BARABINO, Niccolò
Nacque a Sampierdarena il 13 giugno 1832 da una modesta famiglia di artigiani. Poiché dimostrava una forte propensione per il disegno, suo padre nel 1844 si decise ad iscriverlo all'Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, dove studiò per circa dodici anni pittura sotto la guida di Giuseppe Isola, artista che oscillava tra accademia e moderato romanticismo.
Una delle sue prime opere è l'ingenuo e scolastico gonfalone del S. Rosario del 1854 per la chiesa di S. Maria della Cella in Sampierdarena. Nient'affatto precoce, cominciò a dare prove delle sue capacità nel 1857, anno in cui decorò il sipario per il teatro G. Modena di Sampierdarena con l'Apoteosi dell'Ariosto in una rappresentazione di ottanta figure; nello stesso anno vinse il concorso dell'Accademia Ligustica per la pensione Marcello Durazzo, che lo obbligava a recarsi a studiare a Roma o a Firenze. Essendo già stato lungo tempo a Roma a studiare Michelangelo e Raffaello, egli scelse Firenze, dividendo la pensione col suo amico F. Semino. Ivi cominciò a frequentare il famoso caffè Michelangelo, dove poté conoscere i pittori storici in voga, i macchiaioli e il Morelli. Tra i primi lavori eseguiti a Firenze (1859), dove in seguito divenne presidente del Circolo degli Artisti, è la Consolatrix afflictorum per la cappella dell'ospedale di Savona, che fu esposto a Torino e gli procurò molte commissioni.
Riallacciandosi alla grande tradizione genovese, intorno al 1862-64, tornando di quando in quando in Liguria, si dedicò all'affresco, che pare sia stata la tecnica da lui preferita, nonostante i suoi propositi, espressi in seguito e non mantenuti, di abbandonarla. Tra i primi affreschi (1862) sono quelli nella chiesa di S. Giacomo di Corte a Santa Margherita Ligure e quelli di S. Maria della Cella a Sampierdarena, ai quali seguirono quelli del catino e del presbiterio della chiesa di Montallegro (1866-67) e della cappella del Rosario nella chiesa di S. Giacomo di Corte a Santa Margherita Ligure (1869), della chiesa di S. Maria Assunta a Camogli (1869-1870, con F. Semino: Adorazione dei Magi)e della chiesa dell'Assunta di Sestri Ponente, dove affrescò michelangioleschi profeti (1870-71).
Intanto, accanto alla pittura di soggetto sacro, nel 1865 aveva iniziato quella di soggetto storico con la Morte di Bonifacio VIII, quadro che fu molto criticato ed emigrò in Inghilterra (bozzetto, Roma, Gall. Naz. d'Arte Moderna). In questo filone storico della produzione del B. hanno grande importanza gli affreschi della palazzina Celesia in Genova (1874-75), dove raffigurò La Verità, Pier Capponi e Carlo VIII, Galilei al tribunale dell'Inquisizione e I Vespri siciliani (1874), composizione di ottanta figure che sostituì quella del Ferruccio,in precedenza ideata. Contemporaneamente ai lavori della palazzina Celesia, dipinse per la chiesa dell'Immacolata di Genova la Madonna del Rosario (1875), che, insieme alle tre repliche della Madonna dell'ulivo (per S. Maria della Cella, Sampierdarena; acquistato a Venezia, 1887, dalla regina Margherita; Genova, coll. priv.), divenuta "l'idolo pittorico" del gusto borghese e pietistico di fine secolo (Delogu), costituisce l'espressione più scadente della pittura sacra del Barabino. Nel 1876, sempre a Genova, cominciò a decorare, con tele applicate, palazzo Orsini con gli allegorici Trionfo d'amore e Trionfo della scienza,ai quali seguiranno Galileo in Arcetri, Volta, Dante e Matelda, Archimede e Colombo a Salamanca,terminato nel 1887. Quando il B. si accinse a dipingere il Galileo erano molti anni che non lavorava ad olio grandi tele ed era pieno di dubbi.
