VITELLESCHI, Muzio
– Nacque a Roma il 2 dicembre 1563 da Alessandro e da Gismonda de’ Rustici, ultimo di tre fratelli.
Il primogenito Marcantonio sposò Olimpia del Nero ed ebbe discendenza (un solo maschio, Francesco, e sei figlie); Marcello, diventato sacerdote, fu canonico camerlengo di S. Maria Maggiore e alla morte lasciò ai gesuiti una sua vigna sull’Aventino, prima rendita per la casa professa del Gesù. La famiglia Vitelleschi, originaria dell’aristocrazia tardomedievale della Tuscia, aveva contato illustri esponenti, tra i quali si era distinto per doti militari più che per spirito religioso Giovanni (v. la voce in questo Dizionario), creato cardinale da papa Eugenio IV nel 1437.
Maturata la vocazione ecclesiastica ed espresso il desiderio di entrare nella Compagnia di Gesù, che egli aveva conosciuto anche grazie a un breve periodo trascorso presso il Collegio inglese, Vitelleschi si vide contrastato dalla famiglia. Solo il diretto ricorso a papa Gregorio XIII gli consentì, diciannovenne, mentre studiava filosofia nel Collegio romano, di superare le obiezioni del padre ed essere accolto nel noviziato di S. Andrea al Quirinale il 15 agosto 1583. Fin da giovane chiese di essere inviato missionario nell’Inghilterra anglicana, ma, non esaudito, si rese disponibile all’insegnamento di logica, filosofia naturale e metafisica nel Collegio romano (1588-91), guadagnandosi buona fama. Per due volte fu rettore del Collegio inglese di Roma (1592-94, 1597-98), e nella gestione del patrimonio dell’ente si comportò con molta liberalità e correttezza (Relazione della visita apostolica del Collegio Ibernese, fatta dall’eminentissimo e reverendissimo signor cardinale Mario Marefoschi, Roma 1772, p. 27). Diresse pure il collegio di Napoli (1594-97), dove professò il quarto voto (27 aprile 1597). Tornò a Roma e insegnò teologia scolastica (1599-1602). Fu poi inviato a Napoli come provinciale (1602-05). Di nuovo a Roma, ricoprì l’ufficio di prefetto degli studi del Collegio romano (1605-06), poi divenne responsabile della provincia romana (1606-08) e assistente d’Italia (7 marzo 1608). Ebbe fama di buon docente e oratore; si è conservata memoria di una sua predica del venerdì santo 1590 alla presenza di papa Gregorio XIV (Oratio de passione Domini).
Il 15 novembre 1615, nel corso della settima congregazione generale dell’Ordine, convocata e presieduta dal vicario generale Ferdinand Alber, Vitelleschi fu eletto sesto preposito generale della Compagnia. Sotto la regia del segretario generale della Compagnia Bernardo de Angelis e con il tentativo di ricercare appoggi esterni presso i rappresentanti di Francia, Spagna e lo stesso papa Paolo V, la sua elezione fu avversata dai confratelli delle province romana e napoletana, che gli contestavano ambiziose aspirazioni e legami troppo stretti e interessati con l’aristocrazia romana, e perciò gli contrapposero la candidatura di Giovanni Argenti. Ma giunto al vertice dell’Ordine, egli cercò la riconciliazione con tutti, anche se si liberò di de Angelis, inviandolo a Napoli come provinciale.
A seguito della congregazione generale, stabilì norme durature sulla formazione accademica degli studenti gesuiti, che avrebbero dovuto seguire la teologia morale per due anni e la Sacra Scrittura per un solo anno, sostenere esami di teologia ogni anno e affrontare un esame ad gradum di due ore al termine del quarto anno di studi, pena l’inammissibilità alla professione solenne. Per frenare le tendenze nazionalistiche in ambito missionario, pretese che i superiori delle comunità missionarie non appartenessero alla provincia del Paese europeo che ne governava il territorio. Analogamente volle che studentati, noviziati e scolasticati avessero responsabili provenienti da diversi Paesi per garantire a queste case un carattere internazionale.
Durante il suo generalato crebbe il numero delle case professe, che dal 1616 al 1623 passarono da 26 a 44; dei collegi, che si accrebbero da 372 a 444; e delle residenze, che da 123 divennero 228. A fronte di questi progressi, il generalato di Vitelleschi registrò le conseguenze della guerra dei Trent’anni (1618-48), il fallimento della missione in Etiopia (1628), le persecuzioni in Giappone e Indocina (C. Ferreira, Relatione delle persecutioni mosse contro la fede di Christo in varij regni del Giappone ne gl’anni 1628. 1629. e 1630., Roma 1635).
