NEGOZIO giuridico
Diritto privato. - Gl'interessi e i rapporti che il diritto privato disciplina, esistono nella vita sociale indipendentemente dalla tutela giuridica; l'iniziativa privata è il congegno motore di ogni consapevole regolamento di essi, in quanto si esplica non solo nell'aspirare a dati scopi pratici, ma anche nel foggiarsi i mezzi corrispondenti, prima di qualsiasi intervento del diritto. Ora, mezzi di tal natura sono per eccellenza i negozî giuridici. Questi sogliono avere la loro genesi nella vita di relazione: sorgono e si sviluppano spontaneamente sotto la spinta dei bisogni, per adempiere svariate funzioni economico-sociali, fuori dall'ingerenza di ogni ordine giuridico. Sorgono e si sviluppano come atti con i quali i privati dispongono da sé, per l'avvenire, un regolamento d'interessi e rapporti lor proprî: come atti, cioè, di autonomia privata, diretti a dettare un regolamento, che dalla coscienza sociale è già considerato come impegnativo per le parti, prima ancora che gli atti stessi assurgano a negozî giuridici. Invero, l'inosservanza è accompagnata, nella vita sociale, da sanzioni più o meno energiche e sicure, così di carattere specifico (es.: misure di ritorsione e di autotutela) come di carattere generico (es.: perdita o diminuzione del credito sociale con conseguente impossibilità o difficoltà di concludere nuovi affari). Per il fatto di essere riconosciuti dal diritto, i negozî non cambiano la loro intima natura: solo, le sanzioni sociali sono in parte assorbite e sostituite, in parte fiancheggiate e rafforzate da una sanzione più energica e sicura: quella del diritto. La quale appare qualcosa di aggiunto e di logicamente posteriore: per essa l'autonomia privata si dimostra riconosciuta dal diritto e i negozî diventano negozî giuridici: strumenti che il diritto stesso mette a disposizione dei privati per dare vita e sviluppo a rapporti giuridici fra loro.
Il negozio giuridico e il diritto soggettivo privato stanno entrambi al servizio della libertà privata, ma con finalità essenzialmente diverse. Il diritto soggettivo ha una finalità statica, di conservazione e di tutela; il negozio giuridico, invece, ha una finalità dinamica, di sviluppo e di rinnovamento. Tanto il diritto soggettivo privato quanto il negozio giuridico sono dominati dal principio della libertà e della conseguente autoresponsabilità privata. Libere le parti di agire secondo l'apprezzamento del proprio vantaggio: con questo, peraltro: che le conseguenze impreviste, eventualmente onerose o dannose, di un uso malaccorto dell'iniziativa spiegata stanno a carico di esse sole. Anche il diritto soggettivo non è qualcosa che al privato venga assicurato per opera automatica di legge, ma qualcosa che, una volta acquisito, va conservato e difeso con sforzo sempre vigile contro la minaccia e l'attacco altrui.
D'altronde, se i privati sono padroni di perseguire, mercé la loro autonomia, gli scopi pratici meglio rispondenti ai loro interessi, l'ordine giuridico resta arbitro di valutare tali scopi alla stregua dell'utilità sociale. È ovvio, infatti, che il diritto non può prestare il suo appoggio all'autonomia privata per il conseguimento di qualunque scopo essa si proponga. Prima di rivestire il negozio della propria sanzione, l'ordine giuridico valuta la funzione pratica che ne caratterizza il tipo, e lo tratta in conseguenza. Le ipotesi possibili sono tre: 1. o che esso ne giudichi la funzione socialmente utile e degna di tutela: e allora prende il negozio sotto la sua protezione; 2. o che non la trovi degna o bisognosa di tutela: nel qual caso abbandona il negozio a sé stesso, lasciandolo sfornito di sanzione giuridica; 3. o che la trovi riprovevole: e allora combatte il negozio, rendendo sì giuridicamente rilevante il comportamento del privato, ma nel senso di provocare effetti giuridici contrarî allo scopo pratico perseguito. Allorché l'ordine giuridico non riveste il negozio della propria tutela, esiste un atto giuridicamente irrilevante (nella seconda ipotesi) o un atto giuridico illecito (nella terza ipotesi). Solamente nella prima ipotesi il negozio è vero negozio giuridico: il diritto, allora, vi ricollega effetti giuridici destinati ad assicurare l'adempimento della funzione utile che ne caratterizza il tipo, traducendola in atti con la più stretta aderenza possibile.
Il negozio giuridico, pertanto, può definirsi un atto di autonomia privata, cui il diritto ricollega effetti giuridici destinati ad attuare la funzione socialmente utile che ne caratterizza il tipo. Una definizione comune caratterizza il negozio come una manifestazione di volontà lecita: ma codesta qualifica formale non ne coglie l'essenza. La quale sta nell'autoregolamento d'interessi e rapporti privati: autoregolamento, che il privato deve non tanto volere quanto disporre, ossia attuare obbiettivamente. Col negozio il privato non si limita a dichiarare che vuole alcunché, ma dichiara senz'altro la cosa che vuole: e cioè un regolamento di proprî interessi e rapporti. Non si nega che normalmente il privato dichiari o faccia qualcosa di voluto; si nega soltanto che la volontà si trovi, nel negozio, in primo piano.
