NASINI
– Famiglia di pittori toscani operosi tra il XVI e il XVIII secolo soprattutto a Siena e nel territorio circostante.
Una impari fortuna storiografica ha riguardato i componenti di questa famiglia che si dedicarono alle arti; se infatti il nome di alcuni di loro ricorre spesso nella letteratura artistica, di altri ne è stata solo in parte risarcita la memoria in tempi recenti, grazie soprattutto alle ricerche di Salvatore Di Salvo. Restano comunque fondamentali per la conoscenza della gran parte di questi artisti le Biografie cronologiche de’ bellartisti senesi di Ettore Romagnoli e quelle redatte alla fine dell’Ottocento da un loro discendente, Giuseppe Nasini.
Giacomo, pittore e capostipite della famiglia, nacque intorno al 1585 a Piancastagnaio (Siena), dove il 31 ottobre 1605 sposò Violante di Annibale Nocchi (Di Salvo, 1992A, p. 14). Della sua attività non resta nulla e i documenti ricordano soltanto alcuni lavori realizzati per la pieve di S. Maria Assunta a Piancastagnaio per i quali ebbe un pagamento di 8 lire per un paramento dipinto nel 1617 e un altro nel 1619 per lavori di stuccatura (Mangiavacchi, 1993, p. 85). Non si conosce la data di morte. Suoi figli furono Francesco, Antonio Annibale e Giovanni, ultimogenito – probabilmente pittore anch’egli – di cui allo stato attuale degli studi non si hanno informazioni (Santi, 1999, p. 8).
Francesco, primogenito di Giacomo, nacque a Piancastagnaio probabilmente l’8 giugno 1611 (Di Salvo, 1999, p. 10). Dopo una formazione svolta plausibilmente accanto al padre, nel 1640 eseguì i suoi primi lavori nel santuario della Madonna di S. Pietro a Piancastagnaio: firmò e datò gli affreschi degli arconi trasversali raffiguranti l’Ecce Homo e S. Michele tra i ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista che trionfa su Lucifero, siglò le tele con l’Angelo annunciante, l’Annunciata, la Flagellazione, l’Incoronazione di spine e la Crocifissione con i dolenti. Gli vengono anche attribuiti dipinti murali e tele senza sigla che decorano questo luogo (Id., 1997, pp. 78-89), come pure a lui si riferiscono altre opere conservate nel convento di S. Bartolomeo e nella chiesa di S. Maria Assunta della medesima città (ibid., pp. 89-92). Sempre nel 1640 datò e siglò gli affreschi nella chiesetta della Madonna delle Nevi a Santa Fiora (Grosseto; ibid., pp. 98-102). A Castel del Piano (Grosseto) l’11 gennaio 1643 sposò Vittoria Bassi (ibid., p. 11). Tra il 1640 e il 1645 decorò con pitture murali e tele i locali del convento e della chiesa di S. Francesco ad Acquapendente (Viterbo; ibid., pp. 31-37), mentre al periodo compreso tra il 1647 e il 1664 si datano numerosi lavori che gli vengono attribuiti a Castel del Piano, tra cui le due tele firmate e datate conservate nella chiesa della Madonna della Grazie (Madonna del Carmine e santi, 1652) e quella nell’oratorio della Misericordia della chiesa di S. Giuseppe (Sposalizio della Vergine, 1664; ibid., pp. 44-55). Ad Abbadia San Salvatore (Siena), tra il 1650 e il 1660, decorò la chiesa della Madonna dei Remedi e, coadiuvato dal fratello Antonio Annibale, le pareti e le volte dell’abbazia di S. Salvatore (ibid., pp. 20-30).
