MERCATO (μάκελλον; macellum, emporium)
Non è ancora del tutto chiara la tesi che tende a dissociare, per il mondo greco, il concetto di m. da quello di agorà, soprattutto per quanto riguarda un periodo delle origini, ma è comunque certo che l'agorà greca (v.) è stata anche m., soprattutto in età classica, quando anzi il ruolo commerciale di essa finì per avere il sopravvento sulle precedenti funzioni. E però altrettanto certo che a questo sopravvento secondo alcuni, o contaminazione secondo altri, si cercò di ovviare, in epoca ellenistica (seguendo, del resto le idee di Platone e gli espliciti consigli di Aristotele, Pol., vii, ii, 2), separando le funzioni politiche, lasciate nell'agorà tradizionale (l'agorà degli uomini liberi) da quelle economiche per le quali si creò l'agorà commerciale o empòrion. È solo a questo punto che si definiscono l'aspetto e il carattere del m. greco vero e proprio le cui origini vanno tuttavia ricercate nei m. sorti, fin da epoca arcaica, soprattutto presso santuari e luoghi di culto (ma anche lungo strade e presso incroci strategici), non solo indipendentemente dall'agorà ma spesso dallo stesso agglomerato urbano. Tali piazze mercantili esterne erano designate con il nome di ἀγοραῖ ἐϕορίαι.
Quanto alle nuove agorài commerciali, se nelle città di mare esse furono più strettamente associate ai porti (Pireo, Mileto, Delo con l'agorà degli Hermaistai e quella di Teofrasto), nella maggior parte dei casi esse rimasero giustapposte a quelle politiche (Priene, Corinto, Atene dove furono respinte a E e soprattutto a S le funzioni commerciali rispetto a quelle politiche e religiose concentrate a O). Per ciò che riguarda l'aspetto planimetrico-architettonico e urbanistico, ben poco è possibile dire per il periodo classico, mentre per l'età ellenistica si può riconoscere l'esistenza di un tipo di vero e proprio m. ormai ben definito, anche sulla scorta delle esperienze precedenti, e organicamente inserito nel tessuto urbano.
Uno degli esempi più chiari di questo tipo (sec. Il a. C.) è a Pergamo in cui l'agorà commerciale (nella città bassa, mentre quella politica è sull'acropoli) è di pianta rettangolare con una piazza tutta circondata e chiusa da portici e da file di ambienti che si aprono, sotto i portici, su di essa.
A questo che è dunque il tipo di m. ellenistico appare sostanzialmente ispirato il m. romano cui, peraltro, si giunge ugualmente, in seguito a un processo di separazione o di sdoppiamento delle funzioni della "piazza" o Foro (v.), con una evoluzione che, a Roma, è quasi contemporanea a quella che si svolge ad Atene senza tuttavia che sia possibile parlare di una diretta imitazione dalla Grecia, come accadrà invece per il m. ellenistico.
