Musica e musici nel mondo greco: rischi e vantaggi della professione musicale
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il mondo greco offre molte figure di musicisti. Dagli aedi, cantori epici legati alle corti micenee, ai compositori delle poleis arcaiche, agli auleti e citaredi in cerca di gloria negli agoni e nei teatri delle città democratiche, fino ai concertisti ellenistici, non molto diversi dalle pop star di oggi nel loro divismo e nell’avidità di compensi, ci viene restituito il ritratto di una professione entusiasmante e rischiosa, che può innalzare chi la pratica a livello degli dèi o decretarne l’ignominia e la morte.
Il mondo greco offre un vasto campionario di figure di musicisti. Ai primordi della civiltà ellenica appartiene l’aedo (aoidos), musicista-poeta che si accompagna con la phorminx, simile alla cetra. Solo anni di tirocinio possono garantirgli il dominio di un repertorio sterminato e il possesso delle abilità musicali necessarie per il canto e l’accompagnamento; tale impegno è però ricompensato da un altissimo prestigio sociale.
Più che intrattenere i potenti, l’aedo ne custodisce e tramanda le imprese e le genealogie, assicurando la continuità identitaria delle classi egemoni. Spesso si esibisce in contesti conviviali; un araldo (keryx) lo aiuta a sedere su un trono riccamente decorato, gli pone in mano lo strumento e gli accosta cibo e vino (la scena è descritta nell’Odissea, VIII, 65-69). Non è banale Tafelmusik: nel racconto omerico dell’Odissea, I, 325-326, persino gli arroganti pretendenti di Penelope ascoltano in silenzio il canto di Femio. A lui spetta la scelta del canto, anche se i commensali possono avanzare richieste, come fa Odisseo con Demodoco (Odissea, VIII, 487 ss.). Più rare le censure: con grande rispetto il re Alcinoo chiede a Demodoco di cessare il canto di fronte al pianto di Odisseo (Odissea, VIII, 537), mentre l’invito di Penelope a Femio a cambiare argomento viene rintuzzato con fermezza dal giovane Telemaco, forse perché proviene da una donna (Odissea, I, 337-359). La contiguità con il potere comporta però dei rischi. Solo l’intercessione di Telemaco salva Femio, che aveva cantato per i Proci, dalla vendetta di Odisseo reduce a Itaca (Odissea, XXII, 330-377). Altri rischi possono venire dalla funzione morale di cui l’aedo è depositario: per riuscire a sedurre Clitennestra, Egisto deve uccidere il cantore che Agamennone aveva lasciato a guardia della sua virtù (Odissea, III, 262-272).
Con l’età della polis molti musicisti di condizione umile o servile vengono ingaggiati per i servizi musicali di routine. Per lo più provenienti dall’Asia Minore, essi favoriscono la diffusione degli stili orientali. L’aedo omerico lascia il posto al rapsodo, cantore itinerante in cerca di ingaggi o della gloria negli agoni poetico-musicali, che adatta il repertorio all’ambiente che lo accoglie; inoltre la crescente importanza dei canti corali richiede un compositore-esecutore-didatta che componga i canti per le varie occasioni e istruisca i coristi.
Nascono così, tra le altre, le celebri scuole musicali (katastaseis) di Sparta, con Terpandro prima e Taleta poi. Poiché la loro arte influisce sull’educazione dei cittadini, è soggetta al controllo politico: le Istituzioni di Sparta attribuite a Plutarco, 238c, riportano l’episodio degli efori di Sparta che inchiodano al muro la cetra di Terpandro, reo di aver aggiunto alcune corde al suo strumento.
Anche la committenza privata presenta margini di rischio. Ancora a ridosso dell’età classica (VI-V sec. a.C.) Simonide, Bacchilide e Pindaro sono a essa legati da un rapporto che, benché dipinto eufemisticamente come amicale e paritetico, è invece squisitamente economico; e in ogni transazione vi può essere una parte inadempiente. Il compenso parzialmente negato a Simonide dagli Scopadi di Tessaglia, irritati per le eccessive lodi del poeta ai Dioscuri, dà un’idea delle pretese delle élite aristocratiche (l’aneddoto si legge in Cicerone, De oratore, II, 352-353).
Nell’Atene democratica del V secolo a.C. il successo del musicista è legato al giudizio del pubblico dei teatri e degli agoni poetico-musicali. Lo sviluppo della tragedia da Eschilo a Euripide mostra il graduale affrancamento della musica dalle forme arcaiche e il potenziamento dei mezzi tecnici (melodie più complesse, tendenti al melisma; estensione del canto a scapito del recitato; commistione dei generi musicali all’interno del dramma; enfatizzazione del patetismo).
