MIRACOLO (dal lat. miraculum; ted. Wunder; ingl. miracle e wonder, quest'ultimo in senso piuttosto spregiativo, di "operazione magica" e simili)
L'etimologia dimostra in che senso si possa parlare di miracoli a proposito della mentalità primitiva e dell'antichità: mirabile, miraculum, come ϑαῦμα, ϑαυμάσιον, ϑαυμαστόν indica un fatto che suscita lo stupore, pertanto l'ammirazione non disgiunta dalla venerazione tremebonda per il "completamente altro" da noi, della cui potenza quel fatto è manifestazione. Là dove manca un concetto preciso di "natura" (e, pertanto, di "leggi naturali") ogni azione attribuibile a un potere superiore può così essere detta, in senso impreciso, "miracolo" e la delimitazione tra esso e il "normale" o "naturale" è soltanto nel carattere sorprendente dell'avvenimento o occulto della forza che agisce; e che può essere fatta agire sia da un nume, sia da una persona che, come il mago, lo stregone, ecc., concentra in sé in maniera eminente tali poteri superiori. Invece là dove la fase più crudamente naturistica è superata, e l'uomo si riconosce in presenza di esseri divini dotati di una personalità più o meno precisa, il fatto sorprendente, miracoloso, viene sempre più a essere attribuito all'azione cosciente della divinità, che con esso mira sia a dar prova della propria potenza, per eccitare la venerazione da parte degli uomini (talvolta premiandoli, o colpendoli per vendicare offese), sia ad ammonirli, spesso mettendoli in guardia contro calamità, ecc. (per esempio, le piogge di pietre, ecc., o le nascite di esseri mostruosi e gli altri ostenta, portenta, prodigia, monstra, ricordati da Livio insieme con le cerimonie espiatorie che in tali circostanze si compivano; cfr. il gr. σῆμα, σημεῖον "segnale"; τέρας), sia come atto di speciale beneficenza verso i loro devoti. A tale ultima categoria appartengono le guarigioni miracolose, quali si ottenevano specialmente, per mezzo dell'incubazione (v.), in certi santuarî, celebri fra tutti quelli di Asclepio in Epidauro e nell'Isola Tiberina in Roma, quello di Apollo a Delfi, ecc. A perpetua memoria della grazia miracolosa ricevuta i devoti consacravano al dio degli ex voto, come figure di pietra o terracotta, che raffiguravano le membra rifatte sane, ovvero tavolette di pietra o metallo, con rappresentazioni o iscrizioni: queste ultime col racconto del miracolo e l'esaltazione del nume, onde ebbe svolgimento quasi un vero e proprio genere letterario, l'aretologia, elogio dei poteri miracolosi (δύναμις, ἀρετή; virtus) del dio.
Il cristianesimo. - Di quel genere letterario si vuole abbia subito l'influsso, nel redigere le sue Confessioni, anche S. Agostino, al quale dobbiamo altresì e i racconti, da lui raccolti, di guarigioni miracolose operate dalle reliquie di S. Stefano da lui trasportate a Ippona, e la prima definizione espressa del miracolo, che sia dato trovare nella teologia cristiana. Nel cristianesimo il miracolo ha importanza capitale, sia come prova della divina missione di Gesù Cristo, sia per la promessa che i miracoli sarebbero continuati nella sua Chiesa (cfr. Marco, XVI, 17). Ma prima di S. Agostino i padri della Chiesa s'erano in genere accontentati di riferire miracoli di Cristo (per questi, v. gesù cristo, XVI, p. 870 segg.) come prova della sua divinità, o di considerare e questi e gli altri narrati nella Bibbia come un criterio esterno della rivelazione, avvicinandoli alle profezie e distinguendoli invece dai prodigi operati presso i pagani, e da loro attribuiti a demoni e a maghi.
La definizione di S. Agostino ("quidquid arduum est aut insolitum supra spem vel facultatem mirantis apparet"; De util. cred., 16, 34), sembra insistere soprattutto sull'aspetto meraviglioso e inaspettato del fenomeno; in realtà la nozione ch'egli ne ha avuto sembra, dal complesso dell'opera sua, essere stata più larga. Tale definizione ha dominato il pensiero cristiano per varî secoli e l'ispirazione mistica delle dottrine agostiniane si risente, p. es., in S. Gregorio Magno, per il quale i fatti ordinarî della natura sono altrettanto meravigliosi quanto i fatti di carattere straordinario. Tale concezione si ritrova del resto in tutti gli scrittori a tendenze mistiche.