La questione, a Roma, è però complicata dal fatto che antichissimi luoghi di m. quali il Forum Boarium e il Forum Holitorium (per il bestiame bovino e per gli ortaggi) sono ricordati dalle fonti storiche prima ancora del Foro e in collegamento diretto con le origini stesse della città. Sorti all'aperto sulla riva sinistra del Tevere, nei pressi del guado naturale della grande via d'acqua quale era l'Isola Tiberina (e sopravvissuti, almeno nella toponomastica, fino alla fine del mondo antico e anche oltre) questi m. furono però destinati ad un commercio all'ingrosso e specializzato così come avveniva in altri che ad essi si affiancarono qua e là in epoca imprecisata: Forum Suarium (sulle pendici del Quirinale, per i suini); Piscatorium (a N del Foro Romano, per il pesce); Vinarium (ai piedi dell'Aventino, per il vino); Cupedinis o Cupidinis o anche Coquinum (presso il Piscatorio, per le leccornie e generi prelibati, specialmente frequentato dai cuochi); Pistorum (presso l'Emporio, per il pane). In realtà, fin da quando, sullo scorcio dell'età monarchica, ne fu bonificata la valle, il vero grande m. di vendita al minuto di ogni genere di vettovaglie, a Roma, fu per lungo tempo rappresentato dal Foro Romano. Lo testimoniano senza equivoco le fonti storiche ed archeologiche e la stessa sopravvivenza di alcune tabernae sotto i portici delle basiliche fino alla fine del mondo antico (tabernae novae, perché ricostruite dopo l'incendio del 210 a. C., nella Basilica Giulia, veteres nella Basilica Emilia). E lo conferma il fatto che lo stesso nome di forum era dato agli altri mercati già ricordati e anche ai centri abitati (Forum Corneli, Forum Popili, ecc.) sorti in Italia principalmente, per ragioni di commercio. Dalla seconda metà del sec. IV a. C. il fervore di rinnovamento e di abbellimento edilizio della città si rivolge soprattutto al Foro come al centro urbano; lo dimostra la cacciata dei beccai e la sostituzione delle loro tabernae lanienae con quelle argentariae (di banchieri ed orefici), e più ancora la costruzione dei grandi edifici pubblici, a cominciare dalle basiliche, determinando la graduale riduzione e quindi la eliminazione del m. dal Foro Stesso, e, contemporaneamente, il sorgere dell'esigenza di un grande m. appositamente creato e studiato per accentrare la vendita dei più usuali generi di consumo, specialmente di quelli sottoposti a un qualche controllo dell'Annona. Questo m. fu realizzato, non si sa esattamente quando - ma certamente prima del 179 a. C. allorché, distrutto da un incendio (forse quello del 210) esso fu ricostruito dai censori Q. Fulvio Nobiliore e Q. Fabio Massimo - a N-E del Foro (e ad esso adiacente fino alla costruzione della Basilica Emilia) sul posto del Forum Piscatorium e del Forum Cuppedinis, raccogliendovi tutto quello che prima era disperso negli altri m. che finirono così con lo sparire. Forse smantellato da Augusto per la creazione del suo Foro, questo m. fu rimpiazzato dal macellum Liviae o Livianum, fatto costruire dallo stesso Augusto sull'Esquilino: più volte restaurato e ancora ricordato in documenti medievali, esso sarebbe da identificare nei resti di una piazza di m 8o × 25 dotata di portici e botteghe, rinvenuta in scavi del 1872.
Il terzo m. di Roma (ma, secondo lo scoliasta di Orazio, ognuna delle XIV regioni augustee aveva il suo), fu il macellum Magnum fatto costruire nel 59 da Nerone sul Celio. Rappresentato nel suo aspetto originario in una moneta (H. Cohen, Monn. Emp., 12, p. 288, Nero, n. 126) esso fu ricostruito nel sec. IV e, secondo alcuni, trasformato nella sua parte centrale nella chiesa di S. Stefano Rotondo, nel V.
Ispirato forse fin dalla costruzione del primo (e certamente nella ricostruzione del 179 a. C.) ai modelli ellenistici, il m. romano, chiamato più propriamente macellum (dal greco μάκελλον) si presenta schematicamente composto di tre elementi: una grande area o piazza rettangolare quasi sempre circondata da portici; una serie di tabernae disposte almeno su alcuni dei quattro lati della piazza e aperte su di essa o solo all'esterno o anche alternativamente all'interno e all'esterno, e talvolta con un piano superiore; una costruzione circolare o poligonale (tholus macelli, secondo Varrone) al centro della piazza, con un giro di colonne, copertura a cupola o a tetto conico, e spesso una vasca nel mezzo.
Costantemente presenti nelle linee generali in tutti gli esempi rimasti, queste caratteristiche sono chiaramente rappresentate - oltre che nella pianta di uno dei macella di Roma rimasta in tre frammenti della Forma Urbis (Pianta Marmorea di Roma Antica, p. 123, tav. xxxix, n. 157) nei resti, ben conservati, di Pompei e di Pozzuoli per mezzo dei quali è pure possibile avere un'idea della decorazione e degli abbellimenti: marmi, colonne, statue, mosaici e persino, a Pompei, pitture parietali, con soggetti mitologici, nature morte, ecc.