Stando alle opere che gli vengono attribuite a Siena, probabilmente lavorò in palazzo Pubblico, nel palazzo del Monte dei Paschi, in quello Chigi Saracini e nei Conservatori femminili riuniti. A lui pure si riferiscono la tela col Miracolo di s. Nicola nella chiesa dell’ex convento di S. Niccolò, gli affreschi nella chiesa di S. Girolamo e alcuni taccuini di disegni conservati presso la Biblioteca comunale degli Intronati (ibid., pp. 107- 114). Considerata esclusivamente eclettica da Di Salvo (ibid., p. 17), la lunga carriera di Francesco deve essere intesa, invece, come il costante tentativo di un artista poco dotato di adeguarsi alle opere degli artisti senesi a lui superiori, di Rutilio e Domenico Manetti soprattutto. Morì a Castel del Piano il 27 gennaio 1695. Suoi figli furono Antonio, Violante, Filippo, Felice, Cristina, e Giuseppe Nicola, il più illustre.
Antonio Annibale, fratello minore di Francesco, nacque probabilmente a Piancastagnaio nel 1631. Dimenticato dalle fonti del XVIII e XIX secolo, il contributo più esaustivo sull’esigua produzione del pittore spetta ancora una volta alle ricerche di Di Salvo (2003). Secondo i documenti, coadiuvò il fratello in alcuni lavori nella chiesa abbaziale di Abbadia San Salvatore, la cui commissione era stata affidata a Francesco dall’abate Orazio Adami. Infatti, nel 1650 prese parte alla decorazione degli arconi della chiesa, tra il 1652 e il 1653 contribuì ad abbellire la cappella del Salvatore e nel 1656 vi operò altri lavori minori. Nello stesso anno restaurò un quadro nella pieve di S. Maria Assunta a Piancastagnaio (Mangiavacchi, 1993, p. 85). Nel 1660, ancora in qualità di aiutante del fratello, ritornò a lavorare nell’abbazia di Abbadia San Salvatore per alcuni restauri, lasciando la propria firma unita a quella di Francesco su uno degli arconi (Id., 2003, p. 16; 1996, pp. 15 s.). Nello stesso anno, il 3 luglio, sposò Eufrasia Bassi (Di Salvo, 2003, p. 17). Al 1665 dovrebbe datarsi la tela, assai mediocre, raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Giuseppe e Sebastiano oggi conservata nella chiesa di S. Biagio di Campiglia d’Orcia (Siena) che, stando ai documenti, in origine era stata realizzata per la Compagnia del Ss. Sacramento e di S. Rocco della medesima cittadina (Grosselli - Piazza, 2003). Morì a Castel del Piano il 5 agosto 1668. Suoi figli furono Tommaso e Giacomo Francesco.
Antonio, primogenito di Francesco, pittore e sacerdote, nacque a Castel del Piano l’11 gennaio 1643 (Nasini, 1872, p. 93). Formatosi probabilmente col padre, della sua attività non si hanno notizie anteriori al 1674, anno in cui firmò e datò l’affresco raffigurante Pio II tiene udienza sotto un castagno nella sala di Biccherna in palazzo Pubblico a Siena (Borghini, 1983, pp. 179 s.), lo stesso palazzo in cui, nel 1679, nella sala detta del Capitano, dipinse la lunetta con Alessandro VI crea sei nuovi cardinali senesi (ibid., pp. 313, 328). Nonostante la lacunosa conoscenza della sua prima attività, Antonio doveva essersi già fatto notare nell’ambiente artistico cittadino se, nel 1685, Cosimo III, granduca di Toscana, poté commissionargli la decorazione dell’antiporto di Camollia a Siena. Per realizzare quest’opera, oggi distrutta – ma di cui resta il bozzetto preparatorio nella collezione Chigi-Saracini di Siena (Ciampolini, 1987, pp. 223 s.) – chiese l’aiuto di suo fratello Giuseppe Nicola e la ultimò il 2 luglio 1686 (Nasini, 1872, p. 18). Nonostante fosse ormai ultraquarantenne, nell’ottobre 1686 un vitalizio granducale gli permise di soggiornare con il fratello Giuseppe Nicola e il cugino Tommaso