Una definizione più precisa del miracolo (che presuppone ben definiti metafisicamente sotto ogni aspetto i concetti di Dio e di natura) fu data, perfezionando anche sotto questo riguardo l'opera della Scolastica precedente, da San Tommaso d'Aquino: "Miraculum dicitur quasi admiratione plenum: quod scilicet habet causam simpliciter et omnibus occultam. Haec autem est Deus. Unde illa quae a Deo fiunt praeter causas nobis notas, miracula dicuntur" (Summa theol., I, qu. cv, a. 7). Tale definizione significa che il miracolo è un fatto operato, fuori dell'ordine della natura creata, e, in virtù di un suo intervento diretto, da Dio, che agisce in maniera trascendente, in luogo delle cause seconde.
La teologia posteriore ha, in genere, fatto propria la definizione tomistica, solo - e soprattutto di recente - sottolineando ancora due aspetti del miracolo. Esso ha una finalità religiosa, ed esso, secondo la definizione del Concilio Vaticano, dimostra l'origine divina della religione cristiana. Perciò, teologi più recenti insistono sulla sua natura di fatto sensibile. La dottrina corrente si può pertanto riassumere così: ammesso che Dio è autore onnipotente del creato ed è sollecito delle sorti dell'umanità, è comprensibile che per il bene spirituale degli uomini possa parlare loro il suo autentico linguaggio, destando per qualche alto fine degno di sé la loro attenzione, mediante eccezioni all'ordine fisico di cui egli è l'autore e del quale, perciò, può assolutamente disporre. Questa posizione la Chiesa cattolica e il pensiero cristiano in genere mantengono anche di fronte alle moderne obbiezioni.
Mentre, nel mondo antico, ben pochi si sentivano di non credere, come Luciano o gli auguri di cui parla Cicerone, all'intervento diretto della divinità nelle vicende mondane, la fede nel miracolo non ha subito scosse, si può dire, durante tutto il Medioevo. Anzi, i medievali hanno accettato e tramandato, in piena buona fede, numerosissimi racconti di miracoli, che la critica moderna ha dovuto relegare tra le leggende (vedi sotto). Ma occorre avvertire immediatamente che altro è il sottoporre a critica la narrazione di miracoli quali si trovano, per es., in numerose e leggendarie vite di santi, o il porre severe condizioni per la constatazione e l'accertamento del miracolo come tale (come fa la Chiesa cattolica, per es., nei processi di canonizzazione), altro il non prestar fede a nessun miracolo o il negare senz'altro la possibilità di eventi miracolosi.
Le obbiezioni. - Tale negazione si trova tuttavia di frequente presso pensatori dell'età moderna, pervenuti a questa conclusione partendo sia da premesse concernenti l'essenza di Dio, sia da premesse relative al carattere della natura e delle sue leggi. Così, B. Spinoza, identificando i decreti di Dio con le leggi della natura, ha concluso che Dio non potrebbe violare il corso della natura senza venire in contraddizione con sé stesso. I deisti inglesi hanno invece negato che Dio, dopo aver creato il mondo, vi compisse nuovi interventi; D. Hume ha pure dichiarato impossibile il miracolo, in quanto violazione delle leggi naturali, la cui costanza è dimostrata dall'esperienza. Su questa costanza delle leggi naturali, e soprattutto sul principio della conservazione dell'energia, si è fondato il determinismo scientifico del sec. XIX: il fatto ritenuto miracoloso sarebbe, al più, effetto di causa tuttora ignota.
Un diverso aspetto ha assunto la critica filosofica del miracolo sotto l'influsso delle dottrine filosofiche che, dalla fine del sec. XIX in poi, hanno sempre più asserito il carattere contingente delle leggi naturali. In base a queste dottrine si sono costruite, specie dalla cosiddetta "apologetica dell'immanenza", dottrine pragmatistiche del miracolo, secondo le quali esso non si diversifica, in sé, da nessun fatto ordinario, se non per il suo valore simbolico, spirituale, edificativo.
Un terzo ordine di obbiezioni è nelle difficoltà sollevate dalla critica letteraria dei racconti di miracoli, applicata anche ai testi sacri e a ogni narrazione. Secondo quest'ordine di idee (un nuovo aspetto è stato dato a esso dalla recente scuola formgeschichtliche; v. gesù cristo, XVI, p. 879) anche le narrazioni dei miracoli di Gesù sarebbero tutte opera delle generazioni cristiane posteriori, e nessun miracolo risulterebbe sufficientemente accertato. Non si nega, dunque, la possibilità astratta del miracolo; ma tale negazione si ritrova di fatto, implicita o esplicita, in quasi tutti i critici razionalisti della Bibbia. E i varî ordini di critiche si trovano riuniti presso la maggior parte degli scrittori contrarî al miracolo.
