SENAREGA, Matteo
– Nacque a Genova nel 1534 dal notaio Ambrogio fu Bartolomeo e da Battina Marchese di Giovanni.
Appartenne a una famiglia di uomini di legge, originaria dell’omonima località della Val Brevenna che si era stabilita in città partecipando alla vita pubblica nelle file dei populares e in particolare tra i mercatores albi o ghibellini. Tra il 1406 e il 1572, i Senarega furono cancellieri del Comune, prima, e della Repubblica di Genova, poi, avvicendandosi nella carica, di padre in figlio, Giovanni, Ambrogio, Bartolomeo, Ambrogio e Matteo. Bartolomeo fu cancelliere e annalista del Comune e importante diplomatico. A lui nel XIX secolo fu dedicata la sala dell’Archivio di Stato di Genova ove era conservata la documentazione del Senato della Repubblica aristocratica nata dalla riforma costituzionale del 1528. In quell’anno, come tutti coloro che erano già di diritto ammessi all’esercizio delle pubbliche cariche del Comune, i Senarega furono ascritti al Liber Civilitatis e aggregati all’albergo Gentile, uno dei ventotto nei quali erano stati distribuiti i componenti del patriziato. Tra i primi ascritti vi fu il padre di Senarega, Ambrogio fu Bartolomeo. La madre di Matteo, Battina, figlia di Giovanni Marchese e di Brigida dei signori da Passano, apparteneva a una nobile e antica famiglia di Albenga, i Marchese, che nel corso del secolo precedente si era distinta anche a Genova per la presenza del giureconsulto Francesco Marchese, fratello del vescovo di Albenga, Leonardo. Una delle sorelle di Battina, Maria, sposò il patrizio Paolo Battista Doria e, non avendo avuto prole, beneficiò largamente proprio il nipote ex sorore Matteo.
Da Ambrogio e Battina nacquero cinque maschi, Bartolomeo, morto in giovane età, Giovanni, Matteo, Geronimo e Stefano, tutti ascritti al Liber Nobilitatis della Repubblica, e diverse femmine. Mentre i fratelli si dedicarono alle attività mercantili e finanziarie che vedevano impegnati i patrizi genovesi dell’epoca nell’Europa asburgica, Matteo fu avviato agli studi in legge, frequentando l’Università di Lovanio.
Si trasferì poi a Venezia, dove fu allievo del latinista Paolo Manuzio, e nel 1555 diede alle stampe Le pistole di Cicerone ad Attico fatte volgari da M. Matteo Senarega, dedicandole a monsignor Gerolamo Sauli arcivescovo di Genova e grande amico della sua famiglia. La sua opera principale, le Historie, una raccolta di componimenti vari ricordata da Raffaele Sopranis, nel 1667 era conservata, con altre sue lettere, nella casa degli eredi del patrizio Agostino Franzoni. Fu amico di altri uomini di cultura del suo tempo, quali il gesuita Giovan Pietro Maffei, professore di retorica a Genova e segretario della Repubblica nel biennio 1563-64, prima di vestire l’abito religioso, e il patrizio genovese Oberto Foglietta, che inserì nei suoi Clarorum Ligurum anche Senarega.
Nel 1563 Senarega era già cancelliere e segretario di Stato, avendo quindi parte in tutte le più importanti questioni di governo della Repubblica. Fu anche tra i sapienti ai quali il governo si rivolgeva per delicate questioni legate alla giurisdizione e ai confini. Il suo operato di cancelliere ebbe l’elogio del poeta savonese Gaspare Muzio, il quale lo celebrò in un sonetto. Lasciò l’incarico di segretario di Stato nel 1571 per i disaccordi con il doge Giacomo Lomellini, quando le tensioni tra le due anime del patriziato, i cosiddetti nobili vecchi, ai quali apparteneva appunto Lomellini, e nuovi tra i quali erano i Senarega, si erano andate inasprendo tanto da sfociare nel 1575 nella guerra civile. Durante il conflitto, mentre i ‘vecchi’ abbandonarono Genova rifugiandosi nei Marchesati del Finale e di Massa, Senarega fu inviato dal governo genovese tenuto dai ‘nuovi’ quale ambasciatore al papa Gregorio XIII, che nutrì nei suoi confronti grande stima e simpatia.