Solo la definizione proposta permette di stabilire un criterio differenziale soddisfacente fra il negozio giuridico e gli altri atti leciti di diversa natura. Carattere generale comune a tutti è la conformità degli effetti giuridici dell'atto alla coscienza che di solito lo accompagna e alla volontà che normalmente lo determina: sennonché nel negozio giuridico, appunto perché atto di autonomia, la coscienza e la volontà del privato prendono un atteggiamento ben più complesso che negli altri atti leciti. Lo scopo assume qui un rilievo assolutamente preminente e decisivo. Con l'intimazione o con la diffida, ad es., che il privato faccia a un altro privato in conflitto d'interessi con lui, egli manifesta sì, il proposito di tutelare il proprio diritto, o di farlo valere, o di prevenire un pregiudizio temuto; ma non prescrive ai proprî interessi una regola per l'avvenire, bensì mira solo a conservarli nello stato in cui si trovano o, tutt'al più, a trarre dal proprio diritto quelle conseguenze di fatto cui lo legittima la protezione giuridica già goduta. Qui il tenore dell'atto nulla dice circa la natura e la maniera delle sanzioni cui l'avversario sta per esporsi ove tenga un comportamento difforme da quello desiderato; perciò, qui, nella configurazione degli effetti, l'ordine giuridico ha una latitudine di valutazione e una quantità di soluzioni possibili ben maggiori di quelle di cui dispone di fronte al negozio: dove, invece, gli effetti debbono adeguarsi alla funzione pratica perseguita con la più stretta aderenza.
Se, dopo ciò, si analizza la fattispecie del negozio giuridico nei suoi elementi costitutivi, si trova che esso è: un atto, col quale il privato dispone un regolamento impegnativo di proprî interessi e rapporti informato a una funzione socialmente utile, che si dice causa del negozio. E tali momenti (atto, contenuto dell'atto, causa) possono considerarsi, ciascuno, sotto tre profili distinti, e cioè: 1. nella loro entità oggettiva; 2. nel loro riflesso soggettivo; 3. sotto l'aspetto politico-legislativo, ossia dal punto di vista dell'ordine giuridico.
1. Sotto il primo profilo: a) l'atto può essere dichiarazione, o comportamento puro e semplice. È propriamente dichiarazione, quando ha il valore di una manifestazione consapevolmente destinata a render noto ad altri il suo contenuto precettivo, sia essa, o meno, indirizzata a un destinatario determinato cui debba pervenire per poter spiegare efficacia giuridica (dichiarazione recettizia). Comportamento in senso stretto, senza valore di dichiarazione, è ogni esplicazione di autonomia la quale si presenti oggettivamente informata a una funzione pratica (causa), ma non esprima, bensì attui di fatto un regolamento di privati interessi, senza mirare a renderlo noto ad altri. Talvolta però il comportamento può assumere, di fronte ad altri (non importa se intenzionalmente o meno), significato di dichiarazione: e cioè quando palesi loro, indirettamente ma per illazione necessaria ed univoca, un atteggiamento della coscienza e della volontà il quale non si possa logicamente interpretare in altro senso che come indice di un regolamento impegnativo di certi interessi. Si ha allora un comportamento concludente (che viene detto comunemente manifestazione tacita di volontà).
b) Il contenuto dell'atto - cioè della dichiarazione o del comportamento - è l'elemento centrale e propriamente caratteristico del negozio. Esso ha carattere precettivo: enuncia od opera un regolamento, già socialmente impegnativo, d'interessi e rapporti proprî dell'autore. Qualunque possa essere il tenore letterale delle dichiarazioni onde consta il negozio, è sempre possibile sceverarne un contenuto precettivo. Vale a dire, è possibile, anzitutto, tradurre le dichiarazioni in una regola impegnativa disposta per l'avvenire e inoltre tradurre a sua volta questa regola in termini di diritto, ricavandone un precetto giuridico. Ciò, anche colà dove il contenuto precettivo delle dichiarazioni sia meno appariscente. Perché, in generale, quel che conta non è tanto il tenore delle parole, quanto la situazione obiettiva in cui esse vengono pronunziate o sottoscritte: vale a dire quel complesso di circostanze nel quale la dichiarazione s'inquadra come nella sua naturale cornice, e assume, secondo la valutazione della coscienza sociale, tutto il suo significato e rilievo.
