GRILLO-CATTANEO (Grillo-Cattaneo-Leonardi), Niccolò Leonardo
Nacque a Genova dal marchese Leonardo e da Caterina (o Maria Caterina) Grimaldi, il 26 ag. 1755. Era il secondo di cinque figli; alla morte del fratello maggiore Domenico (1829) assunse titoli e diritti derivanti dalla primogenitura. La casata era un ramo di quella dei Grillo, che da tempo aveva assunto anche il cognome dei Cattaneo per ereditarne l'asse patrimoniale restato senza discendenza maschile. Degli anni di formazione del G. è noto soltanto il periodo di studi (1768-72) nel reputatissimo collegio dei nobili di Parma, già dei gesuiti e poi passato agli scolopi. Vi era preside lo scolopio genovese Clemente Fasce, che probabilmente gli fu pure insegnante di retorica e filosofia, avviando un rapporto che doveva rinsaldarsi dopo il rientro di ambedue in patria. In collegio seguì pure gli insegnamenti di filosofia morale e latino dell'abate Ubaldo Cassina e le lezioni del poeta Angelo Mazza, che quasi certamente lo introdusse allo studio della lingua e della poesia inglesi: l'attenta apertura al mondo britannico e alla sua cultura risultò fondamentale nei successivi interessi culturali del Grillo-Cattaneo.
Tornato a Genova, egli frequentò i circoli aristocratici cittadini più aperti alle correnti illuministiche, stringendo legami con esponenti della generazione precedente (A. Lomellini, G. Doria, P.G. Pallavicini) e di quella più giovane e inquieta, come i fratelli G.C. e G. Serra. In particolare frequentò il cenacolo che si andava costituendo attorno a una delle figure dominanti della Genova tardo-settecentesca, il bibliofilo e collezionista d'arte e di oggetti naturali Giacomo Filippo Durazzo. I solidi rapporti instaurati con questa sorta di nume tutelare si estrinsecarono in direzioni che evidenziavano la sostanziale adesione del G. al modello culturale e agli interessi sottesi al progetto durazziano di rivisitazione degli storici liguri in chiave di recupero della "tradizione repubblicana" e di critica della degenerazione che aveva ridotto lo Stato genovese a monopolio d'una ristretta oligarchia.
Il G. fu coinvolto in diversi progetti approntati nella cerchia del Durazzo o da questi protetti e favoriti. Sostenne pure l'iniziativa editoriale della tipografia di Giacomo de' Rossi di Finale, facendo uscire da quei tipi per sua cura e traduzione il Tempio della fama di A. Pope (1779), dedicato a Clelia, figlia del Durazzo, e il Teatro ad uso delle fanciulle di Stéphanie-Félicité de Genlis (1780). Dal 1780 ad almeno il 1788 egli usò la fitta trama di contatti con librai italiani ed europei approntata dall'amico per ordinare edizioni rare per la biblioteca che si stava formando (incunaboli appartenuti a lui si conservano nelle biblioteche genovesi Berio e Universitaria) e, probabilmente ancora grazie ai buoni uffici durazziani, costituì una raccolta dei ricercatissimi libri usciti tra il 1717 e il 1756 dalla stamperia Volpi-Cominiana di Padova (Petrucciani, pp. 27, 135 s.).
Tali rapporti di amichevole "patronato" e di profonda comunanza culturale e politica vennero rinsaldati dal vivo legame instaurato con Ippolito Durazzo, fratello minore di Giacomo Filippo, insieme col quale il G. si diede a stendere le vicende degli eroi eponimi della storia genovese e ligure: riservò a sé la vita di Andrea Doria ("guerriero sommo, avveduto politico, liberator della patria"), mentre Ippolito delineò quella di Cristoforo Colombo. Una prima redazione dei due ritratti fu letta nel circolo che riuniva letterati e scienziati (con forti interessi per la botanica) nell'amena villetta Durazzo, poi Dinegro, dove nel 1803 D. Viviani avrebbe avviato un pregiato orto botanico. Furono poi pubblicati in un volume a Parma nel 1781, in una prestigiosa edizione di G. Bodoni (Elogi storici di Cristoforo Colombo e di Andrea D'Oria; l'elogio del G., alle pp. 217-337, fu poi ristampato nel t. III degli Elogj italiani curati da A. Rubbi). Nell'occasione i due giovani genovesi entrarono in stretta comunanza con S. Bettinelli, che li aiutò nell'opera di revisione e rielaborazione. Gli elogi dichiaravano una aperta funzione pedagogica "repubblicana": della riproposizione della vita di personaggi tanto esimi dovevano profittare "massimamente le Repubbliche a riscaldare coll'emulazione i petti de' lor cittadini", per far crescere in loro lo "spirito di libertà" (dedica, pp. n.n.).