a Venezia per un intero triennio per studiare e copiare le opere della grande pittura veneziana del Cinquecento. Abbandonata la città lagunare verso la metà del 1689, sostò a Fontanellato (Parma) per quattro mesi dando prova della sua arte con due belle tele che denotano l’influsso che sul suo stile ebbero le opere di Jacopo Tintoretto e di Paolo Veronese: l’Invenzione della vera Croce nella chiesa di S. Croce e S. Carlo Borromeo guarisce un appestato nell’oratorio della Rocca (Ingendaay Rodio, 1984, pp. 85-88). Ritornato a Siena verso la fine di novembre del medesimo anno, il 6 dicembre si impegnò a fare un quadro d’altare – mai realizzato – nella cappella della famiglia Ciogni nella chiesa di S. Donato, mentre il 29 marzo 1690 riscosse gli ultimi pagamenti per la tela, destinata alla stessa chiesa, raffigurante il Matrimonio mistico di s. Maria Maddalena de’ Pazzi (ibid., pp. 86, 88). Nel 1690 realizzò per l’antisala del Capitano in palazzo Pubblico la bella tela effigiante Enea Silvio Caprara-Piccolomini alla battaglia di Uscopia (Borghini, 1983, pp. 323, 344 s.) e, probabilmente, anche le due tele oggi conservate nei locali del complesso museale di S. Maria della Scala con la Cacciata dal paradiso terrestre e Mosè salvato dalle acque del Nilo (Mastrangelo, 2010). Nel 1693, sicuramente con l’aiuto di Giuseppe Nicola, ultimò la decorazione della cappella dedicata a S. Teresa nella chiesa di S. Donato con cinque tele di soggetto teresiano.
Per ragioni stilistiche si può ipotizzare che Antonio abbia realizzato in tutte le loro parti soltanto i dipinti raffiguranti l’Arcangelo Gabriele che appare a s. Teresa e l’Estasi della santa e, in collaborazione col fratello, quelli con S. Teresa riceve il chiodo della Passione da Cristo, Cristo risorto appare a s. Teresa e la Madonna dona una catena alla santa (ibid.). Anche la tela conservata nell’oratorio di S. Antonio da Padova raffigurante S. Antonio e il miracolo della gamba risanata che Antonio firmò e datò nello stesso anno (Fargnoli, 2003) mostra uno stile e una qualità talmente elevata da potersi spiegare soltanto immaginando una sua collaborazione col fratello più dotato (Mastrangelo, 2010, p. 131).
Sempre nel 1693, poiché il gran principe di Toscana Ferdinando de’ Medici aveva voluto acquistare la pala del Guercino conservata nella chiesa di S. Martino a Siena, Antonio realizzò la copia che la sostituì fino alla sua restituzione avvenuta nel 1713 (Romagnoli, ante 1835, XI, pp. 220 s.), mentre l’anno successivo decorò la volta della chiesa della Compagnia di S. Stefano, oggi perduta (ibid., pp. 219 s.). Ai primi anni Novanta del Seicento si può datare anche il bel disegno da lui firmato raffigurante Rinaldo e Armida nel bosco incantato, apparso sul mercato antiquario (Christie’s, 1998, p. 87), e il suo Autoritratto oggi agli Uffizi, ma conservato fino al 1768 nella collezione dell’abate Antonio Pazzi (Meloni Trkulia, 1979). Si fa risalire alla fine dello stesso decennio la pittura murale con S. Bernardo Tolomei adora il Crocifisso nell’abbazia di Monteoliveto Maggiore nei pressi di Asciano (Alessi, 1996). Come quella giovanile, anche la sua ultima attività non è ancora stata studiata approfonditamente; stando alle fonti tuttavia, realizzò numerose opere fino alla morte. Tra queste è indicativa del suo stile la tela col Ritrovamento della vera Croce dipinta a Siena per la chiesa di S. Francesco (Romagnoli, ante 1835, XI, p. 222), oggi conservata nella Pinacoteca nazionale della città (Torriti, 1990).
Morì a Torrenieri (presso Montalcino) il 28 giugno 1715 (Romagnoli, ante 1835, XI, pp. 221 s.).
