SANSEVERINO, Niccolò Berardino (spesso menzionato nelle fonti solo come Berardino). – Sesto principe di Bisignano, conte di Chiaromonte, d’Altomonte e di Tricarico, duca di San Marco e di Corigliano, nacque a Morano Calabro nel 1541 da Pietrantonio e da Irene (Erina)
Castriota Scanderbeg, figlia del duca di San Pietro in Galatina.
Il suo matrimonio con Isabella della Rovere Feltri, figlia del duca di Urbino Guidobaldo della Rovere II e di Vittoria Farnese (sorella del duca di Parma Ottavio), voluto dal papa Pio IV, ebbe luogo nel 1566 a Pesaro. Due anni dopo i coniugi raggiunsero la patria del principe, il Regno di Napoli. Molto presto scoppiarono tra di loro aspri dissidi mentre il conflitto coinvolgeva anche i rispettivi servitori. Uno dei motivi di lite riguardava come affrontare il grave dissesto finanziario del patrimonio ipotecato da enormi debiti, già segnalato al viceré dalla madre del principe. La vicenda di Sanseverino illustra l’importanza del controllo sovrano sulla vita personale dei baroni e sulla protezione accordata al ceto nobile in materia di beni, mettendo in risalto quale differenza esistesse tra le proprietà di diritto comune e i patrimoni feudali, sottratti alle normali leggi commerciali.
I Sanseverino ricercavano una soluzione privilegiata che permettesse di soddisfare i creditori senza alienare tutto il patrimonio, consistente in circa 60 terre feudali nella Calabria e Basilicata, nella gabella della seta calabrese, nei diritti sulla fiera di Senise, in zuccherifici e molte immunità fiscali sul ferro, i panni, le armi. Già dal 1572, il principe di Bisignano in realtà dovette sottostare al controllo del viceré e programmare l’ammortamento dei suoi debiti. Giuseppe Galasso (1978) ha fatto notare che la crisi del patrimonio Sanseverino di Bisignano non fu causata da una congiuntura economica generale, ma fu una vicenda personale. Il principe, che si meritò l’appellativo di «prodigo», continuò, forse ampliò, lo stile di vita sfarzoso dei suoi antenati. Non ebbe difficoltà a trovare denari a prestito ipotecando i suoi beni, e poté trascurare gli ostacoli posti dal viceré all’uso delle sue rendite.
Visse attorniato da una corte numerosissima – si dice di 300 persone – che viaggiava di frequente tra la Calabria e Napoli. Manteneva una piccola formazione musicale per la sua camera da letto. Dal 1574-75 il principe si dedicò con passione al teatro a Napoli e in Calabria, diffondendo l’innovazione dell’aggiunta di musica e ballo allo spettacolo. Nel 1577 fece allestire sette commedie per il carnevale di Napoli. Stipendiò tre maestri di danze per insegnare il ballo alla principessa sua moglie. A lei Fabrizio Caroso dedicò una danza, Pavaniglia balletto d’incerto in lode dell’Illust.ima et Ecc.ma Signora Principessa di Bisignano, del suo trattato Il ballerino (Venezia, Francesco Ziletti, 1581, parte seconda, pp. 37-39). Fu un mecenate per musicisti compositori come Sebastiano Melfio di Tursi e Bernardino Serafico di Nardò, per poeti come Torquato Tasso e altri meno noti, per il ballerino Geronimo Marocchino, per il filosofo Bernardino Telesio, per il famoso giocatore di scacchi Giovanni Leonardo di Bona, detto il Puttino. Amava in generale organizzare mascherate, giostre, esercizi cavallereschi. Gli si rimproverò anche di donare con eccessiva liberalità le preziose giumente delle sue famose razze di cavalli anzicché venderle. Tuttavia, tra il 1574 e il 1589, l’enorme incremento dei debiti constatati precedentemente fu piuttosto dovuto al girovagare, sempre accompagnato da una folta corte. Le sue peregrinazioni – a volte intraprese di nascosto dal viceré – lo portarono spesso a Roma, a Pesaro, a Milano e anche in Toscana, dove godette del favore del granduca Ferdinando I, padrino di suo figlio.
Nel 1574 il principe volle impedire alla moglie di circondarsi di servitori venuti dallo Stato di Urbino. Dal canto suo la principessa si sforzava di ottenere il licenziamento di certi uomini considerati le anime nere di Nicolò Berardino, o di allontanare dal principe la compagnia della sorella Vittoria e del suo sposo il duca di Termoli, Ferdinando di Capua. In questo conflitto, ciascuno degli sposi si raccomandava presso i parenti più prestigiosi, quali il duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere, fratello di Isabella, o il cardinale Alessandro Farnese suo zio. Costoro forse appoggiarono più il principe che lei. Diversi parenti, come don Lelio Orsini, si intromisero per conciliare la coppia. In effetti, il 21 aprile 1581 nacque il loro unico figlio, Francesco Teodoro. La notizia della gravidanza fu così soprendente che sarebbe stato mandato un commissario della Camera della Sommaria a sorvegliare il parto, temendo che si trattasse di una frode per garantire una successione. Il principe, inoltre, ebbe tre figli illegittimi – Pietrantonio, Erina, Carlo – dei quali si prese cura.