c) Per quanto concerne, infine, la causa del negozio, è ovvio che il regolamento disposto dalle parti non sia fine a sé stesso, ma s'informi sempre a una funzione utile che, in quanto voluta, ne costituisce per esse lo scopo pratico. Per es. chi aliena o si obbliga non fa ciò per il puro piacere di alienare o di obbligarsi, ma per questo o quello scopo pratico; per attuare uno scambio di beni o di servizî, per far credito, per adempiere una precedente obbligazione, per transigere una lite, per fare un dono, per costituire una dote, ecc. In ogni negozio, analizzato nel suo contenuto, si distingue un regolamento d'interessi e rapporti e, compenetrata con esso (quando, com'è normale, non ne sia stata stralciata), una funzione pratica a esso immanente. A chi la consideri sotto l'aspetto sociale, facendo astrazione per un momento dalla sanzione del diritto, la causa del negozio appare propriamente come la funzione economico-sociale caratteristica del tipo di esso negozio. Invero, essa è diversa per ciascun tipo di negozio, mentre è uniforme, costante e invariabile in tutti i concreti negozî che appartengano al medesimo tipo. Così, per es., è diversa la funzione economico-sociale della vendita e della locazione (di cosa): che è, rispettivamente, lo scambio della piena signoria o del temporaneo godimento di una cosa contro un corrispettivo pecuniario (prezzo, fitto).
Cosi concepita, la funzione utile determina in modo univoco la struttura del negozio in cui si palesa, e s'identifica, in definitiva, col tipo del negozio stesso. Gli essentialia negotii del tipo sono anche elementi essenziali della funzione sua caratteristica, e la sintesi loro, come rappresenta il tipo del negozio, così ne rappresenta anche la funzione tipica. Del resto la causa non s'identifica con elementi singoli: p. es. con l'oggetto. Così nei contratti sinallagmatici essa non è questo o quello dei due oggetti considerati isolatamente, ma è il rapporto commutativo o associativo che si pone fra loro. Massime nei negozî patrimoniali la causa ha già alla stregua della coscienza sociale il valore di titolo giustificativo dell'acquisto e della perdita che il negozio è destinato a produrre. D'altronde la differenza fra causa e oggetto spiega come la prima possa essere illecita o inesistente per il diritto anche quando il secondo sia esistente e lecito.
2. A ciascuno dei tre momenti (atto, contenuto, causa) corrisponde, poi, un riflesso psicologico proprio. Ciascuno, cioè, va normalmente accompagnato da un particolare atteggiamento della coscienza e della volontà di chi compie il negozio: atteggiamento, che la coscienza sociale e, sulle sue orme, l'ordine giuridico prendono in considerazione, tanto da ritenere esclusa con la loro mancanza l'esistenza o la validità del negozio.
a) Riflesso soggettivo dell'atto è la volontà dell'atto stesso. Evidentemente questo, per essere tale, dev'esser voluto quale dichiarazione, o quale comportamento, socialmente rilevante. Il che però non significa che debba essere anche spontaneo: un atto psicologicamente forzato è pur sempre un atto riferibile alla volontà di chi lo compie: la coazione psicologica non esclude, ma presuppone la volontà.
b) Riflesso soggettivo del contenuto dell'atto è la coscienza di tale contenuto. Diciamo coscienza e non volontà: perché, se è normale che alla coscienza si accompagni anche la volontà del contenuto, tuttavia non è necessario, e neppure è rilevante socialmente, che la dichiarazione o la condotta esteriore sia anche sincera. Non occorre, cioè, che essa abbia dietro di sé e rispecchi in sé fedelmente una volontà effettiva. A quel modo che, di fronte ad altri, può valere una dichiarazione rappresentativa ancorché bugiarda, così vale anche una dichiarazione precettiva, quantunque insincera. L'insincerità - assuma essa la forma di riserva mentale, o di scherzo non palesato, o (verso i terzi) di simulazione - è affare interno del dichiarante e non infirma il vigore sociale e giuridico del negozio. Più particolarmente, bisogna che l'autore sia consapevole del significato oggettivo della emessa dichiarazione, o si renda conto del valore oggettivo del comportamento che tiene. Manca o è deficiente la coscienza, allorché il significato oggettivo dell'atto differisca e discordi dalla rappresentazione che se ne fa l'autore (errore ostativo) o la controparte in un negozio bilaterale (dissenso). Naturalmente, però, nei negozî del traffico, in cui preme garantire la sicurezza degli affidamenti dati, tale mancanza o deficienza può essere considerata irrilevante sempre che dipenda da un fatto imputabile alla parte stessa.
