MELFI
(Melfia, Melphia nei docc. medievali)
Cittadina della Basilicata (prov. Potenza), M. sorge sulle propaggini settentrionali del massiccio vulcanico del Vulture, in posizione dominante sulla Capitanata meridionale e la Terra di Bari e a presidio della via Appia.La piazzaforte di M. fu fondata sul sito collinare, forse abitato in età romana, dal catepano bizantino Basilio Bioanne (1018-1028) all'interno di un generale consolidamento dei confini nordoccidentali del catepanato d'Italia (Falkenhausen, 1989, p. 459), popolandola prevalentemente di genti longobarde (Houben, 1993). Nel 1040-1041 M. e la regione del Vulture passarono nelle mani del ribelle Ardoino, che si avvalse nell'impresa anche di milites normanni, insediatisi nel frattempo in città in numero di cinquecento (Goffredo Malaterra, De rebus gestis Rogerii, I, 9). Questi colsero subito l'importanza strategico-militare di M. e, fatto cadere Ardoino, vi elessero nel 1042 Guglielmo d'Altavilla (1042-1046) capo di una consorteria di dodici cavalieri normanni, investendolo del titolo di conte di Puglia.Sede dal 1037 di un vescovado suffraganeo dell'arcidiocesi di Bari, M. svolse per un quarantennio un ruolo politico di riferimento nel quadro della conquista normanna dell'Italia meridionale, assurgendo ad attivo centro di scambi, dove operavano mercanti amalfitani e ravellesi e una nutrita colonia ebraica. Dapprima il trasferimento del potere ducale a Salerno intorno al 1085, quindi la centralità acquistata dalla Sicilia con l'istituzione del Regnum (1130) comportarono per M. e il Vulture un continuo e lento declino.Durante i regni di Federico II (1220-1250) e di Carlo I d'Angiò (1267-1285) la cittadina riacquistò parte dell'antico ruolo politico e militare. L'imperatore svevo la scelse per promulgare nel 1231 le Costituzioni, non mancando nei suoi saltuari soggiorni estivi (1227, 1232) di ricevervi importanti ambasciate (Houben, 1993); con l'avvento della dinastia angioina il castello di M. divenne una delle residenze della corte, fino al definitivo spostamento della capitale amministrativa a Napoli. Nel Trecento la città, venute meno le sue prerogative strategiche, mantenne comunque l'egemonia sulla regione circostante, anche dopo essere stata venduta dal demanio reale e infeudata nel 1349 agli Acciaiuoli, nel sec. 15° ai Marzano e ai Caracciolo, e infine, dal 1530, alla famiglia Doria.Gli effetti dei frequenti terremoti (1456, 1694, 1731, 1806, 1851, 1930) hanno reso impraticabile una lettura particolareggiata del tessuto urbano medievale (Tranghese, 1992), ancora parzialmente fruibile in una planimetria del 1695 (Roma, Arch. Doria Pamphilj) e in una veduta di Lear (1852), disegnata poco prima del disastroso sisma del 1851, che mostrano l'impianto di M. e i suoi monumenti medievali contenuti nel circuito difensivo angioino e aragonese, ancora per lunghi tratti conservato. Le mura angioino-aragonesi avevano sostituito la cinta di età federiciana, ricordata da un'iscrizione un tempo murata presso porta Venosina: "Vetustas me destruxit Federicus me reparavit/Melphis nobilis Apuliae civitas / muris vallata lapideis" (Malpica, 1847, p. 167).Nel sec. 11° Guglielmo di Puglia (Gesta Roberti Wiscardi, I, 316-317) ricorda che con l'insediamento dei vari gruppi familiari normanni la topografia di M. - ancora in divenire - fu pianificata per rispettare la nuova oligarchia dominante, cosicché a ciascuno dei dodici conti fu possibile possedere un palazzo e un proprio quartiere. Sul finire del secolo il centro politico e religioso cittadino si era venuto a organizzare nell'area tuttora occupata dalla cattedrale, presso cui sorgeva il palazzo vescovile, forse alla bisogna adoperato come residenza dai duchi normanni (Mercati, 1946, pp. 304-305; Delogu, 1979; Houben, 1993); soltanto in un secondo momento, dopo il 1139, fu innalzato il primo nucleo del fortilizio ai limiti settentrionali dell'abitato (Alessandro Telesino, Ystoria Rogerii, I, 24), allontanando la sede militare e politica