GIGLI, Matteo
Il G. nacque a Lucca il 17 febbr. 1499 da Sebastiano e da Margherita di Bartolomeo Bernardini. Oltre ai molti benefici ecclesiastici dei quali godevano nella città e nel contado di Lucca, i Gigli, antico casato lucchese, avevano ottenuto nel 1518, grazie a Silvestro di ser Nicolao, vescovo di Worcester, il diritto di patronato sul prestigioso decanato di S. Michele, eretto poi in collegiata secolare e sottratto alla giurisdizione del vescovo di Lucca. I primi due patroni furono Giovan Paolo Gigli e il G., rispettivamente fratello e nipote del vescovo di Worcester. Al G. lo zio Silvestro aveva acquistato inoltre a Roma un ufficio di scrittore apostolico e procurato il matrimonio con la gentildonna romana Lucrezia di Iacopo Quintinotti.
La corrispondenza con il concittadino Giovanni Guidiccioni, vescovo di Fossombrone, letterato e poeta, testimonia che il G. frequentava a Roma membri della familia di Alessandro Farnese, quali Girolamo Capodiferro, e letterati e giuristi, quali Pietro Mellini e Fanuccio Fanucci.
Lasciata l'Urbe nel 1527, non solo a seguito delle tragiche vicende del sacco, ma anche a causa delle disposizioni testamentarie del vescovo di Worcester, il G. assunse progressivamente in patria un ruolo politico di rilievo, grazie soprattutto al prestigio che ricadeva sulla famiglia dall'esercizio del giuspatronato su S. Michele. Frequentò con assiduità, presso l'umanista lucchese Gherardo Sergiusti, studioso di s. Paolo e seguace di Erasmo, le prime riunioni di un cenacolo letterario e spirituale designato da Caponetto (p. 81) "trafila erasmiana lucchese". Proprio dal G., al quale aveva dedicato nel 1523 due componimenti poetici, il Sergiusti venne persuaso nel settembre 1536 ad accettare la cattedra nello Studio di Bologna. Qui il Sergiusti fu raggiunto dal figlio del G., Silvestro, suo allievo, destinato in quell'anno a ricoprire in patria la carica di decano di S. Michele.
Negli anni successivi crebbe l'interesse autentico del G. per la vita religiosa. Così, nel 1538, a seguito della predicazione quaresimale di Bernardino Ochino a Lucca, il G. si era adoperato affinché il decanato offrisse ai cappuccini, dei quali l'Ochino era allora generale, un terreno per costruirvi un convento. Poco dopo, il G. partecipò, con il nipote Martino e altri familiari delle monache di S. Giovannetto, al "colloquio" durante il quale vennero prese misure per porre un freno agli episodi di promiscuità verificatisi tra le monache e i frati di S. Frediano.
Nel 1541 il G., con il nipote Martino e altri membri della "trafila erasmiana", convinse Sergiusti a lasciare la cattedra milanese per riprendere l'insegnamento a Lucca. Durante l'inverno 1542, il G. faceva parte, come sembra, di quella "pia chiesa di uomini fedeli" (McNair, p. 271) di inclinazioni filoriformate, che Pietro Martire Vermigli, allora priore del convento lucchese di S. Frediano, raccoglieva intorno a sé. Nel luglio successivo, allorché Lucca era agitata da numerosi episodi di inquietudine religiosa, l'oratore della corte di Mantova presso la S. Sede affermava che il G. durante la quaresima aveva negato a Roma "il libero arbitrio", mentre a Lucca si vociferava che egli "diceva messa" (Solmi, p. 64).
Quando l'umanista erasmiano e filoriformato Aonio Paleario venne assunto, nel 1546, nelle scuole cittadine, il G. fece più volte parte della magistratura addetta al loro funzionamento. I rapporti tra il G. e il Paleario furono favoriti anche dall'amicizia di quest'ultimo con il figlio del G., Silvestro, allora ecclesiastico e letterato di Curia. Silvestro a Roma era in dimestichezza con Marcantonio Flaminio e con il cardinal Reginald Pole e sembra che frequentasse gli ambienti valdesiani dai quali era uscito il Beneficio di Cristo.
