Uzzano, Niccolò da
Nacque a Firenze nel 1359, da una famiglia di banchieri del quartiere di Santo Spirito: il padre Giovanni fu il primo a venire eletto alla Signoria nel 1363. U. fu un autorevole esponente del regime oligarchico fiorentino. Il suo primo discorso pubblico di cui si abbia la trascrizione risale al 1387: da allora, U. ricoprì ripetutamente le maggiori cariche pubbliche fiorentine e rappresentò la città come ambasciatore in innumerevoli occasioni. Gradualmente, grazie alle proprie doti personali, alla sua esperienza e alla sua reputazione di equilibrio – più che grazie alla ricchezza (pure importante: venne accatastato nel 1427 fra gli uomini più ricchi della città; cfr. Brucker 1977, p. 278 nota 153) o alla famiglia d’origine – divenne un uomo che, secondo le fonti coeve, «habet magnum regnum in ipsam civitatem» (Kent 1975, p. 580). La data della morte (1431) è congetturale.
La storiografia più recente ha riconosciuto all’età cosiddetta albizzesca (→ Albizzi, Rinaldo) della storia di Firenze un’impressionante creatività in termini di istituzioni e di linguaggi politici. Erano, per Firenze, anni di crescita territoriale (Zorzi 2001) e di costruzione statuale (Tanzini 2012), cui facevano da contraltare all’interno un vivacissimo dibattito politico – incentrato sia sugli equilibri tra i gruppi di potere (Brucker 1977; Kent 1978), sia sulle basi finanziarie ed economiche dello sforzo fiorentino (Molho 1971) – e all’esterno una successione di conflitti catalizzati dal grande scontro con la Milano viscontea, che conobbe punte asperrime fra il 1389-92 e il 1399-1402, e fra il 1423 e il 1433 (Brucker 1977). In un contesto così articolato e complesso, U. seppe ritagliarsi un ruolo centrale grazie alla sua reputazione di uomo dotato di coraggio, saggezza, integrità e schiettezza, doti che lo rendevano prezioso tanto nel quotidiano maneggio politico, quanto nella creazione di un consenso generalizzato al regime tramite una costante e capillare opera di costruzione di rapporti personali di varia natura. La sua traiettoria politica non fu però senza ombre: nel 1414 i nomi di Gino Capponi, Rinaldo Gianfigliazzi e U. furono implicati nell’oscura vicenda di un complotto per assassinare Maso degli Albizzi. Lo stesso Maso mise a tacere le voci: il regime non poteva permettersi di «scandala inter cives semi[nare]» (Brucker 1977, p. 399). Dopo la morte di Maso, U. divenne sempre più l’elemento equilibratore del regime: prudente nelle iniziative belliche, si mosse sempre con l’intento di contenere il confronto interno ed esterno nei limiti di una concreta considerazione di vantaggi e rischi. Per questo, la sua scomparsa (dopo la morte di Maso nel 1417, di Gino Capponi nel 1421 e di Rinaldo Gianfigliazzi nel 1425) segna in qualche modo la fine di un’epoca, e come tale è sentita dai contemporanei e tramandata dai cronisti e dagli storici.
M. assorbe da Giovanni Cavalcanti – che a sua volta aveva probabilmente raccolto notizie e aneddoti personali dalla pubblica fama dell’uomo – questa immagine di U., e la usa e la trasforma in un ritratto – breve ma attento – nei Discorsi e in alcuni passi memorabili delle Istorie fiorentine.
Nei Discorsi (I xxxiii) è la prudenza di U. ad attrarre l’attenzione di Machiavelli. Allorché a Firenze il regime albizzesco iniziò ad avere paura di Cosimo de’ Medici e prese a ritenere «pericolosissimo» lasciarlo libero di agire come credeva, U., «il quale nelle cose civili era tenuto uomo espertissimo», pur non avendo egli stesso riconosciuto il pericolo nel suo presentarsi, impedì ai suoi concittadini di fare l’errore – ancora più pernicioso – di tentare di sbarazzarsene con la violenza. Non avere seguito questa politica dopo la sua morte fu, secondo M., la causa per cui alla fine Cosimo uscì vincitore dello scontro per l’egemonia a Firenze. Il ritratto di U. contiene qui tutti gli elementi costitutivi che ritroveremo nelle Istorie fiorentine: l’esperienza politica, la capacità di avvedersi degli errori, la sicurezza nel gestire il conflitto; infine, la percezione che la morte di U. segna per il partito albizzesco l’inizio della fine.