dal complesso vescovile. Il bipolarismo fu sostanzialmente mantenuto sia sotto la dinastia sveva sia in periodo angioino, quando si provvide ad ampliare il castello consolidandone le difese e ad allestire nuove mura cittadine munite di torri rettilinee con leggera base scarpata.La cattedrale fu probabilmente la prima grande opera patrocinata dai Normanni e soltanto nel 1153 la chiesa venne affiancata dall'imponente campanile voluto da Ruggero II (1130-1154). Le emergenze architettoniche palesatesi di recente sotto la veste della fabbrica barocca (1723) evidenziano per la cattedrale di M. la ripresa del modello con coro a deambulatorio di ascendenza oltrealpina; questa configurazione concorre a retrodatare la cronologia dell'edificio, tradizionalmente legata all'epigrafe del campanile (1153), consentendo di ipotizzare l'avvio dei lavori già nella seconda metà del sec. 11°, epoca per la quale è documentata l'esistenza in città di un palatium pontificale (1079; Houben, 1993). Tali sopravvivenze oggi restano circoscritte alla zona del capocroce, ai due bracci del transetto e alla prima coppia di pilastri del corpo longitudinale, fornendo tuttavia precise indicazioni sull'icnografia del primitivo complesso, che si avvicinava per soluzione di impianto al blocco orientale della cattedrale normanna di Acerenza (tardo sec. 11°) e ancora dominato dal deambulatorio con tre cappelle radiali. Nel caso di M. il coro ad ambulacro, purtroppo perduto, è ampiamente giustificato dalla doppia campata del capocroce, segnata da pilastri rettilinei uniti da archi a tutto sesto; identiche modalità planimetriche si ravvisano nel cantiere di Acerenza, così da congetturare anche per la cattedrale di M., di più ridotte dimensioni, un presbiterio allungato a doppia campata, affiancato da una galleria anulare provvista di cappelle; più evidenti sono in alzato le emergenze del transetto romanico, i cui bracci erano provvisti di una piccola abside al centro del lato orientale ed erano voltati a botte, variante questa rispetto alla basilica acerentina.Verosimilmente più tarda è l'alta torre campanaria fatta erigere da Ruggero II a breve distanza dal braccio settentrionale del transetto (Venditti, 1967); il sovrano è menzionato in due epigrafi inserite nella parte bassa del monumento, insieme al figlio Guglielmo e a un Noslo di Remerio, che ne seguì i lavori. Il campanile, organizzato su cinque piani voltati a crociera e collegati da una rampa in spessore di muro, fu innalzato in due momenti, forse ravvicinati, come dimostra un differente tipo di paramento murario esterno. Lo stacco cronologico è sottolineato dal linguaggio decorativo, che nella fase ruggeriana del cantiere impiega abbondantemente materiale romano di spoglio inserito nella cortina anche con precise valenze simboliche, come nei tre leoni accovacciati, insistente affermazione araldica della recente sovranità degli Altavilla, da correlare al termine opus regium evidenziato da una delle iscrizioni (Todisco, 1987); nei due piani alti - aperti ciascuno da quattro bifore - l'apparato ornamentale è invece ottenuto da incrostazioni in pietra lavica che disegnano una coppia di grifoni e semplici bande geometriche, elegante motivo di importazione campana che accompagna finestre e cornici marcapiano (Kalby, 1971).All'attività costruttiva ruggeriana successiva al 1139 risalirebbe l'innalzamento del primo nucleo del castello, relegato in posizione periferica rispetto al centro urbano, fino ad allora difeso soltanto dalla cinta muraria (Amato di Montecassino, Storia de' Normanni, II, 19). Dell'insediamento normanno sopravvivono la torre di Marcangione, con il vano nobile chiuso da una volta a crociera nervata, strutturalmente prossima a quelle dei piani inferiori del campanile della cattedrale, e forse l'attigua cappella, successivamente inserite nella cinta esterna del fortilizio angioino. Piuttosto oscure restano invece le sorti della stessa fabbrica in età federiciana, quando il castello di M. risultava