A Pompei, il macellum, costruito all'inizio dell'età imperiale, è a pianta quadrata con tabernae all'interno nel lato S e all'esterno sulla facciata e sul lato N. Al centro dell'area scoperta priva di portici è la thòlos dodecagona con un bacino che, secondo i resti rinvenuti, doveva essere destinato alla conservazione del pesce. Pure alla vendita del pesce o a quella delle carni doveva essere destinato uno dei tre ambienti del lato di fondo, mentre gli altri due e specialmente quello centrale, erano destinati al culto imperiale.
A Pozzuoli, il cosiddetto Tempio di Serapide, in gran parte sommerso per fenomeni di bradisismo, rappresenta l'esempio più grandioso e completo di un macellum romano. Risalente forse all'epoca flavia ma rimaneggiato sotto gli Antonini o i Severi, esso è costituito di un grande cortile porticato e avente al centro la rotonda della thòlos (sopraelevata, con quattro gradini, sedici colonne e un bacino di fontana nel mezzo). Sui lati lunghi del cortile corrono due serie di tabernae aperte alternativamente verso il portico interno o verso un ambulacro che corre all'esterno di tutto il complesso. Altre tabernae sono sui due lati corti a S a fianco dell'ingresso principale, a N ai lati di una grande cella absidata coperta da una semicupola e preceduta da quattro colonne, riservata a sacello delle divinità protettrici. Alle estremità dello stesso lato settentrionale due sale riccamente decorate, erano destinate a latrine pubbliche. Almeno due scale nei lato S e piccole colonne, attestano l'esistenza di un secondo piano con loggiato.
Simili a quelli di Roma, di Pompei e di Pozzuoli dovevano essere, nella grande maggioranza, i macella presenti m. tutte le maggiori città dell'Impero (v. gli esempî, gene ralmente più tardi, di Aquincum, Cuicuî, Perge, Efeso, Sagalassos, Kremna); ma non mancano casi di soluzioni particolari e di sensibili divergenze. A Leptis Magna, per esempio, il cosiddetto m.. "punico-romano" conservatosi nel fondamentale aspetto augusteo del 9-8 a. C.., ha, all'interno del peristilio rettangolare, due thòloi anziché una, prive di fontana al centro ma, almeno in un primo tempo, con posti di vendita. Sempre nelle province africane, alcuni altri esempi uniscono al cortile rettangolare circondato da portici, un grande emiciclo che occupa per intero il lato opposto a quello d'ingresso ed è dotato il più delle volte anch'esso di tabernae. Così a Timgad (m. di Sertius, che ne ha, attiguo, un altro più piccolo) e a Thuburbo Maius (nel quartiere di Nettuno).
In italia, forme poco canoniche presentano i m. di Ostia, Alba Fucente e Sepino. Il primo, costruito nel I sec. e ricostruito nel II con restauri successivi fino al V, e sicuramente identificato da una iscrizione, si svolge gu un'area trapezoidale occupata quasi per intero da un cortile pavimentato in marmo con una fontana nel mezzo, un podio fornito di locali sottostanti sul lato di fondo e grandi botteghe adiacenti seppur non strettamente dipendenti. Il secondo, attiguo alla basilica, ha una pianta quadrangolare con al centro un'area aperta circolare (diametro in 12, 30) interamente circondata da tabernae mentre un avancorpo con due grandi ambienti e un vestibolo d'accesso alla rotonda fu aggiunto posteriormente. Il terzo infine, a pianta rettangolare e preceduto da un atrio a pilastrini, ha al centro un ambiente esagonale con un bacino della stessa forma nel mezzo e quattro tabernae aperte ai lati dell'esagono.
Fino a questo punto, si tratta, in definitiva, di varianti di uno schema sostanzialmente e concettualmente unico, ma al di fuori di questo tipo, ci sono, specialmente documentati a Roma e nei dintorni, altri edifici che per esplicito ricordo delle fonti o per caratteristiche intrinseche debbono essere ricollegati al m. o, forse meglio, a uno speciale tipo di magazzino-mercato (v. magazzino).