Vitelleschi sollecitò una comunicazione più frequente fra vertice e periferie dell’Ordine. Comprendendo bene il ruolo cruciale dei confessori dei principi, custodi della coscienza dei sovrani, e in applicazione dell’istruzione del predecessore Claudio Acquaviva ratificata dalla sesta congregazione generale, egli stesso tenne una serrata corrispondenza con i confessori dell’imperatore Ferdinando II (Wilhelm Lamormaini), di Massimiliano di Baviera (Adam Contzen), di Vittorio Amedeo I di Savoia (Pierre Monod) e di Luigi XIII (Jean Arnoux). L’obiettivo di garantire l’appoggio all’Prdine da parte dei sovrani doveva essere raggiunto senza che i padri s’intromettessero in questioni squisitamente politiche, perciò raccomandava l’uso di un linguaggio misurato nella polemica su questioni di Stato; una moderazione che tuttavia egli stesso non sempre seppe conservare negli anni del conflitto tra Francia e Germania durante la guerra dei Trent’anni.
Vitelleschi scrisse molto e con puntualità ai membri della Compagnia, anche se i suoi testi avevano carattere applicativo più che legislativo.
La prima lettera, De Oratione aliisque virtutibus, del 2 gennaio 1617, sollecitava la pratica dell’orazione mentale e un’autentica applicazione dei voti professati. Il 7 marzo 1619, nella lettera ai superiori De Causis unde detrimenta Societatis timenda, denunziava in particolare le divisioni di stampo nazionalistico che minacciavano l’Ordine dall’interno e l’ambizione di quanti ricorrevano ad appoggi esterni per ottenere vantaggi e uffici. Con la lettera De Proba iuventutis institutione, dell’8 aprile 1631 o 1632, raccomandava ai provinciali la premura per la formazione dei giovani dei collegi, caratteristica distintiva della Compagnia rispetto agli altri Ordini religiosi, e ricordava che la direzione delle congregazioni mariane doveva essere affidata a «ottimi» padri e non a soggetti incapaci della carica. L’ultima sua lettera a tutti i membri dell’Ordine, De Anno saeculari Societatis (15 novembre 1639), per il centenario dell’istituzione della Compagnia, sollecitava un collegamento più forte con la Sede apostolica, esortando a recuperare lo spirito e il fervore delle origini per celebrare l’anniversario come un esame di coscienza, e richiedeva a tutti di fare in quell’anno gli esercizi spirituali.
Tra il 1621 e il 1627 Vitelleschi dovette affrontare e arginare i sospetti che contro la Compagnia suscitarono in Francia, dopo l’assassinio di Enrico IV, le traduzioni del De Rege et regis institutione di Juan de Mariana, che aveva sostenuto la possibilità del regicidio e dell’esautoramento del sovrano in alcune particolari circostanze. Il generale fece raccogliere e distruggere le copie del libro in circolazione, ne favorì la messa all’Indice e proibì ai gesuiti di difendere l’idea che potesse essere lecito uccidere un tiranno.
Altro imbarazzò procurò a Vitelleschi il trattato di Antonio Santarelli De Haeresi, schismate, apostasia, sollicitatione in sacramento poenintentiae, et de potestate Romani Pontificis in his delictis puniendis, del 1625, che in Francia fu condannato dal Parlamento e dalla Sorbona perché sosteneva che il papa avesse la potestà di deporre i regnanti eretici, punirli con pene temporali e obbligarli all’obbedienza. Ai gesuiti francesi, sotto la velata minaccia di espulsione, fu richiesto di sottoscrivere atti di fedeltà di sapore gallicano, ma il generale proibì loro di pronunciarsi sulla materia anche a costo di persecuzioni, chiedendo di conservarsi fedeli al papa e di adoperarsi per far rimuovere la condanna del libro.