Se è vero che nelle Istorie fiorentine M. si serve in più di un’occasione degli antagonisti dei Medici per dare voce al proprio dissenso nei loro confronti, U. incarna – piuttosto che una passione politica di M. – uno stile politico che gli è congeniale, vale a dire la capacità di leggere la realtà del conflitto e di muoversi di conseguenza. U. appare per la prima volta all’apertura del libro IV (ii 1): Firenze si era retta tra il 1381 e il 1422 grazie all’azione politica di un gruppo di ‘cittadini di autorità’ e alla ‘virtù’ particolare di due di loro: «il principio suo [di Firenze] fu prima dalla virtù di ser Maso degli Albizzi, di poi da quella di Niccolò da Uzano sostenuto».
La seconda apparizione di U. ci riporta al ritratto dei Discorsi. In Ist. fior. IV iii 5, infatti, M. riconosce a U. di avere intuito la pericolosità di Giovanni de’ Medici, la cui crescente reputazione, se contrastata subito, si poteva controllare, ma, lasciata libera di svilupparsi e radicarsi, diveniva pericolosa. Il motivo è lo stesso del passo dei Discorsi (ma qui si tratta di Giovanni, e U. si avvede per tempo del pericolo) e l’esito è pure infelice: «non fu Niccolò dai suoi eguali udito, perché avevano invidia alla reputazione sua e desideravano avere compagni a batterlo».
U. sale definitivamente alla ribalta in occasione della celebre assemblea in Santo Stefano nel 1426 (Ist. fior. IV ix; G. Cavalcanti, Istorie fiorentine III ii). Rinaldo degli Albizzi fu il primo a parlare a favore di una stretta oligarchica: U. parlò subito dopo, lodando la posizione di Albizzi, ma suggerendo pacatamente che il partito di «rendere lo stato ai Grandi, e torre l’autorità alle arti minori» sarebbe risultato assai più efficace «sanza venire a una manifesta divisione della città» (torna il tema della discordia interna), cosa che sola si poteva ottenere guadagnandosi l’appoggio di Giovanni de’ Medici, la figura di riferimento del popolo minuto (Ist. fior. IV ix 6-7).
Il confronto personale con Rinaldo degli Albizzi, esempio concreto del confronto teoretico fra prudenza e audacia, equilibrio e arroganza, si trasforma rapidamente da dialogo in contrasto. U. si contrappone all’Albizzi in occasione del consiglio convocato per decidere l’impresa di Lucca nel 1429. Di questo consiglio cruciale M. ha sotto gli occhi la versione di Cavalcanti (Ist. fior. VI vi) e di Poggio Bracciolini (Historiae Florentini populi 6), che rielabora in modo del tutto originale. Se Albizzi si vuole il difensore dell’utile, e rafforza questo partito con il ricordo dei torti subiti dal signore di Lucca, Paolo Guinigi, U. ne smonta completamente l’argomentazione: «contro a questa opinione, Niccolò da Uzano disse che la città di Firenze non fece mai impresa più ingiusta, né più pericolosa, né che da quella dovessero nascere maggiori danni». U. dimostra come, nel liberare una città da un tiranno tramite la guerra, si rischi di presentare un conto troppo alto proprio alle prime vittime di costui, cioè i suoi concittadini: «ma poi che si viveva oggi in modo che del giusto e dello ingiusto non si aveva a tenere molto conto, voleva lasciare questa parte indietro e pensare solo all’utilità della città». Che cosa è l’utile, dunque? U. «credeva pertanto quelle cose potersi chiamare utili che non potevano recare facilmente danno: non sapeva adunque come alcuno poteva chiamare utile quella impresa dove i danni erano certi, e gli utili dubbi» (Ist. fior. IV xix 5-14). La costruzione della contrapposizione cruciale fra utilità e giustizia viene enfatizzata dalla ripresa a contrario dei termini del discorso di Albizzi, e si pone deliberatamente in contrasto con l’argomentazione tradizionale, echeggiata da Bracciolini, secondo la quale un uomo che abbia a cuore l’interesse dello Stato non può ignorare la giustizia (Richardson 1971, pp. 46-47).
