ARDOINO, Nicola
Nato a Diano Marina (Imperia) il 14 Ott, 1804 da lbarone Stefano e da Nicoletta dei conti di Carbonara, dopo aver studiato presso il Collegio reale di Genova e presso il Tolomei di Siena si iscrisse, nel 1822, all'università di Genova, ma nello stesso anno preferì abbandonare gli studi universitari e abbracciare invece la carriera militare, entrando il 17 luglio come cadetto nella brigata Savona. A Genova aveva stretto amicizia coi Ruffini; attraverso essi conobbe Mazzini, i cui ideali politici ben presto condivise. Passato nel 1827 come luotogenente alla brigata Pinerolo, si adoperò efficacemente, a diffondere tra ufficiali e truppa l'ideologia mazziniana: scoperta, nell'aprile 1833, la congiura della Giovine Italia - l'A. si era affiliato nel 1832 - riuscì a salvarsi fuggendo in Francia: come uno dei principali responsabili, venne infatti condannato a morte ignominiosa con sentenza 10 luglio 1833 (cfr. Gazzetta Piemontese, n. 80, 6 luglio 1833).
In Francia, l'A. ebbe incarico dal Mazzini di organizzare, a Marsiglia, insieme con F. Campanella e a G. Ruffini, una banda pronta a portarsi, al primo segno di insurrezione, sulla Riviera di Ponente e su Nizza. Riuscì a raccogliere circa cinquecento uomini: la sua attività venne però denunciata al governo piemontese da Luigi Caire, ex furiere maggiore del 10 reggimento Pinerolo, compromesso nel processo del '33 ed entrato quindi al servizio della polizia. L'A. lo aveva affiliato alla Giovine Italia e, ritrovandolo a Marsiglia, non aveva esitato ad accordargli la sua fiducia. Il governo piemontese chiese a quello francese di prendere provvedimenti contro l'A. ed i suoi compagni; informato dal capo della gendarmeria di Tolone, l'A. riuscì a sfuggire la cattura; il Caire, sospettato ma non scoperto, continuò la sua attività di informatore, e l'A. fu quindi costretto ad interrompere la sua azione e a rifugiarsi, al principio del '34, ad Aix.
Nella spedizione di Savoia, guidò la squadra di Les Echelles; fallito il tentativo rivoluzionario, si rifugiò a Grenoble, e di qui il 28 nov. 1834 insieme con il Fabrizi ed altri partì, nonostante il malcontento del Mazzini, alla volta del Portogallo e poi della Spagna. L'A. si arruolò insieme con altri esuli italiani, quali il Fanti e il Cialdini, nei "Cazadores de Oporto", guidati da Borso Carminati, e col grado di capitano partecipò dalla parte dei costituzionali alle varie campagne degli anni 1835-1843, distinguendosi fra l'altro a Cantavieja e Cherta, e meritando la croce di Isabella la Cattolica. Aveva sposato, nel 1842, Nicolosa Artola y Vialobos. Passò in seguito al reggimento "de la Luchada" e al comando di quello "de la Union"; ottenne, infine, col grado di capitano, il comando dei carabinieri per la provincia di Albacete.
Durante tutto il periodo dell'esilio spagnolo l'A. non interruppe i rapporti col Mazzini, né venne meno la sua adesione agli ideali della Giovine Italia. Più intimamente, però, egli fu legato al Fabrizi, coi quale svolse un Iungo e intenso lavoro di propaganda e organizzazione tra le file dei miliitari emigrati (primo documento è, probabilmente, la Dichiarazione datata Bienne in Svizzera, 6 sett. 1835, con la quale G. Antonini autorizza il Fabrizi e l'A. a trattare in suo nome per l'organizzazione di un Corpo Italico Europeo: cfr. Museo Centrale del Risorgimento, Carte Fabrizi, busta 512, n. 55,1). Si trovò perciò talvolta in disaccordo col Mazzini, contrario per ragioni organizzative e politiche a favorire i frequenti tentativi insurrezionali che il Fabrizi e l'A. stesso proponevano. Quando poi, nel '43 e nel '44, fallirono i moti delle Romagne e quello dei fratelli Bandiera, ancor maggiore fu la delusione dell'A. che ne gettò la colpa interamente sui comitati di Parigi e di Londra, al punto da affermare, in una lettera del '44, che per qualsiasi moto futuro desiderava non aver niente a che fare con quei comitati. Tuttavia, nel '47, si dichiarava pronto ad accorrere dove fosse bisogno, proponendo anche una rivoluzione nell'Italia meridionale appoggiata e finanziata da un gruppo di liberali spagnoli.
Scoppiata l'insurrezione di Milano, l'A. si presentò al governo provvisorio di Lombardia, che, con decreto 10 ag. 1848, gli concedeva il titolo di tenente colonnello, lo incaricava, con l'Olivieri, di organizzare la Divisione lombarda - di cui in seguito egli comandò la seconda brigata - e gli affidava infine la difesa di una sezione della città. Dopo l'armistizio, passò in Piemonte. ove comandò prima il 210, poi il 220 reggimento. Alla notizia dell'insurrezione di Genova, l'A. cercò di portarsi con tutta la divisione lombarda in difesa degli insorti; soffocato il movimento, si diresse verso la Toscana, per giungere negli Stati pontifici; a La Spezia, tuttavia, fu costretto a fermarsi a e sciogliere la divisione, poiché il governo toscano non autorizzò il passaggio delle truppe sul proprio territorio.
