MUTUO
. Nel mutuo abbiamo la prima figura storica di obbligazione contrattuale. Non deve illudere la considerazione che altri negozî sembrano più essenziali, anche in una società primitiva, che non il mutuo. Certamente nei rapporti commerciali tra gruppo e gruppo il baratto e la vendita non potevano nell'età primitiva essere assenti: il commercio è fenomeno essenzialmente umano e si riscontra anche nelle fasi più basse dell'umanità. Ma la permuta era reale, la compravendita era reale: la permuta obbligatoria, la compravendita obbligatoria sono di origine più recente e posteriori all'obbligazione derivante dal mutuo. La quale consistette nell'obbligo di restituire, prima grano e altri generi, più tardi in particolare somme di denaro, nella quantità stessa in cui il grano o il denaro era stato ricevuto.
L'obbligazione derivante dal mutuo si modellò nell'antichissimo diritto romano sull'obbligazione derivante da delitto, così come quest'ultima si era atteggiata allorché spuntò la fase della composizione volontaria. Il mutuatario, cioè, o altri per lui, si assoggettava al creditore: costituiva sé stesso o una persona della sua famiglia come ostaggio e garante. ll regime della composizione garantita dalla obligatio (asservimento) del colpevole (o di altri per lui) suggerì l'espediente di garantire in modo analogo il pagamento della somma mutuata. È per questo che il parallelismo tra il mutuo e il delitto è vivacissimo nel diritto primitivo. Pare bensì che la persona così assoggettata fosse lasciata d'ordinario in uno stato di precaria libertà di fatto; ma giuridicamente era asservita al creditore e questi conservava in qualunque momento la facoltà d'impadronirsene. I caduti in cosiffatta condizione di asservimento si dicevano nexi: posizione analoga a quella dei servi e dei filiifamilias mancipio dati nell'epoca storica del diritto romano.
Un momento storico fondamentale nell'evoluzione dell'istituto del mutuo, e dell'obbligazione in generale, in Roma ci è dato di poter fissare con precisione attraverso una narrazione liviana: Tito Livio (VIII, 28) ci ricorda una legge - la lex Poetelia dell'anno 326 a. C. - la quale vieto che le obbligazioni da mutuo (e, in generale, da contratto) cagionassero un asservimento personale a garanzia del pagamento del debito e sostituì all'asservimento personale un asservimento patrimoniale: alla obligatio personae la obligatio rei: pecuniae creditae bona debitoris, non corpus obnoxium esse. Successivamente l'asservimento del patrimonio non è più un elemento necessario e integratore del rapporto: la obligatio rei, il vinculum rei non è più dentro il rapporto obbligatorio: ne resta fuori, benché a quel rapporto aderisca, ed è un eventuale e un accessorio del rapporto stesso. Abbiamo così il mutuo, quale ci si presenta nel diritto romano classico, giustinianeo e moderno.
Esso è un contratto reale, unilaterale, per cui una parte (il mutuatario), che ha ricevuto dall'altra (il mutuante) una quantità di cose fungibili (in generale, denaro), si obbliga a restituire altrettanto dello stesso genere e della stessa qualità. A differenza del mutuo romano, il mutuo greco (δάνειον) s'incorpora in un documento che ha un valore suo proprio, secondo l'opinione dominante, indipendentemente dalla causa menzionata. Ciò si esprime col dire che il diritto greco riconosce al mutuo il valore di obbligazione letterale. Sotto la forma del δάνειον sono redatti documenti di crediti svariati: mutuo ex causa antecedente, delegazione, promessa di donazione, carta d'alimentazione (συγγραϕὴ τροϕῖτις) rilasciata dal marito alla moglie che gli sia unita per matrimonio non scritto (γάμος ἄγραϕος).
Momento perfezionativo del contratto è il passaggio della proprietà della cosa dal mutuante al mutuatario: pertanto a costituire il mutuo si richiede che il mutuante abbia la proprietà della cosa e la capacità di alienarla. Si ammise tuttavia già nel diritto classico che, se il mutuante ordina al suo debitore (ad es., il proprio banchiere) o anche a un terzo qualunque, suo debitore, di prestar denaro a una data persona, il mutuo è direttamente costituito a favore del creditore stesso delegante o mandante; si è giunti perfino (sembra, però, soltanto nel diritto giustinianeo) a riconoscere in taluno la qualità di mutuante, se il terzo presta danaro in suo nome e a sua insaputa. Prima che la cosa sia consegnata, vi può essere una promessa di dare a mutuo (contratto preliminare, sempre consensuale), che nel diritto romano doveva essere conchiusa nella forma solenne della stipulatio e nel diritto moderno è scevra di forma.