c) Riflesso soggettivo della causa del negozio è l'interesse alla sua attuazione nel caso concreto e, tutt'uno con esso, l'indirizzo della volontà alla funzione tipica del negozio, come a suo scopo. La determinazione causale della volontà, così intesa, sta alla volontà dell'atto come una volontà di secondo grado (volontà finale) sta alla volontà di primo grado per cui mezzo si attua (volontà-mezzo). Da nesso logico e psicologico fra l'una e l'altra volontà funge la coscienza del contenuto dell'atto. Invero, chi ha piena coscienza del contenuto di un atto che vuole e compie, vuole per ciò stesso, normalmente, anche lo scopo pratico di quest'atto. Di qui appare come non sia esatto contrapporre la causa del negozio alla volontà concependo quella esclusivamente quale momento oggettivo. In realtà la causa in tanto opera attraverso il congegno del negozio, in quanto costituisce l'interesse e la normale determinante della volontà privata. Certamente, nel prendere sotto la sua tutela l'autonomia privata, l'ordine giuridico ha riguardo solo alla funzione socialmente utile del negozio-tipo in sé e per sé considerata; e la natura generale di una funzione è cosa diversa dall'interesse che il singolo può avere alla sua attuazione nel caso concreto. Ma il punto è che senza questo concreto interesse la funzione non potrebbe normalmente esplicarsi, e la causa del negozio-tipo non opererebbe se dovesse rimanere fuori dalla volontà, se non diventasse momento integrante dello stesso processo volitivo, e cioè una (l'ultima) di quelle rappresentazioni intellettuali che interessano la volontà e la sollecitano a perseguire come suo scopo la funzione tipica del negozio: rappresentazioni, che in senso lato si chiamano motivi. Dal punto di vista psicologico, quindi, non vi è una differenza qualitativa fra la causa soggettivamente intesa (come determinazione causale) e i motivi meramente individuali: perché la causa diviene un motivo fra i motivi. Dal punto di vista sociale, peraltro, resta, fra l'una e gli altri, una differenza importante. Giacché i semplici motivi, appunto perché individuali, sono essenzialmente soggettivi e interni, variabili, molteplici, diversi e spesso anche contraddittorî: essi non si rivelano attraverso il tenore del negozio se non quando vengano in esso dedotti espressamente, sotto forma di patto, riserva, o condizione, o termine, o modo. E appunto perciò, sino a tanto che non vi vengano inseriti in tal forma, essi non sono suscettivi di una valutazione sociale e giuridica: restano quindi irrilevanti pel diritto. Al contrario, la causa si palesa attraverso la struttura stessa di ogni negozio causale.
D'altro canto, in pratica può accadere che la determinazione di volontà di chi compie il negozio non sia quella corrispondente alla funzione tipica di questo, ma un'altra, divergente da essa in modo più o meno sensibile. Motivi individuali di carattere anormale possono, nel negozio concreto, assumere tale rilievo da ricacciare nell'ombra e da fare addirittura dimenticare quella che è la sua funzione tipica. Si pensi, per tacere di altri casi, al negozio che le parti abbiano simulato, sia nell'intento di concluderne un altro, diverso (simulazione relativa), sia nell'intento di dar vita semplicemente all'ingannevole apparenza di un rapporto inesistente (simulazione assoluta). In tal caso l'autore dell'atto o non persegue seriamente scopi di autonomia privata, bensì d'altra natura, o, quando pure persegua scopi siffatti - come nella simulazione relativa - mira in realtà a un risultato pratico (p. es., donazione) diverso da quello caratteristico del tipo di negozio compiuto, quale risulta obiettivamente dal suo tenore (p. es., vendita). Si domanderà quale influenza spieghi sul valore del negozio concreto codesta discrepanza fra la funzione tipica del negozio e lo scopo effettivamente perseguito nel caso. Ma, come s'intende, la soluzione al riguardo varia dall'una all'altra società, dall'uno all'altro diritto positivo, secondo che il senso più o meno vivo dell'autoresponsabilità privata, induca, o meno, i consociati e la legge a mettere a carico della parte, in quanto consapevole della discrepanza di scopo, una dichiarazione che si presenti obbiettivamente seria nella valutazione sociale.
Più spesso accade che la determinazione causale della volontà non manchi, per essere indirizzata a uno scopo aberrante, ma sia viziata in alcuno dei suoi motivi da fatti che turbano il processo volitivo. Può turbarla l'errore sui motivi (errore-vizio) - sia spontaneo, sia provocato da raggiro - in quanto impedisca l'esatta conoscenza della concreta situazione di fatto sulla base della quale la volontà s'indirizza alla funzione pratica del negozio. Può turbarla il timore, in quanto influisca sulla libertà della stessa determinazione, ponendo per la conclusione del negozio un motivo che non dovrebbe operare (quello, cioè, di sfuggire al male minacciato).
Quanto al trattamento giuridico, si può far questione se a tali vizî della volontà debba, o meno, riconoscersi rilevanza. Ma anche qui la soluzione legislativa della questione dipende principalmente dal modo di concepire l'autonomia privata e la sua relazione coi motivi della determinazione causale, inoltre dal modo di configurare la funzione tipica dei varî negozî giuridici. Essa è, pertanto soggetta a variare dall'uno all'altro diritto positivo e - nell'ambito di uno stesso diritto positivo - dall'una all'altra categoria di negozî. Così, appunto, per i negozî inter vivos, del traffico, e in modo particolare per le dichiarazioni obbligatorie, non può valere, com'è ovvio (date appunto le esigenze del traffico), il medesimo criterio che vale per le disposizioni d'ultima volontà (mortis causa), nelle quali invece interessa proprio di dar valore al vero intendimento del disponente.