nell'elenco dei castra exempta (1239) per il cui mantenimento provvedeva la curia imperiale; infatti nessuna emergenza monumentale è riconducibile con sicurezza al cantiere svevo, neppure il nucleo centrale quadrilatero turrito su almeno tre angoli, oggi inglobato nella residenza cinquecentesca dei Doria.L'impossibilità di rintracciare nel castello di M. gli interventi di Federico II ha fatto ipotizzare che le opere avviate dall'imperatore fossero state completate e sfigurate dai restauri intrapresi già nel 1269 da Carlo d'Angiò (Lenzi, 1935). In effetti, i lavori promossi inizialmente da Carlo e condotti in loco da Jean de Toul dovettero interessare le strutture preesistenti, sebbene il relativo cartario informi soltanto di un esteso intervento di carpenteria (1269), mentre rimangono piuttosto generiche le disposizioni concernenti eventuali restauri murari apportati alla fabbrica negli anni 1269, 1271, 1272, 1274 (Sthamer, 1914; Lenzi, 1935; Corrado, 1994). Soltanto a partire dal 1277 e fino al 1284 il castello si trasformò in un imponente cantiere angioino, che, nel corso di un'unica campagna, prese grosso modo l'attuale configurazione. La cospicua documentazione (Sthamer, 1914) fa luce sulle modalità di ampliamento edilizio del maniero (Lenzi, 1935; Corrado 1994) - la cui paternità progettuale è da riferire a Pierre d'Angicourt -, sulle figure preposte alla realizzazione delle opere (i prothomagistri Baucelin de Linais, Riccardo da Foggia e Johannes Barbe) e infine su Francesco da M., al quale il sovrano appaltò i lavori prima che fosse introdotta la conduzione in credenciam (agosto 1278). Dal novembre 1277 all'agosto del 1278 vennero innalzati sul lato nordoccidentale del castello, ai limiti del dirupo verso la campagna, il palacium reale, la torre dei Sette venti e altre strutture fortificate sui lati interni del cortile Mortorio; soltanto sul finire del 1278 si mise mano al circuito fortificato, previsto nel progetto di massima presentato da Pierre d'Angicourt a Carlo I nella primavera del 1277 e portato forse a compimento entro il 1282.La cinta gira sui tre lati pianeggianti del castello, chiudendo a tenaglia la zona strettamente residenziale gravitante intorno al cortile Mortorio, ed è munita di sei torre cave - in alternanza quadrangolari e pentagonali (1278-1280) - e di un antemurale provvisto di scarpata e ampio fossato esterno (1280-1282). I lavori interessarono anche l'allestimento difensivo del cortile Mortorio con l'innalzamento, verso il dirupo, della torre nordorientale (1278-1279), la realizzazione della grande cisterna a S-E del palacium reale (1279-1281) e un miglioramento dei dispositivi di difesa presso l'accesso occidentale al castello con l'elevazione di muri traversi, al fine di creare un cortile di passaggio tra la torre ovest, il complesso residenziale e il terrazzamento della nuova cisterna (1281).Alquanto modesti e spesso poco significativi sono gli altri segni medievali nel tessuto urbano di M., con l'eccezione del portale lavorato con motivi a chevrons nella facciata della distrutta chiesa di S. Maria la Nuova (prima metà sec. 13°) e della trecentesca porta Venosina, tradizionalmente ricondotta alle mura sveve.Fuori dall'abitato sorgono alcune chiese rupestri; tra queste le c.d. grotte della Madonna delle Spinelle, di S. Lucia e di S. Margherita presentano cicli affrescati risalenti al 12° e 13° secolo. In particolare S. Margherita costituisce - con l'episodio dell'Incontro dei tre vivi e dei tre morti, eseguito insieme alle scene di martirio dei ss. Lorenzo, Stefano e Andrea da un maestro di probabile cultura catalano-rossiglionese a fine Duecento (Bologna, 1969) - un significativo episodio di continuità artistica e iconografica di pittura sveva in piena età angioina. Il ciclo agiografico dedicato a s. Lucia, commissionato nel 1292 da un prete Biagio, mostra invece un linguaggio narrativo in parte debitore della tradizione miniatoria manfrediana (Vivarelli, 1976; Arte in Basilicata, 1981).