Difese la Compagnia dalle ingerenze esterne di Filippo IV di Spagna, che pensava alla creazione di un commissario generale per i gesuiti presenti nei suoi possedimenti. Appoggiò la nascita delle dame inglesi di Mary Ward, ma impedì impegni stabili della Compagnia con ordini femminili, specialmente in Francia. Proibì in Perù l’istituzione e la direzione di congregazioni mariane femminili. Vietò ai gesuiti che assumevano l’incarico di parroci di tenere per sé le entrate parrocchiali. Respinse, infine, la pratica del commercio e l’acquisto di schiavi neri per il sostentamento del collegio colombiano di Cartagena de Indias, che versava in disastrose condizioni economiche. Per contrastare i sospetti della corte madrilena fece punire i gesuiti portoghesi che avevano partecipato alla rivoluzione del 1° dicembre 1640 per l’indipendenza del Portogallo dalla Spagna. Incoraggiò le missioni verso le Indie orientali, favorite dalla partenza per Goa di numerosi missionari con la nave Santa Teresa (1619); tra loro c’era anche il padre Alexandre de Rhodes, che nel 1624 inaugurò la missione in Vietnam (Cocincina). Nel 1618 Vitelleschi staccò la Cina dalla provincia del Giappone, giungendo nel 1640 a suddividere in territorio cinese in due parti, affidando quella settentrionale a Francisco Furtado e la meridionale a Giulio Aleni. Con sette gesuiti diede avvio alla missione gesuitica di Andrew White in Maryland (1629). Seguì con attenzione sia la missione in Canada (Nouvelle France), dove si registrarono i primi martiri per mano degli Irochesi e degli Uroni (1642-49), sia il delicato e osteggiato lavoro missionario di Pedro Claver fra i neri d’Africa in Colombia.
Si adoperò per le canonizzazioni di Ignazio di Loyola e Francesco Saverio (1622), della quale fece stampare una cronaca accurata (G.G. Soprani, Breue relatione della vita, miracoli, et canonizatione di S. Ignatio di Loiola fondatore della Compagnia di Giesù, Roma 1622), e per la beatificazione di Francesco Borgia (1624) e dei tre martiri giapponesi Paolo Miki, Giovanni Soan di Goto e Giacomo Kisai (1627). Fece celebrare solennemente il centenario di fondazione dell’Ordine, che cadde durante il suo generalato, e accolse nella chiesa romana del Gesù papa Urbano VIII, che per l’evento aveva concesso l’indulgenza giubilare, e molto seguito di vescovi e cardinali. Sollecitò a Roberto Bellarmino la stesura dell’Autobiografia per edificazione dei confratelli. Concesse all’assistenza di Francia la nuova provincia di Champagne (1616), all’assistenza di Germania la viceprovincia di Boemia (1622), come pure elevò a viceprovincia la missione in Cina e consentì, non senza contrasti, la divisione in due della provincia siciliana (1626).
Paolo V (1621) e Gregorio XV (1623) manifestarono il desiderio di crearlo cardinale, ma egli rifiutò.
Fu religioso di buon livello spirituale, incline più al perdono che alla severità. Lo dimostrò nel doloroso caso del confessore del duca Carlo IV di Lorena, Didier Cheminot, il quale, contro le indicazioni dei superiori e l’esplicita volontà del papa, brigò per ottenere l’annullamento del matrimonio del suo potente penitente, già passato arbitrariamente a un secondo matrimonio religioso; il generale gli impose di rinunziare all’incarico, pena la scomunica, ma quando Cheminot si sottomise (1643), lo accolse con grande comprensione.
Applicando un voto della settima congregazione generale, dispose la distruzione dei documenti relativi all’inchiesta sullo «scandaloso» gesuita Hernando de Mendoça, confessore del viceré di Napoli, giunti a Roma negli anni del generalato di Claudio Acquaviva come espressione del malcontento dei gesuiti spagnoli verso il governo centrale dell’Ordine e che perciò oggi mancano nell’archivio generale della Compagnia (F. Rurale, “Lo sguardo o la mano del generale”. Problemi e prospettive di ricerca nell’Archivum Romanum Societatis Iesu, in Gli archivi per la storia degli ordini religiosi, a cura di M.C. Giannini - M. Sanfilippo, I, Viterbo 2007, pp. 93-109). Benché temporeggiatore nelle decisioni, fu in genere rispettoso delle norme, specialmente a difesa dei diritti dell’Ordine e a tutela della formazione religiosa. Fu esigente nella richiesta dell’osservanza della probità e dell’austerità, come testimoniò l’impegno che pose nel contrastare il gesuita confessore del conte-duca Gaspar de Guzmán de Olivares, Fernando de Quirino Salazar: lo ammonì per aver arricchito sé stesso e la famiglia, e, una volta promosso vescovo per interessamento di Filippo IV, ne osteggiò la nomina cardinalizia per lui pretesa dal re di Spagna.
