LUCCHESI, Matteo
Nacque a Venezia nel 1705 da Valentino, che era stato capitano della milizia interna cittadina. Dal dicembre 1724 al 1729 il L. frequentò i corsi "artisti" dell'Università di Padova, seguendo in particolare le lezioni di Giovanni Poleni, ed ebbe per compagno di studi Tommaso Temanza, a cui fu legato da fraterna amicizia e da una comunanza ideale che evocò più volte, e con il quale fece pratica professionale sotto la guida di G.A. Scalfarotto, proto ai Savi ed esecutori alle acque.
Per questo la loro produzione risultò spesso collegata. L'amicizia sembra essere stata rafforzata non solo dalla comune pratica professionale presso i Savi e gli esecutori alle acque, ma anche da una profonda comunanza ideologica nel segno di una forte opposizione alla cultura illuministica. Nel 1729 Temanza, poi deciso oppositore delle teorie funzionaliste in architettura di C. Lodoli e documentato biografo di numerosi architetti e scultori veneziani e veneti, pubblicò una lettera all'amico con la quale intervenne nelle discussioni sull'architettura che si svolgevano in una villa ad Angiari, sulle rive dell'Adige, fra l'abate e patrizio veneto G.B. Recanati e lo stesso L. (Lettera del signor Tommaso Temanza architetto veneziano indirizzata al signor M. Lucchese architetto pure veneziano, in Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, a cura di A. Calogerà, V, Venezia 1731, pp. 177-197). Temanza vi sostenne che l'architettura è imitazione della natura, affermando che egli e il L., contemporaneamente, avevano scoperto l'esistenza di tre sistemi architettonici originari, distinti dall'uso di materiale diverso: pietra, legname, pietra e legname insieme. Nello stesso anno Temanza espose, in un'altra lettera al L., il suo intervento sul lavello della sacristia della chiesa di S. Simeone Piccolo a Venezia (Temanza, 1963). Nel 1730 il L. pubblicò a Venezia le Riflessioni sulla pretesa scoperta del sopraornato toscano espostaci dall'autore dell'opera degli anfiteatri e singolarmente del veronese, un durissimo attacco alla quarta parte della Verona illustrata di Scipione Maffei ("Degli anfiteatri e singolarmente del Veronese"), in particolare al cap. IV del libro secondo, nel quale Maffei affermava di avere individuato nel terzo piano dell'Arena di Verona il sopraornato dello stile etrusco e sosteneva, nell'ambito di una netta esaltazione di quello stile, che molti autorevoli autori italiani e stranieri non gli avevano prestato la dovuta attenzione malgrado l'esaltazione fattane da Vitruvio. Per questa scoperta, che riteneva nuova e importante, Maffei aveva ricevuto le congratulazioni di studiosi autorevoli quali Poleni, B. Zendrini e F. Iuvarra. Nel suo scritto il L. esaltò la classicità in genere e Palladio in particolare, ma sulla base dei concetti vitruviani di firmitas, utilitas e venustas espresse anche una posizione critica nei confronti dei "veneratori delle antichità che vorranno piuttosto errare ed imitare i Romani che ben operare, secondando la natura, vale a dire il vero".
La prima mappa che testimonia la sua attività professionale di ingegnere aggiunto ai Savi ed esecutori alle acque risale al maggio 1731 e riguarda la zona del delta del Po tra la Busa delle Tolle e l'Osemino interrato. Nel 1734 il L. rilevò le terre bonificate nella laguna veneta tra il canale di Sant'Erasmo e le cavane vecchie. Nel 1739 firmò con Temanza (quest'ultimo in qualità di viceproto ai Fiumi) una relazione sulle piene del fiume Tergola; nel 1746 disegnò una mappa delle terre ai Bottenighi, di proprietà della Scuola di S. Marco; nel giugno 1748 tracciò, ancora con Temanza e T. Scalfarotto, una mappa relativa ai beni del monastero di S. Caterina di Mazzorbo presso il canale Liogrande. Come ingegnere aggiunto eseguì anche un rilevamento della valle e del bosco di Montona, in Istria, di proprietà della famiglia Diedo.
In qualità di proto del Magistrato alle acque il L. tenne una corrispondenza con G. Poleni (nel 1739 circa il rilevamento del canale degli Ebrei di Venezia, nel 1751 sulla rotta del Bassanello a Padova e sui mulini della Rivella sul canale di Battaglia), che testimonia la collaborazione fra l'allievo e il maestro in campo idraulico. Collaborò intensamente anche con altri idraulici veneti, come P. Brandolese e F. Rossi, inoltre ebbe come allievo il nipote Giambattista Piranesi, figlio di sua sorella Laura; questi però dopo non molto, divenuto insofferente dell'ambiente dei proti dei Savi ed esecutori alle acque e anche dell'insegnamento dello zio, prima entrò nello studio di P. Zucchi e poi fuggì a Roma (1743), dove trovò occupazione come disegnatore presso l'ambasciata veneta, dichiarandosi "architetto veneziano". Forse riduttivamente, Temanza spiegò poi lo scontro con il "genio stravagante" di entrambi.