Tommaso, primogenito di Antonio Annibale, nacque a Castel del Piano il 21 aprile 1663 (Di Salvo, 1998, p. 9). Dopo un primo apprendistato nella bottega dello zio Francesco, insieme al cugino Giuseppe Nicola si recò a Roma a studiare nella bottega di Ciro Ferri e venne premiato nell’Accademia di S. Luca nel 1679 e nel 1680. Nel novembre dell’anno successivo, fu ammesso con il cugino all’Accademia medicea, diretta da Ferri, conquistando nel 1682 il primo premio per la seconda classe di disegno con il bel foglio raffigurante Policrate trova re Dario morente, conservato presso l’Accademia di S. Luca, che stilisticamente pare improntato ai modi cortoneschi ampiamente diffusi dal suo maestro (ibid., p. 10). A causa della chiusura dell’Accademia medicea a Roma, fu inviato dal granduca a studiare a Venezia per tre anni in compagnia dei cugini Antonio e Giuseppe Nicola. Nonostante le fonti (Romagnoli, ante 1835, XI, p. 479) riferiscano al periodo del suo rientro in Toscana la realizzazione, dapprima affidata ad Antonio, della pala d’altare per la cappella Ciogni nella chiesa di S. Donato a Siena – poi sostituita all’inizio del Settecento da una tela di Giovanni Battista Sorbi tuttora insitu – è probabile che per tutto l’ultimo decennio del Seicento Tommaso abbia svolto soltanto il ruolo di aiutante nelle importanti imprese decorative compiute a Firenze dal cugino Giuseppe Nicola, per esempio nella cappella di S. Niccolò della chiesa del Carmine, in palazzo Medici-Riccardi o in palazzo Pitti. Tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo si stabilì in Umbria per un lungo periodo che soltanto di recente è stato indagato dagli studi (Di Salvo, 1998). A Foligno e nei dintorni realizzò infatti numerose opere che sono andate quasi tutte distrutte, tra le quali spiccavano per importanza la mostra dell’orologio pubblico dipinta nel 1707 o la decorazione nella chiesa della Madonna del Pianto del 1732, mentre ancora si conserva nell’abbazia di S. Croce a Sassovivo l’unica tela conosciuta firmata dall’artista, del 1744, raffigurante l’Annuncio della Passione, in cui ricordi cortoneschi animano figure ispirate a quelle create dal cugino Giuseppe Nicola (ibid., pp. 19-21). Nell’Archivio di Stato di Foligno si conservano anche due codici manoscritti intitolati Arme antica della città di Foligno e delle famiglie nobili estinte raccolte dà Francesco Nuti e delineate Tomasso Nasini in cui il pittore disegnò gli stemmi delle famiglie nobili di questa città (Lattanzi, 1994). Morì a Foligno il 5 ottobre 1743.
Giacomo Francesco, figlio di Antonio Annibale e fratello minore di Tommaso, nacque a Castel del Piano il 27 febbraio 1666 (Nasini, 1872, p. 100). Apprese i primi rudimenti del mestiere nella bottega dello zio Francesco e nel 1685, mantenutovi da Antonio, l’altro cugino pittore, andò a studiare a Roma. Non si hanno altre informazioni sulla sua carriera e neppure sono noti la data e il luogo della sua morte, eccetto le notizie che si riferiscono a una copia da lui eseguita nel 1685 a Roma per il cardinale Alderano Cybo e alla sua presenza a Firenze nell’ottobre 1693 (ibid, pp. 100 s.).