Il nuovo pubblico apprezza il virtuosismo e la bravura. Ai giochi pitici del 490 a.C. l’auleta Mida di Agrigento vince volgendo in gloria un infortunio professionale: nonostante la rottura dell’ancia, porta a termine l’esecuzione del nomos Pythikos insufflando lo strumento come fosse una syrinx. La storicità dell’episodio è dubbia; è certo però che Mida può permettersi di commissionare un epinicio a Pindaro (Pitica XII).
Nella seconda metà del V secolo a.C. avviene una rivoluzione del gusto musicale spesso indicata come “nuova musica”. I ditirambografi Melanippide, Frinide, Cinesia, Filosseno e soprattutto Timoteo di Mileto modulano da una scala all’altra nel corso del medesimo brano e contaminano generi e ritmi diversi, attirandosi gli attacchi di Aristofane e Ferecrate e, più tardi, le riserve di Platone. Parallelamente evolvono gli strumenti: alla vecchia cetra eptacorde vengono aggiunte nuove corde per consentire le modulazioni. Significativamente, tali innovazioni non incontrano il favore delle città aristocratiche: anche a Frinide e Timoteo, come già a Terpandro, gli efori tagliano dalla cetra le corde in eccesso (Plutarco, Istituzioni di Sparta, 238c; Vita di Agide, 10, 7).
L’auletica fiorisce grazie alla scuola tebana. Pronomo incarna il prototipo del virtuoso: introduce novità organologiche, aumentando il numero dei fori dell’aulos; è scelto quale maestro da Alcibiade; si atteggia a divo, ammaliando il pubblico non solo con l’abilità tecnica, ma anche con le splendide vesti e i movimenti del corpo, anticipando così alcuni caratteri dell’età ellenistica. La vera svolta si ha però con Antigenida: una nuova tecnica, con le labbra a diretto contatto con l’ancia, permette una maggiore espressività e un più efficace controllo dell’intonazione – la fonte è il prezioso resoconto di Teofrasto, Ricerche sulle piante, 4, 11, 4, 9. L’epoca dei dilettanti è definitivamente tramontata.
Cantore o strumentista, il musicista ellenistico è ormai un professionista dello spettacolo il cui destino dipende dal favore di masse urbane sempre più esigenti e umorali. La musica strumentale si sviluppa notevolmente. Gli ensemble (synauliai) pletorici, a volte giganteschi, voluti dai sovrani ellenistici e poi dagli imperatori romani, permettono effetti timbrici spettacolari. Poiché non è più sufficiente l’uso della kroupeza, una specie di calzatura con la suola in legno o metallo anticamente indossata dall’auleta per dare il tempo agli altri suonatori, la sezione delle percussioni tende a diventare autonoma. In alcuni papiri egiziani di età antonina (II sec. d.C.) appare la nuova figura professionale del protaules (primo aulos), che sembra essere il capo e al tempo stesso l’impresario di un gruppo di musicisti e danzatori. Abbiamo notizia di un pronoetes auletridon (agente delle suonatrici di aulos) al quale, in un papiro del III secolo a.C., viene commissionato persino l’ingaggio di una prostituta per una festa.
I beniamini del pubblico rimangono comunque i citaredi solisti, che spesso propongono pot-pourri di tragedie. Come nella grande stagione del virtuosismo romantico, non è solo la perizia tecnica a decretare il successo, ma anche fattori come la prestanza fisica, l’abbigliamento e la presenza scenica. I migliori ottengono onori semidivini e compensi astronomici, come l’ateniese Amebeo menzionato da Ateneo nei Sofisti a banchetto, 14, 17. La brama di successo può talora indurre a percorrere vie illecite: Artemidoro di Daldi riferisce di un citaredo colto nell’atto di cercare di corrompere la giuria ai giochi adrianei di Smirne (Il libro dei sogni, 1, 64, 40). Il fatto che gli atti di generosità di questi antichi divi, come la concessione di concerti gratuiti, siano ricordati come avvenimenti eccezionali nelle epigrafi la dice lunga sulla loro avidità. I cattivi esecutori invece sono bersaglio di sonora disapprovazione, a volte addirittura di gragnuole di sassi. Ma anche l’eccessiva bravura può essere fonte di rischio, specie se unita ad avidità: nel Nerone di Filostrato si legge come il citaredo epirota che aveva provato a estorcere dieci talenti a Nerone per lasciargli la vittoria nei giochi istmici finisca ucciso dagli sgherri dell’imperatore, che gli spezzano la gola.