"Penso, egli scriveva alla pittrice Carlotta Popert sua amica, che se i molti anni consumati negli affreschi fossero stati consumati nella pittura ad olio, potrei forse pareggiare qualche buon artista e invece mi sono trovato a fronte di difficoltà che non conoscevo e che certo non ho saputo superare" (De Fonseca, pp. 45 s.).
Nonostante ciò, il Galileo ebbe uno dei quattro primi premi dell'Esposizione di Torino del 1880. Subito dopo l'Esposizione il B. andò a Parigi, da dove scriveva alla Popert: "la scuola francese mi pare stazionaria, non si vede spiegato un indirizzo nuovo" (De Fonseca, p. 75), dimostrando, alla pari di molti pittori italiani dell'epoca, di non comprendere la portata della rivoluzione operata dagli impressionisti che egli defini "coloro che la pretendono a progressisti".
Il suo giudizio conservatore sulla pittura francese appare ancor più evidente in un suo taccuino del 1880, anno del soggiorno parigino: "Manet. Capo degli impressionisti. Si presenta molto fresco di tinta, ma scorretto nell'insieme delle figure e sommamente trascurato"; "Meissonier. Il più bel pittore della scuola francese" (De Fonseca, p. 77).
Nel 1983, assieme alla Popert, andò in Spagna da dove tornò con una serie di schizzi dell'Alhambra (che voleva utilizzare per il Colombo a Salamanca),di copie da Velasquez e con la mente piena di Murillo, Ribera, Goya. Tuttavia la sua pittura non progredì gran che e nei soggetti storici rimase legata agli atteggiamenti teatrali dei personaggi ed al gusto degli sfondi scenografici, mentre i soggetti religiosi stridono per promiscuità di sacro e profano, di pose melodrammatiche e misticismo di maniera.
Nel 1884-85 tornò all'affresco, lavorando all'ospedale di S. Andrea in Genova. Sempre in questa città dipinse quattordici figure allegoriche nel palazzo Pignone (1885).
Di Morelli, che secondo il B. (De Fonseca, p. 75) era "sempre il più simpatico improntatore, il più forte colorista che vi sia in Italia e fuori", risentono, come altre opere sacre barabiniane, i cartoni per i mosaici della facciata del duomo di Firenze, eseguiti dal 1885 al 1887.
Gli affreschi allegorici nei saloni Galliera e Tollot di palazzo Tursi (Genova), eseguiti nel 1889-90, sono tra le sue ultime opere. Morì, infatti, a Firenze il 19 ott. 1891, lasciando incompiuta La morte di Carlo Emanuele I (commissionata da Umberto I ed ora a Genova, Gall. d'Arte Modema), opera che al ritorno da un viaggio in patria gli era parsa "una solenne porcheria", fatto che lo aveva "tanto accorato" (De Fonseca, p. 107), forse perché aveva compreso, proprio alla fine della sua vita quanto fosse arretrata la sua pittura.
Oggi, più che nella teatrale e fredda pittura ufficiale, che a torto lo rese famoso durante la vita, le sue migliori qualità sono reperibili nei bozzetti e in alcuni vivaci ritrattini, dove si rivela pittore fresco, spontaneo, genuino sia nella pennellata sia nell'impostazione luministica e cromatica. Un gruppo di opere del B. requisito allo scoppio della prima guerra mondiale a Carlotta Popert, perché tedesca, si trova oggi nella sede dell'Opera Nazionale Combattenti in Roma. Esso comprende disegni biaccati su carta grigia (per lo più studi per il Carlo Emanuele);un grande disegno accademico del 1860 (Donna velata);due bozzetti giovanili, forse del periodo di studi a Romani; una mezza figura di Cristoforo Colombo, studio per il Colombo a Salamanca e una Testa di giovane monaca, databili intorno al 1885; un ritratto d'ignoto, ovale, probabilmente precedente agli ultimi due, e infine il bozzetto per La morte di Carlo Emanuele I.
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