Se il mutuo è in denaro, il codice civile italiano (art. 1821-1822) prescrive che la restituzione debba avvenire secondo le norme dei pagamenti pecuniarî: se furono prestate verghe metalliche o derrate, il mutuatario è tenuto a restituire altrettanto della medesima qualità, senza aver riguardo all'eventuale aumento o diminuzione di prezzo. La restituzione del tantundem deve essere fatta al termine contrattualmente fissato; il mutuatario non può essere costretto alla restituzione prima del termine convenuto, salvo che abbia perduto il beneficio del termine (art. 1176); se un termine non fu stabilito, s'intende che il creditore abbia la facoltà di pretendere la restituzione in qualsiasi momento; però, ispirandosi alla legislazione giustinianea, il nostro diritto ammette in questo caso che il giudice possa accordare al debitore una dilazione secondo le circostanze; se il termine, finalmente, fu subordinato alle possibilità del mutuatario, il giudice, sempre secondo le circostanze, prescriverà il termine di pagamento.
Nei riguardi della capacità dei contraenti, vigeva in diritto romano per il mutuo di denaro una regola speciale: per la tutela dell'ordine familiare, fu emanato sotto Vespasiano il celebre senatoconsulto macedoniano, che fece divieto di dar denaro a mutuo ai filiifamilias. L'eccezione, concessa dal pretore sulla base di questo Senatoconsulto, non estingueva tuttavia in modo assoluto l'obbligazione, ma lasciava sopravvivere un'obbligazione naturale.
L'azione nascente dal mutuo nel diritto romano era detta condictio certae creditae pecuniae o condictio triticaria, a seconda che si fosse trattato di mutuo di denaro o di altra cosa fungibile. Dalla struttura delle formule, specialmente di quella della condictio certae creditae pecuniae, derivava una conseguenza apparentemente aberrante: l'essenziale gratuità del mutuo romano. Questa è da intendere nel senso, tutto formalistico e processuale, che con la condictio ex mutuo non si poteva pretendere una somma maggiore di quella che corrispondeva alla dazione da cui la obbligazione era sorta. Per raggiungere il risultato economico del prestito a interesse era necessario solitamente che la dazione a mutuo fosse accompagnata da un'apposita stipulatio usurarum: così il mutuante aveva due azioni, l'una per il capitale (sors), l'altra per le usurae. Abbiamo detto: solitamente, perché in alcuni casi eccezionali è stato riconosciuto l'obbligo degl'interessi in base al mero patto aggiunto al mutuo, e così nei mutui contratti dal fisco e dalle città, nei mutui di somme destinate a traversare il mare (pecunia traiecticia o fenus nauticum), nei mutui in derrate e - nel diritto giustinianeo - nei mutui dei banchieri. Naturalmente questo non accade più nel diritto italiano, dove vi ha un solo negozio e una sola azione, anche per gl'interessi: questi, peraltro, mentre si presumono nel mutuo commerciale, devono risultare da espressa convenzione nel mutuo civile (art. 1829), la quale avrà la forma scritta, se siano convenuti interessi superiori a quelli legali (art. 1831).
Se le parti convengono che siano dovuti gl'interessi senza stabilirne la misura, si applica la misura legale. La misura dell'interesse convenzionale è stabilita a volontà dei contraenti, stante la difficoltà di determinare nei varî momenti e nelle varie regioni il limite oltre il quale l'interesse comincia ad essere usurario. Questo cade sotto la sanzione dell'art. 644 del cod. pen.; e, mentre il mutuatario, che ha pagato interessi non convenuti o eccedenti la misura convenuta, non può ripeterli né imputarli al capitale (art. 1830), il mutuatario che abbia pagato interessi usurarî, ha diritto alla loro ripetizione. Il mutuatario, obbligato a corrispondere interessi superiori ai legali, può sempre liberarsi dopo cinque anni dal contratto restituendo la somma mutuata purché ne dia, sei mesi prima, preavviso scritto; il quale produce di diritto rinuncia al più lungo termine convenuto (art. 1832). La quietanza per la restituzione del capitale rilasciata dal mutuante senza riserva degl'interessi induce una presunzione semplice del loro pagamento (art. 1834).
Può avvenire nel diritto italiano che il mutuatario debba restituire qualcosa di più di ciò che ha ricevuto: vuol dire che in questo caso è stato conteggiato un interesse o una provvigione; può avvenire che debba restituire qualcosa di meno, allora si ha un negotium mixtum cum donatione; ma, se il mutuatario si obbligasse a dare una cosa diversa, la figura del mutuo svanirebbe e avremmo o una compravendita o una permuta. Per le affinità tra mutuo e deposito irregolare v. deposito: Deposito irregolare; per il mutuo marittimo v. cambio: Cambio marittimo; per il concetto d'interesse e la misura dell'interesse nella storia e nella legislazione vigente v. interesse.
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