Dopo ventinove anni di governo della Compagnia di Gesù, Vitelleschi cominciò ad avere problemi di salute nel 1643, quando compiva ottant’anni di vita e quasi trenta di generalato. Perciò si fece affiancare come vicario dal napoletano Carlo di Sangro, assistente d’Italia (1638-45), che assunse su di sé alcune delle sue più gravose incombenze.
Morì a Roma il 9 febbraio 1645.
Fonti e Bibl.: La migliore e più abbondante documentazione su Vitelleschi è a Roma, presso l’Archivum romanum Societatis Iesu (ARSI), Vitae, 62 e 127; Epist. Generalium, 3/1:15 (lettere della provincia d’Aragona); Fl. Belg., 5 II; Epist. Generalium, 990, 1003, 1011; Instit., 122, cc. 89-90; Ital., 4, cc. 278-278v; Rom., 16, c. 53; Epp. NN., 115, cc. 737-738: De Celebratione Jubilei Soc.is anno centesimo; scritti a e di Vitelleschi in Opp. NN., 69, cc. 131, 243-244, 178. Parte delle sue dispense d’insegnamento è conservata presso l’archivio della Pontificia Università Gregoriana (APUG), 212, 535, 579; Curia, AC 52A1; Curia, F.C. 391, F.C. 392rec; notizie sulla vocazione in APUG, 302, 19, cc. 173-192; un suo trattato De Sacramentali confessione in APUG, 307rec., cc. 174-218. Lezioni sulla Logica aristotelica dettate nel 1588 e raccolte da Torquato Riccio sono in Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Borg., 197; sulla Fisica e sul De Coelo, in Bamberga, Staatsbibliothek, Msc. Class. 70, e in Fabriano, Biblioteca Sassi, ms. 65. Un commento alla I-II della Summa theologiae di s. Tommaso D’Aquino, forse del 1602, si conserva in ARSI, Opp. NN., 5, e a Colonia, nell’Historisches Archiv der Stadt, G.B. IV (7004), 43. Nel corso del suo lungo generalato, molta è stata la corrispondenza con i confratelli, non del tutto edita. Parte di quella intrattenuta con i missionari si trova in: Documenta Malucensia, III, 1606-1682, a cura di H. Jacobs, Rome 1984, ad ind.; The Jesuit Makasar documents (1615-1682), a cura di H. Jacobs, Romae 1988, ad ind.; Monumenta Novae Franciae, I-IX, a cura di L. Campeau, Roma-Québec-Montréal 1967-2003, I, pp. 226, 275, 278, 456 s., 719, II-VI, ad ind., VII, pp. 9, 43, 267, 283. Del suo impegno per gli studi si dà prova in: Monumenta paedagogica Societatis Iesu. Nova editio ex integro refacta, a cura di L. Lukács, VI, Collectanea de ratione studiorum Societatis Iesu (1582-1587), Romae 1992, pp. 26, 31, 40, 43, VII, Collectanea de ratione studiorum Societatis Iesu (1588-1616), pp. 492, 674, 691, 711. Testimonianze di Vitelleschi si ritrovano nei processi per la beatificazione di Roberto Bellarmino. Diverse lettere si conservano in vari fondi dell’Archivio apostolico Vaticano.