Ebbe quindi un ruolo importante nelle trattative che nel gennaio del 1576 portarono alla pace, sancita a Casale Monferrato con l’emanazione delle Leges Novae, la definitiva riforma costituzionale della Repubblica che sancì l’abolizione degli alberghi istituiti nel 1528. La pace fu trattata con un negoziato tra i sovrani decisi a scongiurare una destabilizzazione degli equilibri europei, l’imperatore, il papa e il re di Spagna. Il pontefice era rappresentato dal cardinale Giovan Gerolamo Morone, legato apostolico, il quale «cosa alcuna non fece, che per mezzo di Lettere non fosse dal Senarega suggerita» (Soprani, 1667, p. 212). L’affermazione politica di Senarega si colloca quindi nel periodo storico in cui, superate le divisioni tra nobili ‘vecchi’ e ‘nuovi’, all’interno del ceto dirigente della Repubblica si creò di fatto una distinzione determinata dal censo, che riguarda anche le stesse famiglie-albergo.
A partire dagli anni Ottanta del Cinquecento Senarega fece parte di numerose magistrature. Nel 1591 fu infatti nominato tra i procuratori della Repubblica, la massima magistratura che sovrintendeva alle finanze dello Stato. L’ascesa politica culminò il 5 dicembre 1595 con la sua elezione a doge della Repubblica. Nel successivo biennio dimostrò grande equilibrio e competenza, anche se il suo dogato fu scosso dai dissapori insorti con l’imperatore dopo che la Repubblica acquistò il feudo di Sassello dai Doria. Il sovrano rivolse missive al governo genovese senza attribuire al doge il titolo di serenissimo che aveva già da anni riconosciuto alla Repubblica, ma alla fine Sassello fu annesso al dominio genovese.
Terminato il biennio, il 4 dicembre 1597, essendo stato approvato il suo operato dai supremi sindacatori, ricevette come di consueto il rango di procuratore perpetuo della Repubblica. Negli anni seguenti continuò a rivestire un ruolo di grande autorevolezza in seno al patriziato, fece ancora parte di diverse magistrature e fu chiamato a esprimere pareri per delicate questioni giurisdizionali. Nel 1599 fu uno degli incaricati dell’accoglienza a Margherita d’Austria, la quale sostò a Genova prima di proseguire via mare il viaggio per andare sposa a Filippo III di Spagna.
La biografia e la personalità di Senarega emergono dai numerosi testamenti e codicilli da lui dettati tra il 1572 e il 1606. Contrasse due unioni matrimoniali di alto profilo, unendosi a dame genovesi di famiglie ‘nuove’, ma di antica tradizione, che nel 1528 erano state poste a capo di rispettivi alberghi. In prime nozze sposò Bertina De Fornari di Antonio, la quale morì in giovane età senza avergli dato discendenza, ma lasciandolo erede di un cospicuo patrimonio comprendente il giuspatronato della cappellania istituita all’altare del Corpo di Cristo della chiesa di S. Martino nella diocesi di Mariana in Corsica. Era vedovo già il 20 agosto 1572, quando dettò il primo dei testamenti noti. All’epoca era anche padre di un figlio naturale, Lorenzo, da lui sempre beneficiato nel corso degli anni e fatto ascrivere al patriziato come consuetudine nella nobiltà genovese. In seguito Matteo si unì in matrimonio con Isabella Giustiniani fu Fabiano, avendone tre maschi, Ambrogio, Giovanni e Urbano, tutti ascritti al patriziato nel 1597, e due femmine, Innocenza, data in sposa a Lucio Moneglia, e Battina, moglie di Giacomo Balbi. Ebbe anche una figlia naturale, Vittoria, monaca nel monastero genovese di S. Tomaso.