3. Dal punto di vista politico-legislativo, resta a dire in qual modo e in qual misura l'ordine giuridico possa, astrattamente parlando, intervenire a disciplinare l'atto di autonomia privata, allorché lo eleva a negozio giuridico.
a) Rispetto all'atto, l'intervento del diritto consiste soprattutto nel disciplinarne la forma, predeterminando tipi di atti il cui compimento sia idoneo a richiamare la sanzione del diritto. Codesti tipi sogliono più spesso essere assunti, previa opportuna scelta e revisione, dalla vita sociale, dove si trovano già praticati. In sostanza essi non sono che schemi di parole o di gesti predisposti come mezzo per esprimere un regolamento d'interessi e rapporti: mezzo adatto ad attirare su questo l'attenzione delle parti e a garantire così la serietà dell'atto attraverso l'esigenza di un rito. Si dicono formali quei negozî il cui tipo è caratterizzato da una forma solenne (scritta, verbale, o reale) che il diritto tassativamente determina ed esige per l'efficacia del regolamento con essi disposto. Del resto, la funzione che viene assegnata alla forma prefissa può essere varia.
b) Rispetto al contenuto dell'atto, l'intervento dell'ordine giuridico consiste specialmente nel determinare i presupposti del suo valore impegnativo e inoltre nel richiamare le parti all'onere che loro incombe (sotto il rischio della invalidità) di precisarne la formulazione. Tali presupposti sono: α) l'attitudine generica delle parti a porre in essere un negozio del tipo divisato, vale a dire, la loro capacità di agire, di disporre, o di obbligarsi in generale; β) la specifica competenza (legittimazione) o potestà dispositiva delle parti in ordine a quei concreti interessi e rapporti che si propongono di regolare: potestà, che comprende sia l'attitudine dell'oggetto a formare materia del regolamento divisato, sia la facoltà di disporre o, in genere, il potere di prescrivere una regola impegnativa in ordine ai fatti e agl'interessi contemplati nel negozio, sia la specifica capacità patrimoniale attiva e passiva: l'idoneità, cioè, delle parti ad essere soggetti attivo o passivo del concreto rapporto giuridico che il negozio dovrebbe costituire, o estinguere, o modificare.
c) Di fronte alla funzione tipica del negozio il diritto interviene sia controllandone la liceità sul terreno sociale, sia valutando l'opportunità di munire il negozio della propria sanzione. Può darsi, tuttavia, che l'ordine giuridico, anche qui in via di riconoscimento di qualche pratica o esigenza del commercio, consenta alle parti del negozio di tacere lo scopo pratico che di volta in volta ne determina per loro la conclusione, e renda idoneo nondimeno agli effetti giuridici il negozio formale dal cui contesto sia eliminata la menzione della causa. Ed ecco che allora, accanto ai negozî nella cui struttura la causa si rivela come elemento ineliminabile caratterizzandone il tipo (negozî causali), altri ne sorgono, la cui struttura, consistente sempre in forme tassativamente prefisse, non corrisponde in modo univoco a una funzione economica o sociale costante, né rispecchìa lo scopo pratico specifico cui il negozio può in concreto servire. Ne consegue che, a provocare gli effetti giuridici del negozio - che si dice astratto - è indifferente codesto scopo ed è sufficiente la forma: sicché lo scopo cui il negozio concreto s'informa diviene qui un'entità a sé stante, artificialmente distinta e stralciata dal suo contenuto. La differenza fra negozî causali e negozî astratti manifesta la sua pratica importanza in questo: che la causa del negozio ha nei primi una rilevanza diretta, nei secondi una rilevanza soltanto indiretta rispetto agli effetti giuridici: nel senso che la mancanza o il vizio della causa non ne impedisce il prodursi, ma solo il perdurare, sempre che la parte interessata vi reagisca. Che poi l'astrazione possa raggiungere un grado di rigore e d'intensità maggiore o minore, dipende da considerazioni d'opportunità che variano dall'uno all'altro diritto e possono anche variare dall'uno all'altro negozio.
d) L'intervento del diritto nella disciplina del negozio concerne, oltre la fattispecie, anche e soprattutto la configurazione degli effetti giuridici che vi si debbono ricollegare, e in particolare; il trattamento dei suoi vizî, la sua invalidità, l'apponibilità di limitazioni alla sua efficacia (condizione, termine, modo), la rappresentanza o altra forma d'interposizione di persona. Il criterio generale è che gli effetti giuridici sono destinati a realizzare la funzione economico-sociale tipica del negozio con la massima approssimazione possibile. La regola prescritta dalle parti ai proprî interessi e rapporti subisce, nel venire assunta dalla sfera dell'autonomia privata nella sfera dell'ordine giuridico, le modificazioni che questo stima opportune. La recezione ha, in certa misura, carattere trasformativo.
