PALESTINESE, MOVIMENTO
(App. IV, II, p. 727)
Superata la crisi determinata dall'invasione israeliana del Libano nel 1982, che aveva imposto l'esodo concordato dei combattenti palestinesi da Beirut e il trasferimento della sede dell'OLP a Tunisi, e i conseguenti fermenti scissionistici in alcune correnti più favorevoli alla Siria, i dirigenti palestinesi s'impegnarono a ritessere la trama diplomatica specie in direzione dei paesi arabi moderati al fine di ottenerne consensi e appoggi. Segno preciso in tale direzione fu l'incontro al Cairo tra Y. ῾Arafāt e il presidente Ḥ. Mubārak che, pur destando talune riserve al suo interno, attestò il recupero della capacità d'iniziativa dell'OLP. Mentre l'orientamento possibilista dell'organizzazione favoriva una crescita di disponibilità e d'interesse anche in Occidente, l'accordo con re Ḥusayn di Giordania dell'11 febbraio 1985 per un'azione comune tesa al recupero dei territori occupati dagli Israeliani confermava l'intenzione della maggioranza dell'OLP di esperire ogni strada e di essere disposta anche a non irrilevanti compromessi in vista dell'obiettivo della patria palestinese. Il bombardamento aereo israeliano della sede dell'OLP a Tunisi il 1° ottobre, che causò la morte di decine di Palestinesi e Tunisini, confermò la volontà d'Israele di non accettare trattative con l'OLP neanche attraverso la mediazione giordana. La fine dell'intesa con ῾Ammān nel febbraio 1986, il rilancio unitario all'interno dell'OLP conseguito dal Consiglio nazionale palestinese tenutosi ad Algeri nell'aprile del 1987, e le proposte caute ed equilibrate lanciate da ῾Arafāt nella conferenza delle Nazioni Unite sulla Palestina tenutasi a Ginevra il 7 settembre, permisero ai Palestinesi di qualificarsi tanto sotto il profilo diplomatico, quanto sotto quello politico e umano come disponibili alla trattativa, rovesciando l'immagine d'intransigenza che a lungo li aveva accompagnati.
D'altro canto in Israele e nei territori occupati, avvertendo il mutamento d'atmosfera, le autorità si disposero a rafforzare le misure repressive, mentre cominciava a essere applicata la cosiddetta legge contro il terrorismo (6 agosto 1986), che vietava i contatti tra cittadini israeliani e militanti dell'OLP, e la pressione poliziesca s'accentuava in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, dove ormai era stato confiscato a vantaggio degli Israeliani rispettivamente il 52% e il 48% delle terre. Fu in questo contesto che, in accordo con le indicazioni dell'OLP, ebbe inizio l'8 dicembre 1987 una rivolta generale della popolazione palestinese, sempre paventata da Tel Aviv, ma che per l'intensità, l'estensione e il carattere non violento colse di sorpresa gli organi di sicurezza israeliani. Malgrado i suoi gravi costi, in termini di morti, feriti, arrestati, case distrutte con la dinamite, devastazioni, ecc., la rivolta (detta in arabo intifāḍa), diretta da un Comando nazionale unificato, rappresentativo delle varie correnti nazionalistiche e in contatto con l'OLP, costituì un elemento di grande novità dell'azione palestinese, rafforzando l'identità del popolo, destando consensi su scala mondiale e mettendo in difficoltà il governo israeliano, tanto da indurlo al gesto controproducente e al di fuori da ogni legalità internazionale d'inviare un commando a Tunisi il 16 aprile 1988 per uccidere Abū Ǧihād, vicecomandante militare dell'OLP e responsabile per i territori occupati. In rapporto con l'insurrezione, dopo che altri progetti di sostegno, come l'invio d'una nave del ritorno con Palestinesi espulsi dalla loro terra, erano stati fatti fallire dagli Israeliani, il Consiglio nazionale palestinese, riunitosi il 15 novembre ad Algeri, proclamava l'indipendenza dello stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza, facendo proprie tutte le risoluzioni dell'ONU sul problema della Palestina a partire da quella sulla spartizione del 29 novembre 1947. Il veto degli Stati Uniti − uno degli ultimi atti dell'amministrazione di R. Reagan − a concedere il visto ad ῾Arafāt per parlare a New York dalla tribuna delle Nazioni Unite sulle ultime deliberazioni dell'OLP, era clamorosamente aggirato dalla decisione della maggioranza di tenere a Ginevra la sessione dell'Assemblea generale.
Così, mentre nei territori occupati si svolgevano campagne di disobbedienza civile (scioperi delle tasse, rifiuto di continuare a recarsi a lavorare in aziende israeliane, boicottaggio delle merci israeliane) e la popolazione si sforzava di organizzarsi autonomamente anche sotto il profilo economico (in virtù pure dei sussidi che l'OLP riusciva a far pervenire), l'iniziativa diplomatica dell'OLP ottenne un primo incontro ufficiale con esponenti degli Stati Uniti il 16 dicembre e poi, a più alto livello, il 22 marzo 1989, ponendo al centro dei colloqui l'idea di una Conferenza di pace internazionale per dirimere la questione palestinese. Altri incontri più discreti seguivano in giugno, sempre nella capitale tunisina, tra il numero due dell'OLP, Abū Iyāḍ, e l'ambasciatore statunitense R. Pelletreau. La capacità del movimento di fronteggiare le mosse israeliane si evidenziò anche in occasione dell'approvazione nel maggio 1989 − in mezzo a notevoli discussioni − d'un piano del governo Shamir per risolvere la vertenza palestinese partendo dalla proposta di elezioni nei territori occupati. Pur criticandone fortemente limiti e ambiguità, il Comitato esecutivo dell'OLP s'impegnava a presentare delle controproposte costringendo gli Israeliani a intavolare di fatto delle trattative. Non a caso nel luglio s'infittirono le voci e le indiscrezioni di contatti e scambi di idee tra le parti.