La vita di Matteo fu marcatamente influenzata dall’eredità economica e morale lasciatagli dal fratello maggiore, Giovanni, il quale, senza prole, con il testamento del 2 giugno 1579 e il codicillo del 5 febbraio 1582 affidò al fratello l’esecuzione delle sue volontà. Giovanni ordinò fra l’altro la ricostruzione della cappella di S. Sebastiano, posta in capo della navata destra della cattedrale di S. Lorenzo, alla quale destinò la somma di 20.000 lire, pari a un decimo del proprio patrimonio, destinandone il giuspatronato al primogenito della discendenza maschile dei suoi fratelli o, in mancanza di questa, di altre linee collaterali della famiglia Senarega dettagliatamente descritte. Dispose, inoltre, che un capitale di mille luoghi del Banco di S. Giorgio fosse posto a moltiplico sino ad ascendere a 10.000 e che, una volta raggiunto tale ammontare, gli interessi annui fossero in perpetuo destinati a sussidiare i discendenti della famiglia, la cappella nella cattedrale, i poveri, l’ufficio di Misericordia e la congregazione della Dottrina cristiana e ad accrescere ulteriormente il capitale sempre reinvestendo una parte degli interessi.
Senarega, che con la morte dei fratelli Geronimo e Stefano rimase anche l’unico erede delle sostanze del fratello, curò con grande attenzione l’esecuzione delle volontà di quest’ultimo e commissionò la decorazione marmorea della cappella agli scultori Pietro Francavilla e Taddeo Carlone e la pala raffigurante Gesù Cristo Crocifisso con la Madonna, san Giovanni Apostolo e san Sebastiano al pittore Federico Barocci di Urbino. Inoltre, ebbe cura di restaurare la cappella dedicata alla Decollazione di San Giovanni Battista, fondata nel 1418 dai bisnonni Ambrogio Senarega e Franceschetta De Fornari, che nel 1602 affidò allo scultore Battista Orsolino, e il sepolcro nel chiostro della chiesa di S. Maria di Castello, ove era stato tumulato il padre, Ambrogio. Anche la madre di Matteo, Battina Marchese, emerge dalla documentazione come una figura importante nelle dinamiche sociali ed economiche della famiglia. La donna disponeva di cospicue sostanze personali, che investiva autonomamente o con il figlio Matteo, beneficiando i vari familiari, sino alla morte, avvenuta nel 1591.
Con l’ultimo testamento, dettato il 29 giugno 1603, e i successivi codicilli del 26 maggio 1604 e 2 dicembre 1606, Senarega lasciò eredi universali del pingue patrimonio i tre figli, ponendo palazzi e ville sotto vincolo di perpetuo fedecommesso primogeniturale in linea maschile o, estinguendosi questa, in linea femminile, con l’obbligo per chi fosse succeduto di assumere il nome di ‘Matteo Senarega’ e adottarne l’arma gentilizia.
Morì il 21 dicembre 1606 a Genova. Fu sepolto nella cappella di S. Sebastiano, ove gli fu eretto un sontuoso mausoleo con busto e sarcofago marmorei asportati nel XIX secolo in occasione dell’intitolazione della cappella a Nostra Signora del Soccorso.