Delle classificazioni di negozî giuridici che non si sia già avuto occasione di dilucidare, vanno qui menzionate solo quelle che li distinguono, secondo il processo formativo, in bilaterali e unilaterali, e, secondo la causa, in mortis causa e inter vivos. Bilaterale (plurilaterale) si dice quel negozio che si svolge e si conclude fra due (più) soggetti (parti), in quanto alla dichiarazione o al comportamento dell'uno debba corrispondere una dichiarazione o un comportamento conforme da parte dell'altro che, così incontrandovisi, viene ad appropriarsi il contenuto dell'atto altrui e a farlo suo. Con prevalente riguardo all'effetto di dar vita o sviluppo a rapporti d'obbligazione, il negozio bilaterale suole designarsi come contratto. Unilaterale è, invece, il negozio che si esaurisce nella dichiarazione di una parte sola (p. es., istituzione d'erede o altra disposizione d'ultima volontà), oppure nel suo esclusivo comportamento (p. es., occupazione di res nullius). Inter vivos si dicono quei negozî la cui funzione tipica risponde alla pratica della vita nelle sue svariate esigenze, e in essa è destinata a svolgersi senza riguardo alla morte dei loro autori. Mortis causa, per contro, si dicono quei negozî la cui funzione risponde all'esigenza di regolare il destino del patrimonio o di singoli beni, o la condizione dei familiari superstiti, in previsione della morte dell'autore e in dipendenza da questa.
Diritto processuale. - Il concetto del negozio giuridico che si è enunciato, si può applicare anche nel campo del diritto processuale a taluni atti processuali di parte (v. atto: Atti processuali, V, p. 291 segg.). Con riguardo alle classificazioni ivi date, le domande di provvedimenti e, in connessione con esse e in subordinazione ad esse, le affermazioni e le produzioni di mezzi istruttorî possono qualificarsi come negozî processuali alla stregua di quel concetto, sia dal punto di vista del rapporto sostanziale, dedotto in giudizio sotto specie di ragione fatta valere, sia dal punto di vista del rapporto processuale cui dànno vita e contenuto. Dal punto di vista formale, esoterico al processo, la qualifica di negozio processuale si addice piuttosto alle dichiarazioni di volontà dispositive, in quanto sono veramente esplicazioni di una competenza precettiva, di un potere di disposizione che alla parte spetta, entro limiti ben circoscritti, circa i modi e le condizioni della tutela giurisdizionale. Tali la rinunzia ad eccezioni processuali o agli atti del giudizio, o all'impugnativa della sentenza, o alla ragione fatta valere (recesso dal merito della domanda proposta). Invece, per quanto concerne le valutazioni di verità (confessione, giuramento), la loro portata vincolativa si spiega non già come effetto di autonomia, ma come effetto di autoresponsabilità.
Quanto agli altri atti processuali, essi configurano attività di tutela del diritto: attività, le une, che consistono nell'adempimento di oneri processuali (attività di dimostrazione, di produzione, di comunicazione); attività, le altre, che costituiscono, almeno prevalentemente, l'esercizio di poteri d'iniziativa processuale corrispondenti alle varie successive situazioni della causa quali sono le istanze e le dichiarazioni di volontà comminatorie.
A differenza, però, dai negozî del diritto privato, i quali hanno ciascuno un'efficacia giuridica propria e a sé stante, gli atti processuali, anche quando assumono il carattere di negozî, non hanno per la loro normale destinazione - salvo taluni (come la rinunzia agli atti del giudizio e il componimento amichevole, che però è anche negozio di diritto sostanziale) - se non un'efficacia circoscritta alla sfera del processo e un'influenza, mediata o immediata, sul provvedimento giurisdizionale cui il processo mette capo. La volontà e la coscienza del dichiarante, e quindi anche i vizî relativi, non hanno in essi quel rilievo che hanno nei negozî di diritto privato. La dichiarazione sola è decisiva nel senso che giustifica l'illazione che ad essa corrisponda quell'atteggiamento soggettivo che essa oggettivamente esprime e fa palese. Il giudice resta gravato dell'obbligo di provvedere, e la controparte dell'onere di agire in conseguenza, a prescindere dall'intenzione che può averla determinata.
Diritto amministrativo. - Anche nel campo del diritto pubblico amministrativo si presenta applicabile a taluni provvedimenti il concetto del negozio giuridico, inteso quale atto di autonomia della pubblica amministrazione, con cui questa provvede a regolare rapporti dei quali è parte, e a cui il diritto ricollega effetti giuridici conformi alla sua funzione pratica tipica (causa). Gli atti amministrativi, intesi quali pronunce o dichiarazioni tipiche di soggetti della pubblica amministrazione, emesse nell'esercizio di una competenza amministrativa e concernenti casi individualmente determinati (cosiddetti atti amministrativi speciali), possono essere classificati con riguardo agli atteggiamenti della volontà o della coscienza in essi espressi, così nella loro natura psicologica, come in ordine alla valutazione legislativa fattane in un dato ordine giuridico. Secondo tale criterio gli atti amministrativi speciali possono distinguersi in: a) pronunce precettive (dichiarazioni di volontà); b) pronunce rappresentative (dichiarazioni di accertamento o di apprezzamento); c) pronunce optative (dichiarazioni di voto o desiderio). Le pronunce precettive (dichiarazioni di volontà), poi, si possono suddistinguere in α) pronunce costitutive, ossia innovative sullo stato di cose esistente, e β) pronunce conservative, o protettive, cioè destinate a far valere, realizzare, conservare o tutelare poteri o diritti preesistenti, senza produrre effetti innovativi sull'attuale stato di cose.