La crisi internazionale determinatasi nel 1990-91 con l'invasione del Kuwait da parte dell'῾Irāq e con le successive operazioni militari contro Baghdād guidate dagli Stati Uniti provocò, però, una grave condizione d'isolamento per l'organizzazione palestinese: avendo inutilmente tentato di mediare tra le varie tendenze arabe per raggiungere una soluzione negoziata, ῾Arafāt fu accusato di non aver preso sufficientemente le distanze dalla politica di Ṣ.Ḥusayn.
Solo nell'autunno 1991, nel quadro dell'impegno di Washington a risolvere anche la controversia arabo-israeliana, i Palestinesi cominciarono a tornare sulla scena partecipando ai negoziati con Israele, apertisi il 30 ottobre a Madrid, insieme a Siriani e Libanesi nell'ambito di una delegazione congiunta giordano-palestinese, che includeva esponenti dei territori occupati accettabili alla controparte. Pur non partecipando formalmente alle trattative (a causa dell'opposizione israeliana), l'OLP prese saldamente le redini della rappresentanza palestinese cosicché, quando nel 1992 i laburisti tornarono al potere in Israele, accanto a quelli ufficiali poterono svilupparsi contatti informali via via più costruttivi. Contemporaneamente però le iniziative dei gruppi palestinesi più legati all'attivismo islamico, la repressione delle autorità israeliane e gli interventi provocatori dei coloni ebrei determinarono più volte situazioni difficili come quando, nel dicembre 1992, all'indomani dell'uccisione d'un poliziotto, il governo israeliano decretò l'espulsione di circa 400 presunti militanti islamici che, non accolti dal Libano, rimasero precariamente accampati per circa un anno nella terra di nessuno compresa fra la striscia di territorio libanese controllata dalle forze israeliane e l'area sotto il controllo di Beirut.
Nel frattempo un primo contatto diretto segreto era finalmente stabilito tra OLP e Israele (nelle persone rispettivamente di Ahmed Korai-Abū Alaa, stretto collaboratore di ῾Arafāt, e del professore di Storia Y. Hirschefeld, amico del sottosegretario agli Esteri israeliano, Y. Beilin), grazie alla mediazione norvegese del sociologo T.R. Larsen. Il 19 gennaio 1993 il parlamento israeliano abrogava la legge che vietava i contatti con l'OLP e il giorno successivo le parti tornavano a incontrarsi presso Oslo alla presenza del ministro degli Esteri norvegese J.J. Holst; sempre nella massima riservatezza seguirono un'altra quindicina di incontri che culminarono il 19 agosto in una missione a Oslo del ministro degli Esteri israeliano, S. Peres: essa si concluse con l'accordo che, in occasione della firma ufficiale a Washington il 13 settembre, sarebbe stato definito "Dichiarazione di principi sulle disposizioni transitorie d'autonomia".
Non poche furono le riserve e le opposizioni levatesi in campo palestinese contro le scelte di ῾Arafāt, che aveva lasciato cadere tutta una serie di punti di principio a lungo considerati centrali dall'OLP. Tuttavia, da un lato il crescere delle difficoltà (quali l'asprezza del controllo militare israeliano, l'esigenza di porre un argine alla politica dei fatti compiuti nei territori occupati, i crescenti problemi finanziari dell'OLP, l'aleatorietà della prospettiva della guerriglia in opposizione agli orientamenti degli Stati Uniti e di paesi arabi come Egitto, Arabia Saudita e Giordania), dall'altro taluni impegni ottenuti da Israele, come l'avvio a breve termine di un'autonomia per le zone di Gaza e Gerico e la disponibilità a includere nei successivi negoziati temi quali il ritorno dei profughi del 1967 e lo status di Gerusalemme, indussero l'OLP ad accettare l'accordo di settembre.
Malgrado il persistere di profonde divergenze tra Israele e l'OLP e di una forte tensione nei territori occupati (confermata in occasione del grave attentato compiuto il 25 febbraio 1994 da uno o più coloni israeliani nella moschea di Hebron, con decine di vittime), la condanna della violenza da parte dell'ONU il 18 marzo (con la decisione, per la prima volta accettata da Israele, di inviare osservatori internazionali a protezione dei Palestinesi) e la successiva intesa del 30 marzo fra OLP e Israele, per la sicurezza a Hebron e la ripresa dei negoziati, hanno indicato come la via della trattativa resti lunga e travagliata, ma probabilmente l'unica possibile.
Bibl.: ῾A. Šuqayrī, al-Ḥaẓima al-Kubra: ma῾a al muluk wa al-ru'asā᾽ ("La grande sconfitta: con re e con presidenti"), Beirut 1973; B. al-Kubeīssi, Storia del Movimento dei Nazionalisti Arabi, Milano 1977; A. Kapeliouk, Sabra et Chatila. Enquête sur un massacre, Parigi 1982; A. Gresh, Storia dell'OLP, Roma 1988; Voci palestinesi dell'intifada, a cura di W. Dahmash, Chieti 1989; A. Gowers, T. Walker, Yasser Arafat e la rivoluzione palestinese, Roma 1994.