Bibl.: Fonti. - Amato di Montecassino, Storia de' Normanni, a cura di V. De Bartholomaeis (Fonti per la storia d'Italia, 76), Roma 1935, p. 77; Goffredo Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, a cura di E. Pontieri, in RIS2, V, 1, 1927, pp. 1-108: 12; Guglielmo di Puglia, Gesta Roberti Wiscardi, a cura di M. Mathieu (Istituto siciliano di studi bizantini e neoellenici. Testi e monumenti, 4), Palermo 1961, p. 116; Alessandro Telesino, Ystoria Rogerii regis Sicilie, Calabrie atque Apulie, a cura di L. de Nava (Fonti per la storia d'Italia, 112), Roma 1991.
Letteratura critica. - C. Malpica, La Basilicata. Impressioni, Napoli 1847; E. Lear, Journal of a Landscape Painter in Southern Calabria, London 1852; G. Araneo, Notizie storiche della città di Melfi nell'antico reame di Napoli, Firenze 1866; F. Lenormant, Melfi e Venosa, Roma 1883; E. Bertaux, I monumenti medievali della regione del Vulture, NN 6, 1897, suppl., pp. 1-24; G.B. Guarini, S. Margherita, cappella vulturina del Duecento, ivi, 8, 1899, pp. 113-118, 138-142; E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, Paris 1903 (19682), II, pp. 514-515; E. Sthamer, Die Verwaltung der Kastelle im Königreich Sizilien unter Kaiser Friedrich II. und Karl I. von Anjou (Die Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien, 1), Leipzig 1914; Dokumente zur Geschichte der Kastellbauten Kaiser Friedrichs II. und Karls I. von Anjou, II, Apulien und Basilicata (Die Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien, 3), Leipzig 1926, pp. 168-209; E. Galli, Danni e restauri a monumenti della zona del Vulture, BArte, s. III, 27, 1933, pp. 321-329; G. Lenzi, Il castello di Melfi e la sua costruzione. Note ed appunti, Amatrice 1935; A. Mercati, Le pergamene di Melfi all'Archivio Segreto Vaticano, in Miscellanea Giovanni Mercati (Studi e testi, 125), V, Città del Vaticano 1946, pp. 263-323; A. Lancieri, Il castello di Melfi, Archivio storico per la Calabria e la Lucania 31, 1962, pp. 207-214; A. Venditti, Architettura bizantina nell'Italia meridionale. Campania, Calabria, Lucania, Napoli 1967, pp. 952-955; F. Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, Roma 1969, pp. 60-61, 77 n. 320; L.G. Kalby, Tarsie ed archi intrecciati nel romanico meridionale, Salerno 1971, pp. 85-88; A. Rizzi, Ancora sulle cripte vulturine, NN, n.s., 12, 1973, pp. 71-84; P. Vivarelli, Pittura rupestre nell'alta Basilicata. La chiesa di S. Margherita a Melfi, MEFR 85, 1973, pp. 547-587; id., Problemi storici e artistici delle cripte medievali nella zona del Vulture, in Studi Lucani, "Atti del II Convegno nazionale di storiografia lucana, Montalbano Ionico-Matera 1970", a cura di P. Borrano (Collana di cultura lucana, 4), Galatina 1976, pp. 329-341; M.S. Calò Mariani, L'art dans l'Italie méridionale. Aggiornamento dell'opera di Emile Bertaux, Roma 1978, V, pp. 691-693; P. Delogu, I Normanni in città. Schemi politici e urbanistici, in Società, potere e popolo nell'età di Ruggero II, "Atti delle terze Giornate normanno-sveve, Bari 1977", Bari 1979, pp. 173-205; Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, a cura di A. Grelle Iusco, cat. (Matera 1979), Roma 1981, p. 37; L. Todisco, L'antico campanile normanno di Melfi, MEFR 99, 1987, pp. 123-158; V. von Falkenhausen, Die Städte im byzantinischen Italien, ivi, 101, 1989, pp. 401-464; S. Tranghese, Il centro storico di Melfi in età medievale, Radici, 1992, 10, pp. 149-206; T. Pedio, Melfi caput Apuliae da Arduino a Roberto il Guiscardo, ivi, 1992, 11, pp. 7-57; H. Houben, Melfi, Venosa, in Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo, "Atti delle decime Giornate normanno-sveve, Bari 1991", Bari 1993, pp. 311-331; R. Corrado, Melfi: un cantiere militare angioino (tesi), Univ. Roma 1994; R. Licinio, Castelli medievali. Puglia e Basilicata: dai Normanni a Federico II e Carlo I d'Angiò, Bari 1994.P.F. Pistilli