Apollonio, figlio di Giuseppe Nicola e di Elisabetta Neri, nacque a Firenze il 7 agosto 1692 (Di Salvo, 2000, p. 14). A causa delle alterne fortune del padre presso la corte medicea, lo seguì a Siena dove, ammesso inizialmente al seminario di S. Giorgio «perché attendesse allo studio delle lettere» (Romagnoli, ante 1835, XII, p. 25), venne presto messo nella bottega paterna per soddisfare il suo precoce interesse per il disegno e la pittura. Dopo aver dato prova dei suoi progressi con un dipinto, perduto, nella cappella delle carceri di S. Ansano e con la pittura murale del 1709 raffigurante S. Girolamo che adora la Croce nell’oratorio della Compagnia dei Ss. Girolamo e Francesco, anch’essa distrutta (Di Salvo, 2000, p. 14), nel 1716 seguì Giuseppe Nicola a Roma. Nel 1721 è documentato a Siena poiché in una cappella del chiostro Grande dell’eremo di Pontignano raffigurò sulla volta S. Agnese accolta in cielo e, sulle pareti laterali, due scene con Apparizioni della santa (ibid., p. 15). Durante gli anni Venti del Settecento lavorò soprattutto a Lucca dove, oltre a essere documentato in qualità di pittore di casa Buonvisi, nel 1722 e 1727 fu compagno dei viaggi compiuti in questa città dal pittore tedesco Georg Cristoph Martini. Nonostante le sue opere in questa città siano oggi tutte perdute restano i documenti della decorazione della tribuna della chiesa di S. Leonardo in Borghi (Di Salvo, 1992B) e alcuni pagamenti per altre opere non specificate che furono elargiti al pittore nel 1730 (Id., 2000, p. 15). Nei primi sei anni del decennio successivo, stabilitosi definitivamente a Siena, affiancò il padre in numerose e vaste imprese decorative divenendo l’esecutore materiale dei disegni e dei progetti che Giuseppe Nicola, ormai vecchio (sarebbe morto nel 1736), aveva difficoltà a trasportare sulle alte pareti degli edifici di culto senesi. Con tale metodo di lavoro, il 27 agosto 1734 fu portata a compimento la decorazione della chiesa dedicata a S. Gaetano di Thiene che spetta in gran parte proprio ad Apollonio, essendo a lui riferibili la scena della volta del presbiterio raffigurante S. Gaetano in gloria, le lunette sottostanti con la Fede, la Religione eAngeli e le storie con S. Gaetano ha la visione di Cristo e S. Gaetano libera un’ossessa (ibid., pp. 16 s.). Insieme al padre decorò anche le pareti della chiesa della certosa di Maggiano (ibid., p. 17) e la cappella dedicata alla Presentazione della Vergine di patronato Bichi Borghesi a Scorgiano (Monteriggioni; Casprini, 2002). Nel 1735 raffigurò la Genealogia di s. Giuseppe sulla volta di ingresso della chiesa senese di S. Giuseppe, una scena che, se nell’impostazione è molto simile a quelle create da Giuseppe Nicola, appare animata da figure dalla struttura fragile e incerta, con panneggi caratterizzati da pieghe ampie e lamellari che non sanno eguagliare quelle fluide e vibranti dipinte dal padre. L’anno successivo ritornò nella chiesa di S. Gaetano di Thiene per raffigurare sulla lunetta della controfacciata S. Gaetano cura i malati e, probabilmente, realizzò le due tele col Sogno di s. Giuseppe e il Riposo durante la fuga in Egitto che si conservano nella chiesa di S. Giuseppe a Castel del Piano (Di Salvo, 2000, pp. 16-18); dal 1741 al 1743 lavorò nel convento di S. Agostino raffigurando sulla volta della libreria S. Agostino che contempla la città di Dio, la Confutazione delle eresie e l’Apoteosi del santo. Della restante attività di Apollonio, capillarmente elencata da Romagnoli (ante 1835, XII, pp. 21-43) e studiata da Di Salvo (2000), va almeno ricordato per la sua importanza il pastello che lo ritrae, conservato al Nationalmuseum di Stoccolma (ibid., pp. 22 s.). Morì a Siena il 18 aprile 1768. Suoi figli furono Pietro Antonio, Clemente Gregorio, Elisabetta, Antonio, Giovanni, Giovanna e Giuseppe, tra i quali soltanto Elisabetta gli sopravvisse (ibid., p. 25, n. 15).