A Roma due esempî di edificio unitario con funzioni dì grande magazzino di vendita sono costituiti dalla porticus Aemilia, costruita nel 192 a C. presso il Tevere nei quartiere dell Emporio, di cui ci restano pochi ruderi ma l'intera pianta nella Forma Urbis e della porticus margaritaria sorta, in epoca domiziana nel Forum adiectum summa sacra via entrambi gli edifici erano costituiti da un vasto quadrilatero (porticus Aemilia in 487 × 6o) suddiviso, con più file di grandi pilastri, in un sistema di ambienti allineati intersecantisi e ampiamente intercomunicanti.
A Tivoli e a Ferentino, due edifici conosciuti con il nome di "mercati" e nei quali su un lato di una lunga aula principale si aprono con grandi arcate alcuni ambienti disposti in senso ortogonale, rappresentano un tipo di mercato-bazar proprio dell età repubblicana. (Ad una analoga concezione di mercato-bazar potrebbero forse ricollegarsi quegli esempî documentati a Ostia in età imperiale almeno in due casi - Reg: i, ix, 3 e Reg. iv, ii, 7 - di cortili di grandi caseggiati in cui si aprono senza alcun ordine rigoroso numerose tabernae).
Finalmente, con il raddoppiamento su schema simmetrico, della planimetria dei m. di Tivoli e di Ferentino e con l'aggiunta di un secondo piano, si arriva, di nuovo a Roma, alla grande aula superiore, Basilica Traiana, dei cosiddetti Mercati Traianei interessanti peraltro in tutto il loro complesso sia per l'originale tipo architettonico che per la speciale destinazione, pur sempre di carattere commerciale.
Costruiti intorno al 113, sulle pendici del Qùiùnale alle spalle del Foro di Traiano, questi m. sono formati da un grande emiciclo, terminante alle estremità con due ambienti sernicircolari, diviso in due piani interamente occupati da altrettante serie di tabernae aperte, a pianterreno, direttarnente sulla strada, e nei primo piano su un ambulacro illuminato da grandi finestre. Al di sopra dell'emicicio, una strada con andamento irregolare delimita un altro grande corpo di fabbrica di almeno quattro piani con tabernae e altri ambienti e la grande aula di tipo: basilicale. A pianta rettangolare con vòlta a sei crociere e fiancheggiata su due piani da ambienti, di cui quelli del piano superiore arretrati e affacciantisi su un ambulacro, quest'aula può considerarsi la conclusione di un progressivo sviluppo di quel tipo di m. repubblicano, completamente indipendente dalla piazza porticata dei macella di derivazione ellenistica, e originato invece dalla via fiancheggiata da botteghe da cui si passa alla via coperta e alla sala allungata con una fila di ambienti su un lato per arrivate alla grande aula "traianea" di cui si perpetuerà poi il ricordo nei fondachi coperti dell'Oriente musulìnano.
Quanto alla destinazione dei Mercati Traianei, l'estrema probabilità di riconoscervi una rivendita ufficiale dello Stato e il luogo di distribuzione dei congiaria al popolo (piuttosto che non una rivendita al minuto in botteghe private) da, al grandioso complesso, un vero e proprio carattere dì grandi magazzini statali con una concezione per molti aspetti, singolarmente moderna. Concezione che appare accentuata dalla probabile destinazione della grande aula basilicale a luogo di ritrovo e di contrattazioni dei funzionari imperiali incaricati degli acquisti all'ingrosso e addetti alle distribuzioni e perciò giustamente paragonata a una "Borsa" moderna.
Bibl.: H. Thédenat, in Dict. Ant., III, s. v. Macellum; E. Magaldi, in Enc. Ital., XXII, s. v.; L. Crema, in Enciclopedia Classica, sez. III, vol. XII, tomo I, Torino 1959, pp. 61, 171-73, 286, 363, 515-21; R., Martin, Recherches sur l'Agorà grecque, in Bibl. Éc. Fr. At. et R., CLXXIV, 1951, pp. 283 ss.