Queste ultime, anziché imporre nuovi vincoli ai loro destinatarî (amministrati), presuppongono in essi obblighi preesistenti, e non fanno che determinarne il contenuto (ordini nel rapporto di servizio, istruzioni, ingiunzioni di pagamento), o richiamarne l'osservanza o la sanzione (avvertimenti, diffide, opposizioni); ovvero, anziché conferire facoltà ai destinatarî, ne disciplinano e limitano l'esercizio (per es., prefiggendo termini); o ancora, anziché consentire prestazioni o pronunce positive da parte della pubblica amministrazione, esprimono ricusazioni o rifiuti. Esse non sono qualificabili come negozî giuridici più di quel che lo siano le intimazioni e le diffide nel campo del diritto privato, o le dichiarazioni comminatorie in quello del diritto processuale. Tanto meno, poi, sono così qualificabili le dichiarazioni rappresentative (di accertamento o di apprezzamento) e quelle optative (di desiderio). La qualifica di negozî (di diritto pubblico) è invece propria per le pronunce costitutive, sempre che concernano rapporti nei quali la pubblica amministrazione entri o si ponga come parte, sia pure di grado sopraordinato.
Secondo un criterio affine a quello che vale per i negozî di diritto privato, le pronunce costitutive si distinguono in unilaterali e convenzionali (queste ultime, in bilaterali e plurilaterali). Secondo un diverso criterio, applicabile del resto anche ai negozî del diritto privato, si distinguono in semplici, complesse e collettive. Si dicono complesse, se risultano dalla reciproca fusione di più dichiarazioni, di grado sia eguale sia ineguale, in quanto unificate in una sola. Si dicono collettive, ove risultino dalla riunione, senza fusione, di piu dichiarazioni parallele che rimangano distinte. Nell'ambito di queste due ultime categorie si sogliono distinguere dagli altri atti i cosiddetti accordi normativi, quegli accordi cioè, coi quali, più che assumere obblighi reciproci di fronte a una controparte (contratti), i partecipanti mirano a regolare con norme di diritto oggettivo una serie indefinita di rapporti possibili, astrattamente identificati. Da chi ammetta la figura dell'accordo normativo si fa questione se i contratti collettivi di lavoro che concludano fra loro due associazioni professionali (sindacati) legalmente riconosciute (e come tali facenti parte dell'ordinamento amministrativo) nell'esplicazione della propria autonomia, rientrino fra i contratti o non piuttosto fra gli accordi creativi di norme giuridiche in senso materiale (regolamentari).
In ordine poi all'adesione o alla rinunzia che un atto amministrativo esiga per la propria efficacia dal privato cui si riferisce (per es., la preposizione a un pubblico impiego, il trasferimento da un posto a un altro, il conferimento di una missione), è proponibile la questione se fra la pubblica amministrazione e il privato siano da ammettere contratti di diritto pubblico, o se la necessaria adesione o rinunzia da parte del privato non funga piuttosto da presupposto legale (condicio iuris), al quale è subordinata non l'esistenza o la validità, ma l'efficacia giuridica dell'atto amministrativo, per sua natura unilaterale. La seconda soluzione sembra sia da preferire.
