppe venduto dai fratelli: essi mostrano la completa maturità del linguaggio del G., che sul fondo mai rinnegato del suo anticlassicismo andava innestando nuove componenti culturali, derivate da Girolamo Romanino, presente a Verona nel 1540 per eseguire le ante d'organo di S. Giorgio in Braida, e soprattutto dalla vitalità esuberante e grottesca di Giulio Romano, i cui disegni, con Storie della Vergine, furono dipinti a fresco nel coro del duomo di Verona da Francesco Torbido nel 1534.
Nel 1541 l'arciprete Bernardino da Lisca commissionò al G. una pala, oggi piuttosto alterata, col Cristo morto tra s. Bernardino, s. Giuseppe e il donatore per la chiesa di S. Pietro Incarnario a Verona (Simeoni, p. 231). Stilisticamente attigua è la tela con S. Giacomo e i pellegrini dell'Istituto ospedaliere di Verona, proveniente dalla chiesa di S. Giacomo alla Tomba, ma forse in origine nella chiesa di S. Giacomo di Galizia alla Valverde (Marini). Databili ai primi anni del quinto decennio sono anche l'ormai illeggibile affresco con la Trasfigurazione nel convento di S. Domenico e soprattutto la decorazione murale della facciata di casa Parma Lavazzola a Verona, dove le scene di soggetto astrologico ambientate in ampi paesaggi agresti stanno a poco a poco scomparendo (Schweikhart, p. 224).
Il 27 febbr. 1545 la Signoria veneta spedì ai rettori di Verona una supplica del G. nella quale egli, mettendo in luce le sue doti naturali di disegnatore di "terre e paesi", chiedeva di eseguire un rilievo di tutto il territorio veronese, reclamando come compenso 2 ducati al mese per sé e per la sua famiglia (Gerola, p. 44). Intorno al 1545 il G. partecipò con quattro tele alla decorazione delle pareti laterali della cappella della Croce (o cappella Avanzi) in S. Bernardino, che già accoglieva sulla parete d'altare l'imponente ciclo cristologico del Cavazzola e per la quale lavorarono anche i coetanei Francesco Morone e Giovan Francesco Caroto, il più giovane Antonio Badile e il quasi esordiente Paolo Caliari, detto il Veronese.
In queste tele il vecchio artista accentuò le forme caricaturali dei gesti e delle espressioni, si inventò corpi avviluppati in spirali di assurdo naturalismo (Cristo Risorto), non rinunciando a deformare la prospettiva con architetture fantasiose (Cristo davanti a Pilato). La modernità di questi brani pittorici, dove le suggestioni nordiche si fondono e si scontrano col manierismo giuliesco, si coglie appieno nell'Arresto di Cristo, collocato in origine accanto al perduto Miracolo della figlia di Giairo del Veronese, dove all'affollarsi concitato degli aguzzini in primo piano, tra cui se ne distingue uno vestito da lanzichenecco secondo il prototipo düreriano, e alla forzata espressività dei volti, stralunati o brutali come in Giovanni Antonio de Sacchis detto il Pordenone fa riscontro nella parte alta il sereno profilo di una città con le sue mura ondulate e turrite, appena toccate dalla luce dell'alba.
Il 14 luglio 1547 il G. dettò il proprio testamento, lasciando eredi universali i figli Andrea e Nicolò (Repetto Contaldo, 1964, p. 87).
Tra il 1550 e il 1555 il G. realizzò per volere di Giovanni dal Bene, arciprete della chiesa di S. Stefano a Verona, la Madonna col Bambino in gloria e santi, ora in deposito nel Museo di Castelvecchio. Prossima a quest'opera, e comunque frutto della sua ultima e un po' stanca maniera, è la tela di proprietà della Cassa di risparmio di Verona, raffigurante la Madonna col Bambino in gloria, s. Marta e s. Maddalena, ricordata in S. Maria della Scala a Verona (Dal Pozzo, 1718, p. 251).
Il 3 maggio 1555 il G. firmò un disegno che raffigurava la zona veronese della Valverde presso porta Nuova (Verona, Biblioteca civica). Quando l'11 giugno 1555 suo genero Girolamo De Sanctis presentò ai rettori di Terraferma un disegno del G., il documento riferisce che l'artista era già deceduto (Biadego, 1892, p. 167).
Plausibilmente, dunque, il G. morì a Verona entro questo torno di tempo.
Il G. fu anche un abile disegnatore, per quanto si può dedurre dai suoi rari fogli autografi, come il S. Giorgio e il drago della Staatliche Graphische Sammlung di Monaco, il S. Sebastiano del British Museum di Londra e le Sette arti liberali della Hallsborough Gallery di Londra (Mullaly). Documento unico e prezioso della produzione grafica del G. sono poi le sinopie degli affreschi della cappella dei terziari in S. Bernardino, che il restauro degli anni 1969-70 ha riportato alla luce sotto le scene di S. Giovanni a Patmos, della Rinuncia di s. Francesco agli averi e della Visita di s. Chiara a s. Francesco (Cuppini, 1970).
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