A ricordo del giuspatronato della famiglia restano le due epigrafi celebrative apposte alle pareti laterali della cappella: quella a cornu Evangelii attesta l’indulgenza plenaria in favore di chi avesse visitato la cappella nella festività dei santi titolari che Matteo aveva ottenuto da Gregorio XIII nel 1583, mentre quella a cornu Epistolae commemora Giovanni Senarega fu Ambrogio, primo istitutore della cappella, e i giuspatronati aviti nelle chiese di S. Giacomo di Carignano e S. Maria di Castello. La discendenza dei figli di Senarega si estinse nell’arco di due generazioni, mentre quella della figlia Battina e di Giacomo Balbi fiorì nobilmente a Genova tra il più alto patriziato, assumendo il cognome Balbi Senarega e il titolo di marchesi di Piovera.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Manoscritti, 494, c. 227 (albero genealogico della famiglia Senarega); Archivio Segreto, 2859 A, Nobilitatis, doc. 21 novembre 1597; 2859 B, Nobilitatis, doc. 10 dicembre 1616; Notai antichi, 2139, doc. 25 febbraio 1558 (notaio F. Tubino); 2140, doc. 6 maggio 1559 (notaio F. Tubino); 2266, doc. 643, 20 marzo 1572 (notaio V. Calvi Carpenino); 2514, docc. 10 febbraio e 17 marzo 1586, 19 settembre 1587, 27 aprile, 7 luglio-28 agosto, 23-29 agosto e 25 agosto 1588 (notaio L. Chiavari); 2515, docc. 13 giugno 1589, 6 febbraio 1591 (notaio L. Chiavari); 2516, docc. 14 maggio e 19 giugno 1592, 14 maggio e 1° giugno 1594, 30 giugno 1595 (notaio L. Chiavari); 2517, docc. 91, 20 agosto 1572, 88, 21 giugno 1587 e 119, 7 gennaio 1593-1° aprile 1595 (notaio L. Chiavari); 2876, doc. 2 giugno 1579-5 febbraio 1582 (notaio A. Roccatagliata); 5266, doc. 171, 20 novembre 1602, con allegati disegni (notaio G. A. Carroccio); 5269, docc. 14 gennaio 1601 e 29 giugno 1603-2 dicembre 1606 (notaio G. A. Carroccio); 5415, doc. 307, 18 agosto 1623 (notaio S. Merello); Sala Senarega, 2660, Atti del Senato, doc. 232, 29 marzo-22 luglio 1689; 2829, Atti del Senato, doc. 509, 22 aprile 1705, con genealogia della discendenza di Ambrogio Gentile Senarega e di suo figlio Matteo; 3390, Atti del Senato, doc. 591, 23 agosto 1776, «Per la Congregazione della Dottrina Cristiana»; Genova, Biblioteca civica Berio, Sezione di Conservazione, m.r. V.4.2: D. Piaggio, Epitaphia, sepulcra et inscriptiones cum stemmatibus marmorea et lapidea existentia in ecclesis genuensibus, II, manoscritto cartaceo del 1720, pp. 25 e 33; m.r. VIII.2.32: Alberi genealogici di diverse famiglie nobili, compilati et accresciuti con loro prove dal molto reverendo fra’ Antonio Maria Buonaroti... (1750), pp. 382-385; m.r. IX.2.23: F. Federici, Scruttinio della Nobiltà Ligustica composto dall’eccellentissimo senator Federico Federici ad uso dell’illustrissimo signor Tomaso Fransone quondam Tomaso, manoscritto cartaceo del XVII secolo, c. 164rv.
R. Soprani, Li scrittori della Liguria e particolarmente della Maritima, Genova 1667, pp. 211 s.; L.M. Levati, Dogi biennali di Genova dal 1528 al 1699. Parte I dal 1528 al 1633, s.n.t., pp. 238-250; G. Guelfi Camajani, Il “Liber Nobilitatis Genuensis” e il Governo della Repubblica di Genova fino all’anno 1797, Firenze 1965, pp. 456 s.; Inventione di Giulio Pallavicino di scriver tutte le cose accadute alli tempi suoi (1583-1589), a cura di E. Grendi, Genova 1975, pp. 8 s., 25, 27, 30, 55, 106, 180, 196, 208, 252; C. Cattaneo Mallone di Novi, I ‘politici’ del Medioevo genovese. Il Liber Civilitatis del 1528, Genova 1987, pp. 205, 251 s., 321, 328, 360; G. Langosco, Appunti per Taddeo Carlone e Pietro Francavilla a Genova, in Paragone, s. 3, LXIX (2015), 137, pp. 60-73.