Fonti e Bibl.: E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ bellartisti senesi… (ante 1835), Firenze 1976, pp. 55-78 (Francesco), pp. 213-236/2 (Antonio), pp. 479 s. (Tommaso); XII, pp. 21-43 (Apollonio); G. Nasini, Della vita e delle opere del cav. Giuseppe N., pittore del secolo XVII…, Prato 1872, pp. 89-95 (Francesco), pp. 96-98 (Antonio), pp. 98 s. (Tommaso), pp. 100 s. (Giacomo), pp. 101-103 (Apollonio); S. Meloni Trkulia, Antonio N., in Gli Uffizi. Catalogo generale, Firenze 1979, p. 942, n. A634; M. Ingendaay, Antonio N. nella cappella di S. Teresa in S. Donato a Siena, in Prospettiva, XXVII (1981), pp. 90-98; G. Borghini, Palazzo Pubblico di Siena. Vicende costruttive e decorazione, a cura di C. Brandi, Milano 1983, ad ind. e pp. 344 s.; M. Ingendaay Rodio, Precisazioni su Antonio N. a Fontanellato, in Bollettino d’arte, s. 6, LXIX (1984), 25, pp. 85-88; M. Ciampolini, Antonio N., in Bernardino Mei e la pittura barocca a Siena (catal., Siena), a cura di F. Bisogni - M. Ciampolini, Firenze 1987, pp. 211-236; P. Torriti, La Pinacoteca nazionale di Siena, Genova 1990, p. 596 s.; S. Di Salvo, I N. pittori di Piancastagnaio?, in Amiata storia e territorio, V (1992A), 13, pp. 13-17; Id., Nel trecentesimo della nascita di Apollonio N. Alla ricerca di sue opere a Lucca, ibid. (1992B), 14, pp. 36-38; M. Mangiavacchi, I beni culturali, in La pieve di S. Maria Assunta e le chiese di Piancastagnaio, a cura di C. Prezzolini, San Quirico 1993, pp. 83-92; B. Lattanzi, Gli stemmi delle famiglie ‘nobili’ e ‘civili’ di Foligno. (Nei codici di Francesco Nuti e Tommaso N.), in Bollettino storico della città di Foligno, XVII (1993), pp. 119-146; C. Alessi, Antonio N., in I quaderni dell’arte, VI (1996), 15, pp. 110 s.; S. Di Salvo, Contributo alla conoscenza delle opere di Francesco N., in Amiata storia e territorio, IX (1996), 23-24, pp. 14-38; Id., Francesco N., pittore amiatino. Contributo alla conoscenza della vita e delle opere (Amiata storia e territorio. Quaderno n. 3), Grotte di Castro 1997; Id., Contributo alla conoscenza di Tommaso N., in Amiata storia e territorio, X(1998), 27, pp. 9-27; Christie’s, Old master drawings (catal.), New York 1998, p. 87; B. Santi, Una ‘dinastia’ di pittori, in N. pingebant. Itinerari pittorici sul Monte Amiata, Arcidosso 1999, pp. 8 s.; S. Di Salvo, I N., alcune biografie, ibid., pp. 10-22; Id., Famiglie amiatine: Apollonio N. Contributo alla conoscenza della vita e delle opere pittoriche, in Amiata storia e territorio, XI (2000), 34, pp. 14-29; F. Casprini, Un contributo ai N.: alcuni disegni per gli affreschi della cappella Bichi Borghesi a Scorgiano, in Bullettino senese di storia patria, CIX (2002), pp. 556-567; N. Fargnoli, I restauri nell’oratorio, in Un patrimonio artistico recuperato. I restauri nell’oratorio di S. Antonio da Padova alle Murella, Siena 2003, p. 27; Z. Grosselli - G. Piazza, Un ‘unicum’ di Antonio Annibale N. a Campiglia d’Orcia?: ipotesi di attribuzione di una tela, in Amiata storia e territorio, XIV (2003), 45, pp. 11-13; S. Di Salvo, Un ‘unicum’ di Antonio Annibale N. a Campiglia d’Orcia?: contributo alla conoscenza del pittore, ibid., pp. 16-20; F. Mastrangelo, Antonio N., in Capolavori e restauri del Comune di Siena e della Fondazione Monte dei Paschi di Siena (catal.), a cura di A.M. Guiducci - E. Toti, Siena 2010, pp. 128-131.