Non a caso il G. fu incaricato di inaugurare ufficialmente i lavori dell'Accademia scientifico-letteraria ospitata nella sua breve esistenza (1782-86) in casa del Durazzo, luogo d'incontro dell'intellettualità riformatrice genovese aristocratica, professionale e borghese. Il 10 genn. 1782 vi lesse la prolusione Della utilità delle accademie, esaltando l'illuminato disegno del protettore e il suo mecenatismo e fissandone le coordinate ideologiche: scopo delle accademie era dirigere "gli uomini di ingegno" e le loro "diverse opinioni" al fine d'insegnare all'"uomo aristocratico" che "l'unione negli affari importanti è […] la base più sicura delle repubbliche". Insomma nell'accademia durazziana lo studio mirava a esaltare le "belle virtù cittadinesche" e a formare un rinnovato e consapevole "uomo di repubblica, il cittadino virtuoso". Il 12 giugno 1783 il G., in un'altra memoria, celebrò le leggi "costituzionali" della Repubblica di Genova dandone una lettura antioligarchica. Ancora dalla cerchia intellettuale durazziana gli venne l'incarico di curare l'incisione dei disegni uniti alle Lettere ligustiche (Bassano 1792) di Gaspare Oderico, capolavoro della storiografia erudita dell'ultimo Settecento genovese. Egli fece anche parte della colonia arcadica genovese, scrivendo versi apparsi in raccolte che celebravano l'incoronazione dei dogi genovesi, tra cui Giambattista Airoli (1783) e Giancarlo Pallavicini (1785). Questa attività, spesso d'occasione, fu comunque indice d'un interesse non estemporaneo per la poesia (suoi versi furono inclusi nei Versi scelti de' poeti liguri viventi nell'anno 1789, curati da A. Balbi, e nel veneziano Giornale poetico).
Il G. prese parte alle più importanti iniziative avviate dagli ambienti riformatori genovesi, come attestano il suo rapporto con la Società patria d'arti e manifatture (ne fu socio dal 1788 al 1790) e la partecipazione all'Accademia degli Industriosi che, animata da altri ex allievi del Fasce poi protagonisti delle vicende rivoluzionarie, mirava a sostituire allo stanco arcadismo temi illuministicamente più innovativi legati alla "pubblica utilità". Intervenendo in Grande e Minor Consiglio dopo lo scoppio della rivoluzione in Francia si schierò, seppur da posizioni non radicali, a fianco del minoritario schieramento neutralista e filofrancese. Per la conoscenza della lingua inglese fece parte, nel 1793, della deputazione che trattò con l'ammiraglio inglese G.K. Elphinstone visconte di Keith, mentre la neutralità genovese era fortemente minacciata e il porto ligure teatro di scontri tra navi francesi e inglesi.
Nel 1795 sposò Angela Montebruno, morta l'anno seguente poco dopo aver dato alla luce Caterina Maria, figlia amatissima dal G., poi andata in sposa al nobile savonese L. Gavotti. Egli visse le vicende rivoluzionarie e la proclamazione della Repubblica democratica con estremo distacco, indice di una sostanziale estraneità. Si consacrò agli studi e all'amata poesia, volgendo in versi parti della Bibbia, fatica alla quale dedicò i decenni seguenti: nel 1803 apparvero a Genova i due tomi del Saltero davidico novellamente trasportato in versi toscani, con dedica alla sorella Luigia Teresa, monaca francescana. Facendo tesoro del gran commento del benedettino Augustin Calmet, si propose di distruggere il pregiudizio "di voler dedicato solamente il più fino ingegno, e l'uso più nobile, e squisito dei modi, e della sintassi poetica, a delle inezie amorose, a dei capricci inutili affatto, e sempre corrompitori della mente, e del cuore, come se la vera, e sublime poesia non potesse unirsi colle immagini luminose, che la religione, e la fede ci forniscono" (Saltero davidico, pp. 5, 7).
Al G. fu invece meno estraneo il regime napoleonico, soprattutto per la sua caratterizzazione di ritorno all'ordine. Fu nominato amministratore dell'ospedale di Pammatone, distinguendosi per gli atti di carità e l'attenta gestione (conservò la carica per circa trent'anni). Nel 1805 entrò a far parte del Consiglio del Dipartimento di Genova e il 18 ottobre fu nominato rettore dell'Università (forse per l'appoggio dell'influente consigliere dell'imperatore, L. Corvetto). L'incarico fu però di breve durata: per insofferenza verso il processo di francesizzazione della Liguria e la riduzione del suo ruolo a mero esecutore di direttive, l'11 ag. 1808 lo lasciò. Nel 1811, per questa posizione critica verso l'amministrazione francese, un ordine imperiale lo tenne per cinque mesi a Parigi. Ottenuto il permesso di rientrare a Genova, per evitare contrasti col prefetto Bourdon si ritirò a Savona, presso il genero e la figlia.
Nel dicembre 1805 era stato chiamato a far parte dell'Istituto nazionale ligure; vi presentò la memoria Dell'uso e abuso de' dizionari scientifici che, pur tacendo sull'Encyclopédie, criticò le enciclopedie intese quali strumenti di diffusione e allargamento del sapere (utili per i saggi, "rovinose" per quanti "non hanno dottrina e pensano di acquistarla con questi libri"), dicendole anzi talora nocive alla morale, come nel caso del dizionario di P. Bayle.