Fra le pronunce costitutive alle quali va riservata la qualifica di negozî amministrativi, vanno ricordate le seguenti figure tipiche, designate e definite con una propria denominazione: 1. Ammissioni: che sono quegli atti amministrativi coi quali la pubblica amministrazione ammette una persona, nell'interesse proprio di questa, in un pubblico istituto (scuola, biblioteca, ospedale), o in un'associazione di diritto pubblico (per es., in un'associazione professionale), o in una categoria che fruisce di speciali prestazioni (per es., fra i poveri che hanno diritto alla cura gratuita): atti, tutti quanti, costitutivi di qualità o di diritti e, come tali, da distinguere nettamente da altri atti che hanno carattere di semplici accertamenti ricognitivi di qualità preesistenti. 2. Concessioni: con le quali la pubblica amministrazione conferisce ad altri soggetti l'esercizio di un suo pubblico potere o di un suo diritto; ovvero, sulla base di un suo potere o diritto, costituisce un nuovo diritto o potere a vantaggio di altri soggetti: il che importa, per l'autorità concedente, temporaneo recesso da una posizione giuridica o limitazione della medesima, e per il concessionario un corrispondente acquisto, che ha sempre carattere di acquisto costitutivo. 3. Autorizzazioni: con le quali la pubblica amministrazione dà facoltà ad altri soggetti di esercitare un potere o diritto lor proprio, che preesiste all'autorizzazione, ma che non potrebbe essere esercitato fino a che l'autorità amministrativa competente non lo permetta, previo accertamento che non vi siano motivi in contrario. Talvolta poi, con la autorizzazione non si rimuove un limite all'esercizio di un potere o di un diritto, ma propriamente si deroga, a favore di una persona o per un caso determinato, a un divieto di carattere generale ma derogabile, che la legge fa di certi atti. In ogni caso l'autorizzazione è atto di natura più o meno discrezionale, con cui si permette una futura attività, la quale altrimenti - stante un divieto che è fonte di obbligo negativo verso l'amministrazione - avrebbe carattere illecito, o si permette un atto giuridico che, in sua mancanza, sarebbe invalido (es.: autorizzazioni di polizia, autorizzazioni impartite ad enti autarchici o a corpi morali, licenze). Autorizzazione e atto autorizzato vanno considerati sempre come due atti distinti, che non si fondono in unico atto complesso, neppure quando il secondo sia di altra pubblica amministrazione. 4. Dispense: con le quali l'amministrazione esonera un altro soggetto dall'obbligo positivo a una prestazione determinata (es., dispensa dal pagamento di tasse scolastiche, dal servizio militare), o fa venir meno nel caso singolo impedimenti di carattere oggettivo stabiliti dalla legge in generale per certe categorie di atti giuridici (es., dispensa da impedimenti a contrarre matrimonio). 5. Approvazioni: con le quali l'amministrazione rende efficaci ed eseguibili dati atti, che sono non da compiere in futuro, ma già compiuti e perfetti, siano esse meramente interne (cioè date da uno ad altro organo del medesimo ente) o siano esterne (cioè date da uno ad altro soggetto: per es., ente autarchico). L'approvazione resta atto distinto e indipendente dall'atto approvato, e non ha la funzione d'integrare una deficiente capacità o competenza (legittimazione) del soggetto o dell'organo cui viene impartita (giacché l'atto è di per sé perfetto), ma solo quella di conferire all'atto approvato efficacia ed eseguibilità. 6. Vi sono inoltre: a) atti abdicativi, che estinguono diritti della pubblica amministrazione o fanno cessare l'esercizio di qualche suo potere per dati casi; b) atti acquisitivi, che importano limitazione o estinzione di diritti privati, sia pure contro obbligo d'indennità o compenso (occupazioni, requisizioni, espropriazioni); c) atti risolutivi, che inducono la cessazione di rapporti in cui la pubblica amministrazione si trova (es.: licenziamento d'impiegati, riscatto di concessioni), e d) altri atti innovativi che non hanno una propria tipica denominazione.
Bibl.: Sul negozio del diritto privato v. fra i molti: G. Segrè, Studi sul concetto del negozio giuridico nel diritto romano e nel nuovo diritto germanico, Torino 1900 (ora in Scritti giuridici, Cortona 1930, p. 193 segg.); B. Windscheid, Lehrbuch des Pandektenrechts, 9ª ed, Francoforte 1906, I, par. 69-100; C. Fadda, Parte generale con speciale riguardo alla teoria dei negozi giuridici, Napoli 1909; N. Coviello, Manuale di diritto civile italiano, I, 2ª ed., Milano 1915, pp. 101-141; F. Carnelutti, Negozio giuridico, atto illecito, atto dovuto, in Riv. dir. comm., I (1923), p. 353 segg.; id., Teoria generale del reato, Padova 1933, nn. 13, 14, 42, 48, 56, 71, 96; R. Henle, Lehrb. d. bürgerl. Rechtes, I, Berlino 1926, par. 7-41; E. Betti, Corso d'istituzioni di diritto romano, Padova 1929, par. 49-77; V. Scialoia, Negozi giuridici, 3ª rist., Roma 1933. Sul negozio nel diritto processuale v., oltre la bibliografia cit. alla voce atto, specialmente H. Helwig, Processhandlung und Rechtsgeschäft, in Festgabe f. Otto Gierke, 1910; F. Carnelutti, Processo di esecuzione, Padova 1931, III, nn. 484-542. Sul negozio nel diritto amministrativo v. O. Ranelletti, Principii di diritto amministrativo, Napoli 1912, pp. 263-80, 323-405; id., Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative, Torino 1894-97, II, pp. 101-158; id., Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, 4ª ed., Milano 1934, pp. 37-155; S. Romano, Corso di diritto amministrativo, Padova 1930, pp. 171-245.
Per ciò che concerne i vizî del consenso, la nullità, l'annullabilità dei negozî giuridici, la sanatoria dei negozî giuridici annullabili, la riserva mentale, la simulazione, si vedano le voci dolo; errore; nullità; ratifica; rinuncia; simulazione; violenza.
Per ciò che riguarda le limitazioni volontarie all'effetto dei negozî giuridici v. condizione; modo; termine.