In questi stessi anni il G. faceva parte della "Ecclesia Lucensis", un'adunanza laicale decisamente filoriformata. Secondo la testimonianza di un membro della conventicola, il soldato Rinaldo da Verona, il G. non avrebbe però mai negato il valore sacramentale della messa e la presenza reale di Cristo nell'eucarestia. Avrebbe anzi condiviso l'opinione secondo la quale "se si levassino li abusi della Chiesa non ci sarà contrasto alcuno" (Lucca, Arch. arcivescovile, …, Raynaldi Veronensis processus, costituto del 3 genn. 1555, c. 7r). Nel settembre 1549 il Consiglio cittadino propose di mettere al bando per "discolato" (per insubordinazione verso lo Stato), sei membri dell'"Ecclesia", fra i quali il G., ma la proposta non ebbe seguito.
Il nome del G. compare, qualche anno dopo, fra quelli dei sospetti di eresia rivelati da Rinaldo da Verona, processato dal tribunale vescovile di Lucca a partire dal 31 dic. 1554. Nel luglio 1555 il G., insieme con altri lucchesi, venne accusato di eresia anche dal domenicano Girolamo da Firenze, nel corso del processo aperto da Paolo IV contro il cardinale Giovanni Morone. Malgrado ciò, il G. rimase indisturbato a Lucca fino al settembre 1558, allorché il Consiglio lo incarcerò per esercitare pressioni sul figlio Silvestro, che, divenuto influente ecclesiastico, si era posto in urto con la Repubblica, accusando da Roma il governo di proteggere gli eretici e di esercitare violenze a danno delle libertà ecclesiastiche. Il G. fuggì a Pescia, in territorio fiorentino, ma nello stesso mese venne citato a Roma e incarcerato dall'Inquisizione a Tor di Nona. Condannato a pagare 1000 scudi d'oro, il G. fu liberato nel 1560, dopo la morte di Paolo IV, ma il suo nome era ancora sospetto a Lucca nel 1567, un anno prima della sua morte, sopraggiunta nel 1568.
Malgrado la fama di eresia che sempre lo accompagnò, il G. percorse un brillante cursus honorum nelle magistrature cittadine: entrato in Consiglio nel 1527, fu più volte ambasciatore, anche presso Carlo V e Paolo III. Oltre a far parte regolarmente del Consiglio dei trentasei e a essere eletto tra gli Anziani sette volte fra il 1529 e il 1566, nel 1546 venne nominato segretario. Fu quattro volte gonfaloniere fra il 1536 e il 1555 e, ancora dopo la sua detenzione a Roma, nel 1562 e nel 1568.
Poco sappiamo delle sue attività di affari: il G., dall'agosto 1544 divenne titolare, con i nipoti Girolamo e Martino, della ragione di commercio di Giovanni Buonvisi, già da loro amministrata. La nuova società, governata anche da Simone Turchi, fallì nel 1551, dopo che quest'ultimo ebbe assassinato ad Anversa Girolamo Diodati, come ricorda Matteo Bandello in una celebre novella. La compagnia rimase travolta, probabilmente, anche dalla crisi che investì in quell'anno la mercatura lucchese.
