medicina genomica
medicina genòmica locuz. sost. f. – Disciplina che rappresenta la più moderna evoluzione e applicazione della genetica nel settore medico. La genetica classica, nonostante gli sviluppi fondamentali del secolo scorso, è stata vista dal medico pratico quasi come una disciplina troppo teorica, dedicata alla ricerca di base e allo studio di geni responsabili di malattie rare e dei pochi pazienti che ne sono affetti, poco utile al trattamento delle malattie più diffuse. La genomica (disciplina rivolta allo studio dell’intero genoma) sta invece entrando nella medicina con ambizioni molto più allargate, favorite da sviluppi decisivi della genetica classica. Tali sviluppi sono rappresentati da un lato dalle conoscenze relative ai meccanismi ereditari alternativi a quelli mendeliani (mitocondriali, epigenetici, da riarrangiamento) e all’attività regolatoria del DNA genico da parte di proteine, molecole di nuove classi di RNA, e dall’altra dal completamento (2005) del sequenziamento del genoma umano.
Ereditarietà e regolazione del DNA. ᅳ Questo primo aspetto, chiarendo lo sviluppo e la trasmissione di molte affezioni morbose, sta cambiando la stessa tassonomia delle malattie ereditarie con l’introduzione di quattro categorie di malattie ‘genomiche’ a patogenesi molecolare differente da quella nota alla genetica convenzionale.
Forme epigenetiche. – Il termine epigenetico si riferisce a fattori ereditari che alterano l’espressione genica senza modificarne la sequenza codificante. Essi possono agire durante la meiosi o la mitosi, sono spesso selettivi in ordine alla derivazione parentale e generalmente riconducibili all’interazione di tre sistemi: la metilazione del DNA, l’effetto di silenziamento dell’RNA, le modificazioni degli istoni. Esempi di disordini epigenetici sono le sindromi di Prader-Willi, di Angelman e di Rett.
Forme da alterazione dell’architettura genomica. – Derivano da perdita, acquisto o modificazione dell’integrità strutturale del genoma. L’analisi genomica comparativa di specie animali diverse ha consentito l’interpretazione in senso evolutivo del genoma umano, attraverso il verificarsi di traslocazioni, inversioni, duplicazioni e successivi riarrangiamenti intra- o intercromosomici. Appartengono a questa categoria numerose malattie, note da tempo e a trasmissione mendeliana, quali la sindrome di Barter tipo III, la distrofia muscolare spinale, l’emofilia A e la malattia di Gaucher.
Forme da espansione di triplette nucleotidiche. – Sono caratterizzate dal fenomeno dell’anticipazione, ossia della comparsa progressivamente più precoce nel succedersi delle generazioni. La loro patogenesi è stata identificata nella presenza di segmenti instabili di DNA, distribuiti all’interno del genoma, che tendono ad amplificarsi nel corso della meiosi. Esempi sono la sindrome dell’X-fragile, l’atassia di Friederich, la corea di Huntington e l’atassia spinocerebellare.
Malattie genomiche complesse. – Includono sia forme ereditarie, con anomalie geniche presenti nelle cellule germinali, sia forme acquisite, verificatesi nelle cellule somatiche a qualunque età dopo il concepimento. Paradigma di queste forme è il cancro, che spesso è determinato da variazioni nei geni che controllano la crescita cellulare, gli oncogeni. Anche la risposta individuale a un’infezione acuta può essere modificata dalle variazioni genomiche che modulano la sintesi di proteine altamente polimorfe, quali l’interferone, le citochine e le interleuchine, così come si vanno chiarendo i rapporti tra variazioni nella regione degli antigeni di istocompatibilità e lo sviluppo di malattie autoimmuni. Forme genomiche complesse sono certamente le malattie poligeniche, ove già si conoscono molti geni implicati, ma non l’impatto, insieme a fattori ambientali, sul relativo rischio di sviluppo. Rientrano in questo gruppo diabete, asma bronchiale, malattie autoimmuni, cardiocircolatorie e diverse forme neurologiche quali il morbo di Parkinson, di Alzheimer e l’autismo.
Sequenziamento del genoma. – Una seconda prospettiva della m. g. trae origine dalla mappatura dell’intero genoma, dalla quale è emerso che ogni individuo è caratterizzato da una sua specifica sequenza; infatti, nonostante un’omologia complessiva del 99,6% tra paia di basi presenti nel genoma umano, si è calcolato che ogni individuo differisce da ogni altro per circa 24 milioni di basi. Al rapporto di causalità tra mutazione genica e fenotipo patologico, la genomica ha sostituito quello di variazione genomica e variabilità fenotipica. La variazione negli individui tra singole paia di basi – nota come polimorfismo di singoli nucleotidi (SNP, Single nucleotide polymorphism) – sta offrendo alla m. g. l’opportunità di correlare SNP e aplotipi (insieme di variazioni in tratti del DNA che tendono a essere ereditate insieme) a condizioni patologiche. Negli ultimi anni, studi di simili associazioni in popolazioni variamente selezionate hanno prodotto rapidamente risultati eclatanti, soprattutto nelle forme complesse di patologia ereditaria e nel rischio di cancro. Va tuttavia sottolineato che soltanto nel 5-10 % dei casi i polimorfismi possono rappresentare dei marker sicuramente predittivi di malattia. Il loro uso è pertanto limitato a scopo di ricerca o in ambienti accademici, mentre non esistono ancora linee guida che ne raccomandino l’impiego in patologie a larga diffusione.
Farmacogenomica. – Una ulteriore frontiera della m. g. è offerta dalla , disciplina che si rivolge allo studio delle differenze individuali nella risposta ai farmaci per quanto concerne tossicità ed effetti. Poiché è stato chiarito che in molti casi queste differenze sono riconducibili a variazioni genomiche che modificano la metabolizzazione di un farmaco, la farmacogenomica sta offrendo grande potenzialità sia verso l’obiettivo di una medicina personalizzata sia nella ricerca di nuovi bersagli terapeutici. Se è vero che la medicina in generale evolve da una fase curativa a una preventiva, e infine predittiva, la crescente opportunità di disporre di sempre più accurati profili genomici individuali consentirà di anticipare all’epoca neonatale, e anche prenatale, non solo la diagnosi – come già avviene con gli screening genetici – ma anche la misura del rischio di sviluppare nel tempo determinate malattie. Con tutte le implicazioni etiche, legali, sociali che ne derivano.