Bibl.: T. Trede, Wunderglaube in Heidentum und in der alten Kirche, Gotha 1901; R. Reitzenstein, Hellenistische Wundererzählungen, Lipsia 1906; O. Weinreich, Antike Heilungswunder, Giessen 1909; P. Saintyves, Le discernement du miracle, Parigi 1909; P. Fiebig, Antike Wundergeschichten, rist., Bonn 1921; A. Schlatter, Das Wunder in der Synagoge, Gütersloh 1912 (Beiträge z. Förder. christl. Theologie, XVI, 3); A. Fridrichsen, Le problème du miracle dans le christianisme primitif, Strasburgo 1925; J. Wendland, Der Wunderglaube in Christentum, 1910; C. Stange, Naturgesetz und Wunderglaube, Lipsia 1914; id., Wunder und Heilsgeschichte, Berlino 1917 (Zeit-und Streitfragen d. Glaubens, s. 11ª, XI-XII); W. Hunzinger, Das Wunder, Lipsia 1912; C. S Stavenhagen, Die Idee des religiösen Wunders, in Zeitschr. f. Theol. u. Kirche, 1928, p. i segg.; P. Häberlin, Das Wunderbare, Zurigo 1930; W. Künneth, Das Wunder als apologetischtheologisches Problem, Gütersloh 1931; J. A. MacCulloch, sulla voce Miracle, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, VIII, Edimburgo 1915; A. L. Lépicier, Del miracolo, Roma 1901; A. Zacchi, Il miracolo, Milano 1923; A. van Hove, La doctrine du miracle chez Saint Thomas, ecc., Parigi 1927; A. Michel, sulla voce Miracle, in Dict. de théol. cathol., X, ii, Parigi 1928, con bibl.
Storia letteraria.
Gli scritti religiosi del Medioevo riserbarono larga parte alla narrazione dei miracoli, che in forma di exempla, nelle raccolte di Cesario di Heisterbach, di Giacomo da Vitry, di Odo di Cheriton e in molte altre, si assomigliano alle novelle e alle favole meravigliose (v. esempio). Di alcuni santi (S. Benedetto, S. Giacomo, S. Francesco) s'ebbero speciali sillogi. Il gruppo più cospicuo, ch'ebbe anche più vasta risonanza letteraria, è dato dai miracoli della Vergine, di cui vennero compilate varie raccolte fra il sec. XII e il XIII: tali il Liber de miraculis S. Dei Genitricis Mariae (da cui derivano molte narrazioni della Legenda aurea) e il Mariale magnum, di cui trasse partito Vincenzo di Beauvais nello Speculum historiale. In volgare, la raccolta più importante è quella dei Miracles de Notre Dame di Gautier de Coincy (anteriore al 1236), che svolge, in trentamila versi, i temi più diffusi; Jean le Marchant compilò, verso il 1262, una serie di Miracles della Madonna di Chartres. In Spagna, alla fine del sec. XIII, s'ebbe il Liber Mariae di Gil de Zamora; indi i Milagros de nuestra Señora di Gonzalo di Berceo e le Cantigas de Santa Maria del re Alfonso X. In Italia, oltre agli esempî sparsi nel Fior di virtù e nei libri di devozione, appartengono al sec. XIV il Libro dei cinquanta miracoli, di anonimo veneto, e i Miracoli della Vergine del pisano Duccio di Gano. Narrazioni analoghe s'incontrano nel Passional tedesco (sec. XIII) e in testi inglesi.
I Miracoli ebbero singolare sviluppo nel dramma sacro: dal Jeu de Saint Nicolas di Jean Bodel (fine sec. XII) e dal Miracle de Théophile di Rustebeuf (sec. XIII) ai quaranta Miracles de Notre Dame di una confraternita parigina del sec. XIV. La Vergine appare come salvatrice al termine di numerosi eventi drammatici e leggendarî: Robert le Diable; Amis et Amile; Berthe aux grands pieds; L'empereur julien, ecc.; fra i testi italiani dei secoli XV e XVI, il Miracolo di Stella, di Nostra Donna che risuscitò il figliuolo d'un Re, di Nostra Donna, come due fanciulle furono infamate, ecc., e oltre ai miracoli della Madonna, quelli di due e di tre Pellegrini, il Malatesta: miracolo della Santa Vergine Caterina da Siena, ecc. In Italia e in Inghilterra (Miracle-plays), "miracolo" fu nome generico della Sacra rappresentazione. Il teatro spagnolo, con Lope de Vega e Calderón, diede le espressioni più ardue e solenni del miracolo nel rivolgimento delle coscienze e nel corso delle vicende umane.
Bibl.: A. Mussafia, Studien zu den mittelalterlichen Marienlegenden, in Sitzungsber. d. k. Akad. der Wiss. di Vienna, "phil.-hist. Cl.", 1886-1891; Miracles de Notre Dame par personnages, a cura di G. Paris e U. Robert, voll. 8, Parigi 1876-1893; Il libro dei 50 miracoli della Vergine, a cura di E. Levi, Bologna 1917.