Il G. ebbe sei figli maschi, due dei quali, Giovan Paolo e Giglio, morirono giovani, e tre figlie: Laura, Ortensia e Giulia, maritate rispettivamente a Vincenzo Saminiati, ad Antonio Narducci e a Giuseppe di Poggio. Tra i figli superstiti, Bastiano, nato probabilmente a Roma, esercitò il mestiere delle armi e servì con il titolo di capitano Ottavio Farnese e Cosimo de' Medici. Iacopo, ecclesiastico, fu in rapporto con letterati come Pietro Aretino, Pompeo Della Barba e Ludovico Domenichi e, come il padre, sembra avere nutrito simpatie per la Riforma. Marcantonio, sposato con Elisabetta di Alessandro Bernardi, quattro volte anziano (tra il 1556 e il 1574) e tre gonfaloniere, ambasciatore a Firenze nel 1582, esercitò la mercatura in Francia ed ebbe rapporti con Matteo Bandello. Infine Silvestro, nato, come sembra, nel 1517, sospettato dell'omicidio di un ecclesiastico, venne bandito da Roma nel 1560. Riparò a Venezia, dove morì nel 1574.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Colloqui, 7, 29 ag. 1538, c. 476; 20 ott. 1538, cc. 486 s.; Consiglio generale, 44, 24 sett. 1549, c. 502; Offizio sopra la religione, 5, c. 379; Lucca, Arch. arcivescovile, Tribunale ecclesiastico, Raynaldi Veronensis processus, costituto del 31 dic. 1554, c. 4v; costituto del 3 genn. 1555, cc. 4v, 7r; Ibid., Bibl. statale, ms. 1008: Descrizione della famiglia dei Gigli copiata da una fatta da me Martino di Niccolò di Martino Gigli il 1618, cc. 12r, 13r, 28v, 29r; Pisa, Arch. arcivescovile, Fondo inquisitoriale, 1, Osservazioni, cc. n.n.; G. Sergiusti, Progymnasmaton libellus, Lucae 1523, cc. Piiir, Pviiv; A. Paleario, Epistolarum libri IV, Orationes XII, De animorum immortalitate Libri III, Basileae s.d., pp. 170 s.; G. Guidiccioni, Opere, a cura di C. Minutoli, I, Firenze 1867, p. 185; Id., Le lettere, a cura di M.T. Graziosi, I, Roma 1979, pp. 56 s., 64 s.; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, I, Il Compendium, Roma 1981, pp. 194, 312; II, Il processo d'accusa, ibid. 1984, pp. 112, 334; G. Sergiusti, Sommario de' successi della città di Lucca, a cura di R. Ambrosini - A. Belegni, Pisa 1997, pp. 136, 141, 143; G. Tommasi - C. Minutoli, Sommario della storia di Lucca, Firenze 1847, pp. 226 s.; C. Sardi, Dei mecenati lucchesi del secolo XVI, in Atti dell'Accademia lucchese di scienze, lettere e arti, XXI (1892), p. 41 dell'estratto; E. Solmi, La fuga di Bernardino Ochino secondo i documenti dell'Archivio Gonzaga di Mantova, in Bull. stor. senese di storia patria, XV (1908), p. 64; U. Dorini, Cosimo I e l'eresia in Lucca, in Miscellanea lucchese di studi storici e letterari in onore di Salvatore Bongi, Lucca 1931, p. 273; L. Nanni, Il clero della cattedrale di Lucca nei secoli XV e XVI, in La Bibliofilia, IX (1958), p. 270; Ph. McNair, Pietro Martire Vermigli. Un'anatomia di un'apostasia, Napoli 1971, pp. 271, 282; S. Caponetto, Aonio Paleario (1503-1570) e la Riforma protestante in Toscana, Torino 1979, p. 81; S. Adorni Braccesi, Giuliano da Dezza, caciaiuolo: nuove prospettive sull'eresia a Lucca nel XVI secolo, in Actum Luce, IX (1980), pp. 116, 130; R. Sabbatini, "Cercar esca". Mercanti lucchesi ad Anversa nel Cinquecento, Firenze 1985, pp. 35, 124; U. Bittins, Das Domkapitel von Lucca im 15. und 16. Jahrhundert, Frankfurt a.M. 1992, pp. 225-250.; S. Adorni Braccesi, "Una città infetta". La Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Firenze 1994, pp. 118, 269 e passim; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1999, ad indicem.