neuroestetica
s. f. Settore delle neuroscienze che studia le zone cerebrali deputate alla percezione estetica.
• Per Steven Pinker, psicologo cognitivista di Harvard, è tutto chiaro: «Si tratta di meccanismi adattativi per rendere possibile la cooperazione». E questa, di metamorfosi in metamorfosi, può sublimarsi in amore: osservando le interazioni dei neuroni, Semir Zeki, neurobiologo dello University College a Londra, si è convinto che l’elaborazione degli ideali ‒ lungo un percorso cangiante che si muove dalla creazione artistica fino ai sentimenti, appunto ‒ è l’inevitabile espressione del nostro modo di acquisire conoscenza, che può gestire enormi masse di dati solo attraverso la sintesi. Le neuroscienze, con lui, inaugurano l’era della neuroestetica e espandono il raggio della neuropsicologia. (Gabriele Beccaria, Stampa, 11 giugno 2008, Tuttoscienze, p. 1) • L’artista è un neurologo che, inconsapevolmente, studia il cervello. Di questo è convinto Semir Zeki, neuroscienziato che, nel 1999, ha coniato il termine «neuroestetica». Un termine in linea con la cosiddetta «neurocultura», cioè l’atteggiamento contemporaneo di ossessivo interesse nei confronti delle neuroscienze. (Anna Li Vigni, Sole 24 Ore, 15 marzo 2009, p. 32, Scienza e Filosofia) • A questo libro [«Outsider Art»] si può affiancare un saggio teorico sulla Psicologia dell’arte di Stefano Mastandrea che inquadrando le questioni della forma e della creatività alla luce della psicologia e della neuroestetica può servire per delineare meglio il confine fra un’arte che risponde a certe strutture basilari della mente umana e un’arte invece condizionata dalla malattia di quelle stesse strutture profonde. (Maurizio Cecchetti, Avvenire, 5 dicembre 2015, p. 16, Agorà).
- Composto dal confisso neuro- aggiunto al s. f. estetica.
- Già attestato nell’Unità del 7 ottobre 2002, p. 29, Orizzonti (Nanni Riccobono).