Un elenco degli scritti di Vitelleschi è riportato da C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, VIII, Bruxelles-Paris 1898, coll. 848-852. In mancanza di una biografia critica, ci si deve servire degli accenni che ricorrono in Imago primi saeculi Societatis Iesu, Antuerpiae 1640, passim; Elogio del P. Mutio V., sesto generale della Compagnia di Giesù, Roma 1647; J. Jouvancy, Historiae Societatis Iesu pars quinta, Romae 1710, p. 917 (XXV, n. 63); G.A. Patrignani - G. Boero, Menologio di pie memorie d’alcuni religiosi della Compagnia di Gesù, II, Roma 1859, pp. 165-167; A. Astrain, Historia de la Compañía de Jesús en la asistencia de España, V, Madrid 1916, pp. 726 s.; La canonizzazione dei santi Ignazio di Loiola fondatore della Compagnia di Gesù, e Francesco Saverio apostolo dell’Oriente. Ricordo del terzo centenario XII marzo MCMXXII, Roma 1922; L. von Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1924, pp. 510 s.; H. Fouqueray, Le P. Cheminot et le duc Charles IV de Lorraine, in Revue d’histoire de l’Église de France, 1925, vol. 11, pp. 453-470; P. Guilday, The priesthood of colonial Maryland, in The Woodstock letters, 1934, vol. 63, pp. 169-190; L. Koch, in Jesuiten-Lexikon, Paderborn 1934, s.v., coll. 1822 s.; P. Tacchi Ventura, in Enciclopedia italiana, XXXV, Roma 1937, s.v., p. 486; R. García Villoslada, Manual de historia de la Compañia de Jesús, Madrid 1954, pp. 237-391; Id., Storia del Collegio romano, Roma 1954, pp. 323, 327, 329 s., 333; C. Testore, in Enciclopedia cattolica, XII, Città del Vaticano 1954, s.v., coll. 1529 s.; J. Humbert, Some answers of the generals of the Society of Jesus to the province of Goa. Aquaviva-V., 1581-1645, in Archivum Historicum Societatis Iesu, XXXV (1966), pp. 322-346; I. Iparraguirre, Historia de los ejercicios de San Ignacio, III, Roma 1973, p. 587; C. Vilá Palá, Undecim epistulae P. M. V., in Archivum Scholarum Piarum, 1981, n. 5, pp. 352-362; M. Fois, Generales, in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús biográfico-temático, II, Roma-Madrid 2001, pp. 1621-1627; J. Coronado Aguilar, Conquista espiritual. A história da evangelização na Província Guairá na obra de Antônio Ruiz de Montoya, S.I. (1585-1652), Roma 2002, pp. 305-310 e passim; F. Daxecker - L. Subaric, Briefe der Generaloberen P. Claudo Aquaviva SJ, P. Mutio Vitelli SJ und P. Vincenzo Carafa SJ den Astronomen p. Christoph Scheiner SJ von 1614 his 1649, in Sammelblatt des Historischen Vereins Ingolstadt, 2002, vol. 111, pp. 101-148; R. Bireley, The jesuits and the Thirty Years war. Kings, courts, and confessors, Cambridge 2003, ad ind.; L. Lux-Sterritt, Mary Ward et sa Compagnie de Jésus au féminin dans l’Angleterre de la Contre-Réforme, in Revue de l’histoire des religions, 2008, vol. 225, pp. 393-414; T. Abé, The Jesuit mission to New France. A new interpretation in the light of the earlier Jesuit experience in Japan, Leiden-Boston 2011, ad ind.; K. Heuts, Validation and propagation. Mutio Vitelli’s letters from surviving Japan mission jesuits (1625-1627), in Encountering the other. Travel books on North-America, Japan and China from the Maastricht Jesuit library, 1500-1900, a cura di E. Homburg - A. Klijn, Maastricht 2014, pp. 97-114; H. Thomas, The Society of Jesus in Wales, c. 1600-1679, in Journal of jesuit studies, 2014, vol. 1, pp. 572-588; A. Delfosse, From Rome to the Southern Netherlands: spectacular sceneries to celebrate the canonization of Ignatius of Loyola and Francis Xavier, in The sacralization of space and behavior in the early modern world. Studies and sources, a cura di J.M. DeSilva, Farnham 2015, pp. 141-159; A. Martínez d’Alòs-Moner, Envoys of a human God. The jesuit mission to christian Ethiopia, 1557-1632, Leiden-Boston 2015, ad ind.; Art, controversy, and the Jesuits. The Imago Primi Saeculi (1640), a cura di J.W. O’Malley, S.J., Philadelphia 2015, ad ind.; A. Redden, Priestly violence, martyrdom, and jesuits. The case of Diego de Alfaro (Paraguay, 1639), in Exploring jesuit distinctiveness. Interdisciplinary perspectives on ways of proceeding within the Society of Jesus, a cura di R.A. Maryks, Leiden-Boston 2016, pp. 81-113; A companion to jesuit mysticism, a cura di R.A. Maryks, Leiden-Boston 2017, pp. 115-125; N. Reinhardt, Hernando de Mendoça (1562-1617), general Acquaviva, and the controversy over confession, counsel, and obedience, in Journal of jesuit studies, 2017, vol. 4, pp. 209-229; T.M. McCoog, Resisting national sentiment. Friction between Irish and English jesuits in the old society, ibid., 2019, vol. 6, pp. 598-626; A. Roberts, Jesuits in Highlands: three phases, ibid., 2020, vol. 7, pp. 103-116.