La maturità del L. fu molto attiva. Nel 1749 produsse scritture e disegni intorno alle fabbriche di Rialto, raccolti da Poleni. Nel 1750 fu inviato a Bassano, insieme con il proto G. Filippini, per fornire al Magistrato alle acque una perizia sul ponte; essi sostennero l'opportunità di ricostruirne i piloni non di legno, come erano prima, ma di pozzolana. Nel giugno 1760, dal Polesine, inviò al Magistrato alle acque una relazione sul progetto di un canale di scolo che impedisse le alluvioni dell'isola di Ariano, situata fra il Po delle Fornaci e il Po ferrarese. Il progetto del canale, che iniziava in territorio ferrarese e continuava in quello veneto, era stato proposto dai Ferraresi ma non aveva ancora trovato un risposta adeguata da parte dei consorzi veneti.
Si pensava di tracciare il canale dietro la linea di confine fra i due Stati, dalle Canalette sino a incontrare un fosso in Ca' Vendramin. Il L. si espresse molto favorevolmente al progetto, ritenendo lo scolo necessario alla salubrità delle campagne, perpetuamente allagate, e alla salute degli abitanti. Dal 1762 fu impegnato a Venezia nella ricostruzione della chiesa di S. Giovanni Novo o in Oleo, da lui chiamata Redentore redento poiché riteneva di aver rimediato ad alcuni errori compositivi della chiesa del Redentore (opera del Palladio, suo ispiratore). Il fronte principale della chiesa rimase incompiuto; Temanza giudicò che la chiesa "fu murata dai fondamenti di più nobile, e decente struttura sul modello di Matteo Lucchesi". Negli elementi posti in opera il L. delineò una elaborazione di sapore neoclassico; di derivazione palladiana è anche l'articolazione della struttura interna e l'accentuazione delle membrature architettoniche in corrispondenza all'altare maggiore.
Dal 1768 al 1775 diresse come "pubblico ingeniere", sotto il controllo degli Scansadori alle spese superflue, la costruzione del Monte di pietà di San Daniele del Friuli, che fissò un momento, seppur minore, dell'architettura veneta del secolo XVIII. Il progetto originario subì notevoli trasformazioni nelle fase esecutiva ma può essere ricostruito nella prima stesura tramite lettere e documenti conservati nell'Archivio di Stato di Venezia. Il L. apportò anche notevoli cambiamenti all'ospedaletto, o Casa di ricovero per vecchi poveri e inabili al lavoro, di Baldassarre Longhena, prossimo alla chiesa di S. Maria Assunta o dei Derelitti, intervenendo nella sala della musica, nel minuscolo coro e nell'anticamera breve.
L'originalità della sua visione architettonica risalta però soprattutto nella grandiosa villa-castello di Polcenigo, oggi abbandonata, dove soluzioni tecniche molto ardite si uniscono all'elaborazione in senso neoclassico di elementi della tradizione tardobarocca. Il complesso trovò ispirazione nei palazzi del Canal Grande veneziano. Lo schema centrale del pianoterra presenta un androne centrale, profondo quanto l'edificio, tipicamente veneziano. In corrispondenza, al piano nobile, si apre un ampio salone. Colonne di ordine corinzio su alte basi attiche ritmano la superficie delle pareti. Una serie di mensole disposte sull'asse delle colonne sorreggeva una balaustra continua, accessibile dal piano dei mezzanini, con la funzione di dilatare lo spazio in altezza. Il massiccio parallelepipedo era inserito nella natura mediante due direttrici visive, una Nord-Sud attraverso il salone centrale, l'altra Est-Ovest attraverso i vani contigui.
Il L. morì a Venezia nel 1776.
Lo storico dell'arte padovano P. Selvatico giudicò negativamente sia gli scritti sia le opere del L., qualificando le sue tesi come "misere" e tali "che rivelano l'uomo atto solo a vedere nell'antico le minutaglie dell'accessorio", e le opere come quelle di "un palladiano che giura in verba magistri". La critica più recente le vede invece come manifestazioni della trasformazione dell'architettura veneziana del XVIII secolo e del suo inserimento nel vasto movimento del neoclassicismo europeo.
Fonti e Bibl.: Padova, Archivio dell'Università, Archivio antico, Matricolazione degli studenti dall'anno 1712 al 1742, IV, n. 233; Arch. di Stato di Venezia, Misc. mappe, nn. 166, 553, 642, 1163; Savi ed esecutori alle acque, B.879 (17 ag. 1750); B.882 (lettera ai Savi alla mercanzia, 25 ag. 1767); Scansadori alle spese superflue, B.97; G.A. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII fino a' nostri giorni, Venezia 1806, III, pp. 115 s.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 155 s.; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, II, Venezia 1835, p. 280 (E. Cicogna); P. Selvatico, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia dal Medio Evo ai giorni nostri, Venezia 1847, pp. 466 s.; C. Vacani, Della laguna di Venezia e dei fiumi nelle attigue provincie, Firenze 1867, p. 200; C. Frati - A. Segarizzi, Catalogo dei Codici Marciani italiani, Modena 1911, I, p. 343; II, pp. 186, 199, 206, 210, 219; H. Focillon, Giovanni Battista Piranesi: essai de catalogue raisonné de son oeuvre, Paris 1918, pp. 5, 19, 22-25, 42; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Venezia 1926, pp. 132, 306, 370; T. Temanza, Zibaldon, a cura di N. Ivanoff, Venezia-Roma 1963, pp. XII, XIV, 51; Id., Vite dei più celebri architetti e scultori veneziani che fiorirono nel secolo decimosesto, a cura di L. Grassi, Milano 1966, p. 515; Polcenigo: studi e documenti in memoria di Luigi Bazzi, a cura di A. Fadelli, Polcenigo 2002, ad indicem.