nazione
Il termine n. sta a indicare un tipo particolare di gruppo umano che spesso – anche se non sempre – aspira a darsi un’esistenza statuale, a farsi Stato, ma che non coincide con lo Stato. Secondo una definizione consolidata, la n. è una comunità di persone che si sentono legate tra loro per il fatto di condividere le stesse origini, di risiedere in un medesimo territorio, di possedere uno stesso patrimonio linguistico e culturale, di riconoscersi in una storia comune, o di essere sottoposte alle medesime istituzioni politiche, a uno stesso governo e alle stesse leggi. È questo peculiare «sentimento» di appartenenza e di solidarietà, questa «coscienza» di una identità condivisa – che deve però essere diffusa a livello di massa e non solo tra ristrette cerchie di persone – che trasforma una comunità etnica, culturale o politica in una «nazione». Le n., che tendono di regola a rappresentarsi come esistenti da tempi immemorabili, sono in realtà comunità tipicamente moderne. È solo a partire dal 18°-19° sec. che la coscienza nazionale ha iniziato a plasmare l’identità di ampi aggregati umani. Nel mondo antico e medievale furono presenti forme rudimentali e frammentarie di coscienza nazionale, che andarono poi ulteriormente consolidandosi nell’Europa moderna, soprattutto per l’impulso di grandi dinastie regnanti o di ceti intellettuali; ma fino alla seconda metà del 18° sec. furono idee coltivate solo da ristrette élite, senza significative implicazioni politiche. Questa situazione cambiò tra Settecento e Ottocento, quando si affermarono, con le rivoluzioni in America (1776) e in Francia (1789), il principio della sovranità popolare e quello dell’autodeterminazione nazionale. La cultura romantica, in polemica con il cosmopolitismo illuministico, iniziò a elaborare un’ampia riflessione sull’idea di nazione. Ma anche la Rivoluzione industriale ebbe un ruolo decisivo: infatti, distruggendo il tessuto delle tradizionali società per ceti, creò nuovi bisogni di identità e di integrazione, a cui la coscienza nazionale e il nazionalismo potevano offrire risposte efficaci. Come risultato di queste trasformazioni le n. divennero forze decisive del mondo contemporaneo, il nazionalismo una potente ideologia di massa e lo Stato nazionale un criterio fondamentale e rivoluzionario per la costruzione degli «spazi politici». Dal 1815, due sono le tendenze essenziali che hanno caratterizzato questi sviluppi. La prima fu quella che portò numerose nazionalità a lottare per la propria indipendenza e a darsi istituzioni politiche nella forma dello Stato nazionale; la seconda fu quella che fece del principio nazionale e del nazionalismo l’ideologia della politica di potenza dei grandi Stati europei, spesso costruita sull’idea di una missione di civiltà e, quasi sempre, di una presunta superiorità della propria n. rispetto alle altre. Sono riconducibili alla prima tendenza le «questioni nazionali» che si risolsero gradualmente con la disintegrazione di antichissimi imperi multinazionali e coloniali, tra la seconda metà dell’Ottocento, le due guerre mondiali e la conclusione del processo di decolonizzazione nella seconda metà del Novecento. I frutti principali della seconda tendenza furono le crescenti rivalità tra le grandi potenze europee nell’età dell’imperialismo e, in larga misura, i due conflitti mondiali. La caduta dei regimi comunisti e dell’Unione Sovietica (1989-91) ha aperto la strada a un clamoroso revival delle n. e dei nazionalismi, che si è manifestato in modo particolarmente drammatico nei conflitti che hanno dilaniato l’ex impero sovietico e soprattutto i Balcani negli anni Novanta del 20° secolo.
Si veda anche La nazione oggi