A Genova, dove si trasferì, l'A. comprò il giornale democratico L'Italia libera, e quando questo cessò, il 21 maggio 1851, fu redattore, e per un certo periodo direttore, del mazziniano L'Italia e Popolo. Nel 1851 si era offerto di contribuire per un terzo alle spese di pubblicazione de La guerra conbattuta del Pisacane: arrestato per aver partecipato a un banchetto di mazziniani a Sestri Ponente, il progetto sfumò, e l'A. rimase nella cittadella di Alessandria per un mese e fu privato della pensione e del diritto di portare l'uniforme. Liberato, accusò L'Italia e Popolo di non averlo abbastanza sostenuto; perciò, a partire dal 22 sett. 1851, dette vita al giornale La Libertà,c he mutò in seguito il nome in Libertà-Associazione.
Nel 1852, l'A. fondò a Genova con A. Mosto la Società di tiro, divenuta poi dei Carabinieri genovesi - i cui soci si distinsero nel 1859 tra i Cacciatori delle Alpi, sotto il comando di N. Bixio - e fu nominato consigliere comunale e capitano della guardia nazionale. Nel 1856 aderì al programma di conciliazione con la monarchia. Nel '59, scoppiata la seconda guerra di indipendenza, si arruolò tra i Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, che gli affidò il comando del 30 reggimento: l'A. si distinse nei combattimenti di Varese, San Fermo e Como. Nel '60 il Fanti, che comandava l'esercito della Lega dell'Italia centrale, lo richiamò in servizio nominandolo colonnello - e l'11 aprile generale - e affidandogli il comando del campo d'istruzione militare di Brescello. Nel '66 ebbe il comando delle truppe italiane che dovevano sorvegliare il confine pontificio; l'anno dopo fu collocato a riposo. Si ritirò dapprima a Firenze, occupandosi di problemi minerari, poi, rimasto vedovo, tornò a Diano Marina, dove morì il 4 marzo 1895
Fonti e Bibl.: Lettere dell'A. in Genova, Istituto Mazziniano. nn. 572, 573 e 1214; e in Roma, Museo Centrale del Risorgimento, busta 510 n. 10, s.12 nn. 7, 8, 9, 21 (a N. Fabrizi); Protocollo della Giovine Italia (Congrega di Francia), vedi Indici; Ediz. naz. degli Scritti .... di G. Mazzini, vedi Indici; L. de La Varenne, Les Chasseurs des Alpes et des Appennins, Firenze 1860, pp. 327. 432-444 e passim; F. Carandini, M. Fanti - Sua vita, Verona 1872, p. 89; C. Mariani, Le guerre per l'indipendenza italiana dal 1848 al 1870, Torino 1882, 1, 1, 589; III, pp. 401, 431. 471, 482, 494, 595-598, 6001 603, 604, 673; C. Tubino, Il generale barone N. A., in L'Imparziale, 7-8-9-10-13 Ott., 3 nov. 1895; C. Pagani, Uomini e cose in Milano dal marzo all'agosto 1848, Milano 1906, pp. 3~3, 385; G. Sforza, Il generale M. Fanti in Liguria, Roma-Milano1911, pp. 8 s., 16, 22 ss., 33, 66: 82, 90, 99, 100, 122, 129, 132 SS., 136, 154 ss., 157, 171, 194, 251; T. Palamenghi-Crispi, GI'Italiani nelle guerre di Spagna. Corrispondenza di Patrioti italiani, in il Risorgimento italiano, VII (1914), pp. 45-122 C 161-208 (Utilizza lettere dell'A., Bianco, Borso, Durando, Cialdini, Fanti ed altri, a N. Fabrizi, ora in Roma, Museo Centrale del Risorgimento); A. Luzio, Mazzini carbonaro, Torino 1920, pp. 467, 472; F. Ridella, La vita e i tempi di C. Cabella, Genova 1923, p. 29; A. Codignoja, I fratelli Ruffini, Genova 1925, pp. CVIII, CIX nota, CXIV, CXVI s.; Id., La giovinezza di G. Mazzini, Firenze 1926, pp. 169, 177-182-; Cremona Cozzolino, Maria Mazzini e il suo ultimo carteggio, Genova 1931, p. 118; C. Pisacane, Epistolario, Milano 1937, pp. 119 s 123, 156; L. Ravenna, Il giornalismo mazziniano, Firenze 1938, pp. 13, 117 s.; E. Michel, Esuli ital. in Corsica (1815-1861), Bologna 1938, p. 181; Id., Esuli politici ital. in Portogallo (Mis1861), in Relazioni fra l'Italia e il Portogallo, Roma 1940. pp. 452 S.; Id., Esuli ital. a Gibilterra (1821-1859), in Annali d. Scuola Normale Superiore s. 2, XIV (1946)., p. 33; F. Poggi, Dall'armistizio Salasco al proclama di Moncalieri, in L'emigrazione politica in Genova ed in Liguria dal 1848 al 1857, 11, Modena 1957, pp. 241 s.; M. Ciravegna, L'emigrazione politica a Genova dalla caduta della Repubblica romana al moto di Milano del 1853, ibid., III, p. 486; L. L. Barberis, Dal moto di Milano del febbraio 1853 all'impresa di Sapri, ibid., III, pp. 501 s.; F. Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana, Milano 1958, pp. 173, 307; S. MastelIone, G. Mazzini e la Giovine Italia, Pisa 1960, II. pp. 136, 179, 188-191, 196 S., 267 ss.