NETTUNO (Neptunus, etr. Nethuns)
Antica divinità italica di cui è difficile determinare gli attributi originarî anche per l'incertezza dell'etimologia connessa sia con nebula, nubes, νέϕος, onde se ne farebbe un dio delle tempeste, sia con un ipotetico *neptu, radice indicante il fuoco, per cui si risalirebbe ad un dio terrestre e ctonio. Comunque l'esistenza delle feste Neptunalia nel vecchio calendario romano assicura la presenza di N. nel pantheon locale (v. anche nethuns).
All'incertezza nel determinare i dominî del più antico N. - che è poi la medesima che presiede alle origini delle altre divinità italiche e che, oltre che nella lontananza del tempo, trova la sua ragione in una stessa indiscriminazione di attributi propria di quell'olimpo primitivo - succede ben presto la identificazione di N. con il Posidone greco entrato in Roma sia direttamente dalla Grecia sia, forse, per il tramite delle colonie dell'Italia meridionale e segnatamente Paestum e Taranto. Già nel primo lectisternium, decretato nel 399 a. C., l'associazione di N. con altre divinità greche sancisce l'avvenuta fusione. Non vi è ricordo di raffigurazioni latine di N.; quelle che provengono da suolo romano - e sono frequentissime - rappresentano tutte versioni del Posidone greco e derivano da prototipi ellenici ed ellenistici. A N. erano dedicati in Roma più santuarî. Ricorderemo un sacello e un'ara nel Circo Flaminio, ara che trasudò nel 206 a. C.; l'aedes costruita da C. Domizio Enobarbo presso il Circo Flaminio, ove era, a detta di Plinio, il famoso gruppo scopadeo del dio, accompagnato dal corteggio marino e del quale si è voluto riconoscere una replica in un'ara o base - forse la base stessa del gruppo - nota come l'Ara di Domizio Enobarbo (v.), rinvenuta a Roma (Palazzo Santacroce) ed emigrata poi, parte a Monaco e parte a Parigi: opera di ispirazione classicista, con una cronologia oscillante fra la fine del IlI e la prima metà del I sec. a. C., ove N.-Posidone ed Anfitrite avanzano sul carro guidato da un tritone, accompagnati dal corteggio delle divinità marine. C'era inoltre a Roma un tempio o portico di N. costruito da Agrippa nel 25 a. C., che bruciò nel grande incendio che devastò la capitale sotto Tito, nell'8o d. C. Si deve ad Adriano la ricostruzione di una basilica Neptuni, probabilmente nel Campo Marzio, ma di molto incerta identificazione.
Per l'iconografia di N. si rimanda, per la ragione suaccennata, alla voce posidone, limitandoci ad osservare che la sua immagine ricorre con grande frequenza nelle rappresentazioni arcaistiche di divinità, vestito di lunga clamide ed appoggiato al tridente, come nei vasi greci del VI sec. a. C. (ad esempio la base di Villa Albani, base triangolare con danzatrici al Laterano, rilievo al Vaticano, ecc.), o nella decorazione dei vasi e nella glittica, secondo uno schema iconografico derivato dai vasi del IV sec., e dell'ellenismo o dalla grande statuaria, e in special modo dalla grande statua bronzea di Lisippo: ad esempio vaso di marmo con N. fra due cavalli marini (Reinach, Rép. Rel., iii, 390), poculum con N. e Anfitrite del tesoro di Berthouville a Parigi (Cabinet des Médailles, J. Babelon, Guide, 351), cammeo con la disputa di Atena pure del Cabinet des Médailles (id., ibid., 92-95), ove le due figure sono state trasformate nel Medioevo in Adamo ed Eva; trono di N. a S. Vitale di Ravenna, rilievo ove è rappresentato il trono del dio, assente, fra conchiglie, tridente e putti e che forse poteva appartenere ad un tempio di N. di cui comunque è certa l'esistenza in Ravenna, ecc.; opere tutte di gusto aulico e classicheggiante. Ricorderemo ancora il N. rappresentato sul primo rocchio della colonna istoriata di Magonza, dedicata a Nerone nel 65 d. C. circa, opera romano-provinciale, ma fedele ad un gusto classicistico ed una serie numerosa di affreschi e mosaici (ad esempio mosaico da Costantina al Louvre con N. e Anfitrite nimbati e accompagnati da cavalli, eroti, ecc., opera di tarda compilazione romana attribuibile al III sec. d. C.); anche essi rivelano però una stretta aderenza all'iconografia del dio ellenico, aderenza qui giustificata anche dai motivi di culto che sempre hanno assoggettato le immagini di divinità ad una molto più controllata fantasia iconografica.
Bibl.: N. Turchi, in Enc. It., s. v.; St. Weinstock, in Pauly-Wissowa, XVI, 1935, cc. 2514-2535, s. v. Neptunus; F. Durrbach, in Dict. Ant., IV, p. 59-72, s. v. Neptunus; E. David, Neptune, recherches sur ce dieu, Parigi 1839; Cagnat-Chapot, Manuel d'arch. rom., Parigi 1916, I, p. 417; F. Castagnoli, Il problema dell'ara di Domizio Enobarbo, in Arti Figurative, I, 1945, pp. 181-196.