L’ultima apparizione di U. rappresenta un altro passo verso il disincanto politico. Niccolò Barbadoro vuole convincere U. a muovere decisamente alla «rovina di Cosimo», successo al padre e di lui ben più pericoloso (G. Cavalcanti, Istorie fiorentine VII vi-viii; Ist. fior. IV xxvii 3-25). U. dà qui a M. l’occasione di costruire un vibrante appello contro le tentazioni tiranniche («io non veggo che acquisto ci facci dentro la nostra republica; perché se la si libera da Cosimo, la si fa serva a messer Rinaldo; e io, per me, sono uno di quelli che desidero che niuno cittadino di potenza e di autorità superi l’altro»). Al tempo stesso però U. – e M. con lui – è consapevole della vanità di questa aspirazione laddove contrasti concretamente con la realtà. Persino la giustizia non è più indispensabile se non è sorretta dalla volontà di tutti: vale meglio allora vivere modestamente «e quando travaglio alcuno nasca, vivendo neutrale, sarai a ciascuno grato: e così gioverai a te, e non nocerai alla tua patria».
Poiché U. era «il primo al quale non piacevano vie straordinarie», alla serrata dinamica politica fiorentina fu concesso ancora un poco di respiro: «ma seguita la pace [con Lucca] e con quella la morte di Niccolò da Uzano, rimase la città senza guerra e senza freno» (Ist. fior. IV xxviii 2).
Bibliografia: Fonti: G. Cavalcanti, Istorie fiorentine, a cura di F.L. Polidori, 2 voll., Firenze 1838-1839; G. Canestrini, Versi fatti da Niccolò da Uzzano, predicendo la mutazione dello stato, «Archivio storico italiano», I s., 4, 1843, pp. 297-300; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze dal 1399 al 1433, a cura di C. Guasti, 3 voll., Firenze 1867-1873.
Per gli studi critici si vedano: A. Dainelli, Niccolò da Uzzano nella vita politica dei suoi tempi, «Archivio storico italiano», VII s., 1932, 17, 1, pp. 35-86, e 2, pp. 185-216; A. Molho, Florentine public finances in the early Reanissance, 1400-1433, Cambridge (Mass.) 1971; B. Richardson, Notes on Machiavelli’s sources and his treatment of the rhetorical tradition, «Italian studies», 1971, 26, pp. 24-48; D.V. Kent, The Florentine Reggimento in the fifteenth century, «Renaissance quarterly», 1975, 28, pp. 575-638; G.A. Brucker, The civic world of early Renaissance Florence, Princeton (N.J.) 1977; D.V. Kent, The rise of the Medici. Faction in Florence, 1416-1434, Oxford 1978; A. Zorzi, La formazione e il governo del dominio territoriale fiorentino: pratiche, uffici, ‘costituzione materiale’, in Lo stato territoriale fiorentino (secoli XIV-XV). Ricerche, linguaggi, confronti, a cura di W.J. Connell, A. Zorzi, Pisa 2001, pp. 189-224; L. Tanzini, Statuti e legislazione a Firenze dal 1355 al 1415. Lo statuto cittadino del 1409, Firenze 2004; A.M. Cabrini, Machiavelli’s Florentine histories, in The Cambridge companion to Machiavelli, ed. J.M. Najemy, Cambridge 2010, pp. 128-43; L. Tanzini, Tuscan states: Florence and Siena, in The Italian Renaissance State, ed. A. Gamberini, I. Lazzarini, Cambridge 2012, pp. 90-111.