Tra i coniugi presto la pace svanì. Il principe godeva ancora dell’appoggio delle autorità. Per esempio, nel 1582 il viceré duca d’Ossuna lo autorizzò a impedire alla principessa di raggiungere Urbino con il figlio, minacciandola con la propria compagnia di soldati a cavallo. In quel torno di tempo Isabella della Rovere cominciò a frequentare i padri gesuiti, che la sostennero contro il marito. Se nel 1588 il Consiglio d’Italia rifiutò di mettere il principe sotto la curatela richiesta dalla moglie, nel 1589, dietro nuove pressioni, Filippo II prese la decisione di interdirlo e lo fece relegare a Gaeta.
Da allora, il suo patrimonio fu affidato successivamente a più curatori: Fabrizio di Sangro duca di Vietri (fino al 1599), don Giovanserio di Somma, poi un parente del principe don Lelio Orsini (1601-03), infine il conte di Conversano, Adriano Acquaviva (1603-06). Si avviò in tal modo il processo di smembramento per soddisfare i creditori. Nella primavera del 1595, il giovane Francesco Teodoro visitò suo padre a Gaeta, ma questo unico erede diretto del principe morì di vaiolo nel novembre dello stesso anno. Si scatenò allora tra la numerosa parentela di Sanseverino, ancora vivo, la lotta per la futura eredità. Dal 1597, Luigi Sanseverino, conte della Saponara, cercò di impedire le vendite dei beni feudali; più tardi avrebbe ereditato il titolo di principe di Bisignano. Malgrado numerose opposizioni giudiziarie, la vicenda si concluse con la dispersione dell’ingente fortuna, iniziata prima del decesso del principe con l’ordine del re di Spagna nel 1603, che acconsentì all’alienazione di molti feudi.
In precedenza, nel febbraio del 1596, Sanseverino era stato tradotto in castel Nuovo di Napoli con un limitato diritto di visita. Ebbe però la possibilità tra il 1597 e il 1598 di intrattenersi con Tommaso Campanella, il quale lo avrebbe confortato con le sue predizioni sulle mutazioni del Regno. A parte questo episodio, benché uno dei cospiratori facesse il suo nome, non appare verosimile il suo appoggio alla congiura di Campanella del 1599. Si trattò piuttosto di una millanteria per attirare nuove adesioni. Nel 1598, il principe fu autorizzato a uscire da castel Nuovo, a condizione di restare confinato nella sua villa di Chiaia. Invece, egli prese la fuga nel settembre del 1598, recandosi a Pesaro e poi a Ferrara, dove aspettò il passaggio della sposa di Filippo III di Spagna, Margherita d’Austria, e del duca di Urbino, volendo chieder loro di agire in suo favore. In effetti, nel gennaio del 1599, gli fu permesso di tornare libero a Napoli, cosa che fece nell’agosto, dopo avere nominato il re Filippo III erede universale dei suoi beni.
Da allora condusse una vita più tranquilla fino alla morte avvenuta a Napoli il 22 novembre 1606.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Sanseverino, Carte, 182; Corrispondenze, 212-213; Privilegi, 316, 330; Sommaria Dipendenza, II numerazione, 147.
F. Schinosi, Vita di Francesco Teodoro Sanseverino, Napoli 1712; C. Gatta, Memorie topografico-storiche della Provincia di Lucania compresa al presente nelle Provincie di Basilicata, e di Principato Citeriore. Colla serie genealogica dei Serenissimi Principi di Salerno, e di Bisignano dell’ill. Famiglia Sanseverino..., Napoli 1732; L. Amabile, Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi, la sua pazzia, I-III, Napoli 1882, I, pp. 92-96, 188, 213 s.; G. Galasso, Economia e società nella Calabria del ’500, Napoli 1967, pp. 5-8, 10-14, 21, 23, 48-50, 240, 243, 248, 264, 339, 345, 348, 379; Id., Aspetti e problemi della società feudale napoletana attraverso l’inventario dei beni dei principi di Bisignano (1594), in Studi in memoria di Federigo Melis, V, Napoli 1978, pp. 255-277; C. Corsi, Il principe ‘prodigo’ e le arti. Musica e spettacolo a Napoli nel Regno nella seconda metà del Cinquecento dalle carte del principe di Bisignano, N. B. S., in Napoli nobilissima, 2011, vol. 68, 1-2, pp. 37-52.