Durante l'effimera restaurazione della Repubblica ligure guidata da G. Serra, il 1° ott. 1814 divenne presidente della deputazione agli Studi, che resse sino al 1821; in quella veste l'11 genn. 1815, dopo il passaggio della Liguria sotto il Piemonte, recò gli omaggi del corpo universitario al nuovo sovrano, Vittorio Emanuele I. I rapporti della polizia sabauda del 1815-16 lo indicavano come uomo di "mediocre talento" e condizione agiata (le sue rendite ammontavano a 40.000 lire annue), rimasto "partigiano dell'antica Repubblica" malgrado le onorificenze concessegli dal sovrano piemontese, inclusa la gran croce dell'Ordine mauriziano (Vitale, 1933, p. 442). Qualche frizione con i nuovi amministratori si manifestò in occasione della chiusura e dell'occupazione militare dell'ateneo genovese durante i moti studenteschi del 1821; ciò comunque non impedì al G. di dedicare la seconda edizione della Parafrasi poetica dei salmi davidici (Genova 1823) a Carlo Felice, come ringraziamento per gli onori "a larga mano" ricevuti. Vi sembrò approvare la politica di repressione dei moti carbonaro-risorgimentali attuata dal sovrano, "il migliore dei re", e ne esaltò il ruolo di "pacificatore": "al sol mostrarsi, sotto velo liberal-democratico [Carlo Felice] fe' tacere l'anarchia, e ricondusse l'ordine sociale, sotto questo bellissimo cielo, nido di ogni perfezione, fra le utili fatiche, e i buoni studi, e la pace" (pp. IV, VII s.).
Il G. trascorse gli anni successivi continuando la versificazione dei libri biblici: nel 1825 apparve la Parafrasi poetica dei cantici profetici, poi quella delle Lamentazioni (Treni di Geremia profeta parafrasi poetica, Genova 1828). Dopo una lunga malattia, morì a Genova il 22 luglio 1834 religiosissimamente, come aveva sempre vissuto. Secondo il suo desiderio, venne sepolto nella chiesa della Concezione officiata dai cappuccini.
Fonti e Bibl.: Genova, Biblioteca Durazzo, ms. 266 (B.VI.20, n. 15 e n. 25, cc. 186r ss. e 302r ss.); Ibid., Biblioteca Universitaria, Autografi (1 lettera); Ibid., Parrocchia di S. Torpete, Archivio storico, cass. XIV, c. 20, e cass. XV (Albero genealogico di Leonardo G.-C. 1600-1835); G. Gorani, Mémoires secrets et critiques des cours, des gouvernements, et des moeurs des principaux États de l'Italie, III, Paris 1793, p. 420; Memorie dell'Accademia imperiale delle scienze e belle lettere di Genova, II (1809), pp. XL-XLII; [G.B. Spotorno], Notizia della vita e delle opere del marchese N. G.-C., in Nuovo Giorn. ligustico di lettere scienze ed arti, III (1833), pp. 161-178 (ripreso in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, I, Venezia 1834, pp. 297-300, e in A. Bacicalupo, N. G.-C., in L. Grillo, Elogi di liguri illustri, III, Torino 1846, pp. 255-259); Necrologia, in Gazzetta di Genova, 26 luglio 1834, pp. n.n.; L. Isnardi - E. Celesia, Storia della Università di Genova continuata fino a' dì nostri, II, Genova 1867, pp. 249, 283, 335 s.; A. Neri, Saverio Bettinelli a Genova, in Giorn. ligustico di archeologia, storia e belle arti, VII-VIII (1881), pp. 398 s.; A. Codignola, La giovinezza di G. Mazzini, Firenze 1926, ad ind.; G. Serra, Memorie per la storia di Genova dagli ultimi anni del secolo XVIII alla fine dell'anno 1814, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LVIII (1930), ad ind.; V. Vitale, Onofrio Scassi e la vita genovese del suo tempo (1768-1836), ibid., LIX (1932), ad ind.; Id., Informazioni di polizia sull'ambiente ligure (1814-1816), ibid., LXI (1933), ad ind.; P. Nurra, La coalizione europea contro la Repubblica di Genova (1793-1796), ibid., LXII (1933), s.v.Cattaneo; R. Boudard, L'organisation de l'Université et de l'enseignement secondaire dans l'Académie impériale de Gênes entre 1805 et 1814, Paris 1962, s.v.Cattaneo; G. Guelfi Camajani, Il "Liber nobilitatis Genuensis" e il governo della Repubblica aristocratica fino all'anno 1797, Firenze 1965, p. 115; D. Puncuh, I manoscritti della raccolta Durazzo, Genova 1979, ad ind.; A. Petrucciani, Gli incunaboli della Biblioteca Durazzo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., XXVIII (1988), ad ind.; C. Paglieri, Agostino Pareto. Un genovese tra rivoluzione e restaurazione, Genova 1989, ad ind.; A. Beniscelli, Settecento letterario, in La letteratura ligure. La Repubblica aristocratica (1528-1797), II, Genova 1992, ad ind.; O. Raggio, Storia di una passione. Cultura aristocratica e collezionismo alla fine dell'ancien régime, Venezia 2000, ad indicem.