DIAMANTI, Matteo
Nacque a Pistoia interno al 1360. Il padre, ser Lazzaro di Donato, era cavaliere della Milizia della beata e gloriosa Vergine Maria, l'Ordine monastico fondato da Loderengo Andalò ed approvato nel 1261 da Urbano IV, i cui membri venivano definiti dalla voce popolare "fratres" o "milites gaudentes"; la madre era una sorella di Andrea Franchi, vescovo di Pistoia dal 1381 al 1400.
Niente sappiamo della formazione culturale del D.: la più antica notizia a noi nota che lo riguardi è infatti del 1390, quando egli divenne canonico della cattedrale di Pistoia. Nel 1400 Andrea Franchi, allora vescovo di Pistoia, manifestò il proposito di rinunziare al mandato, per ritirarsi in un convento, ed espresse il desiderio di avere come successore il D., suo nipote. Ciò scatenò il malcontento del clero pistoiese, nel quale molti erano gli aspiranti alla cattedra episcopale. Questi ultimi intrapresero una lotta accanita contro tale candidatura, finché Bonifacio IX, papa di obbedienza romana, intervenne con una bolla del 20 febbr. 1400 con la quale accettava la rinunzia del Franchi e chiamava a succedergli il D., che assunse solennemente la nuova dignità il 30 maggio di quello stesso anno.
A quella data già da un ventennio lo scisma dilaniava la Cristianità occidentale dividendola in due tronconi, ognuno dei quali riconosceva l'autorità di un proprio pontefice. Il D. fu tra coloro che più si adoperarono per la convocazione di un concilio che ponesse fine a tale stato di cose, e quando un folto numero di prelati sostenuto da alcuni principi si riunì finalmente in concilio a Pisa il 25 marzo 1409 vi corse fra i primi, benché la convocazione non fosse in armonia con le norme canoniche: non era stata compiuta né da Gregorio XII, il papa di obbedienza romana, né da Benedetto XIII, il papa di obbedienza avignonese. In quella sede il D. si fece assertore della necessità di deporre Gregorio XII e Benedetto XIII e dell'elezione di un nuovo pontefice, sotto la cui autorità si sarebbe dovuto ricostituire l'unità del mondo cristiano.
L'assemblea, in effetti, finì col dichiarare deposti sia il pontefice di obbedienza romana, sia quello di obbedienza avignonese (5 giugno), ed innalzò al soglio pontificio il cardinale Pietro Filargo (26 giugno), che venne consacrato papa il 7 luglio col nome di Alessandro V. Sia Gregorio XII sia Benedetto XIII si rifiutarono di accogliere i provvedimenti del concilio di Pisa, del quale non riconoscevano la legittimità; né, d'altro canto, Alessandro V ebbe la forza per imporsi ad essi. I prelati riuniti a Pisa non avevano risolto la crisi, l'avevano anzi aggravata, come apparve l'anno seguente quando, scomparso il 3 maggio 1410 Alessandro V, venne dato a quest'ultimo, il 17 maggio, un successore nella persona di Baldassarre Cossa, che prese il nome di Giovanni XXIII. Grazie all'azione politica svolta dall'imperatore eletto Sigismondo del Lussemburgo si poté tuttavia riunire a Costanza, il 1º nov. 1414, una solenne assemblea della Cristianità per decidere la soluzione dello scisma con maggior autorità e sicurezza di consensi. Il concilio riunificò il mondo cattolico e dopo aver proclamato la decadenza dei pontefici delle tre obbedienze elesse papa Ottone Colonna (11 nov. 1417), che prese il nome di Martino V.
Il D. partecipò anche a questo concilio, nel corso del quale gli fu commessa la presentazione dei ricorsi della nazione italiana. L'aver propugnato, durante i lavori, la radicale proposta di estromettere il Collegio dei cardinali dalle discussioni su questioni suscettibili di compromettere l'unità della Chiesa gli attirò molte inimicizie, tra cui quella dell'umanista Sozomeno da Pistoia, che, in una lettera scritta al vescovo di Piacenza il 14 marzo 1419, lo accusò di voler annientare l'autorità del S. Collegio. Il Sozomeno, tuttavia, non fu né il solo né il primo dei nemici del D., che furono anzi in grande numero fin dai tempi del suo ingresso nella carica episcopale, ed erano andati sempre più aumentando a causa dell'intransigenza del suo carattere e dell'estremismo di talune tesi da lui sostenute. Questi nemici facevano continuamente circolare accuse contro di lui, alcune delle quali erano giunte a più riprese anche agli orecchi del papa. Gli addebiti che più di frequente venivano mossi al D. erano quello di essersi procurato con la frode la cattedra episcopale, estorcendo la rinunzia dello zio; quello di denigrare il Collegio dei cardinali; quello, infine, di condurre una vita privata scorretta e immorale. Esisterebbero, sembra, documenti secondo cui anche i massimi organi di governo di Pistoia e di Firenze avrebbero ripreso queste accuse e chiesto per il D. il confino a Genova.
Un memoriale fu fatto pervenire a Giovanni XXIII; esso faceva seguito ad altri dello stesso genere pervenuti ai pontefici precedenti. Giovanni XXIII volle però far piena e definitiva luce sulla delicata materia ed incaricò il vescovo di Pisa A. Adimari e quello di Palestrina A. Sommariva di svolgere indagini in proposito. I due prelati iniziarono l'inchiesta, approfondirono la questione, ascoltarono alcuni testimoni ed infine rimisero al papa i risultati delle loro indagini. Giovanni XXIII pose fine alla vicenda con la bolla data a Bologna il 1º marzo 1414, con la quale riconosceva destituite di ogni fondamento le accuse mosse al vescovo di Pistoia.
Il 15 luglio 1419 il D. presentò ricorso contro l'atto di papa Martino V che sopprimeva il privilegio di esenzione di cui aveva sin'allora goduto la diocesi di Pistoia e la rendeva suffraganea dell'arcidiocesi fiorentina, appellandosi alla superiore autorità del concilio.
Per quanto riguarda l'attività pastorale svolta dal D. all'interno della diocesi pistoiese, ricordiamo il sinodo diocesano da lui convocato il 17 dic. 1406, nel corso del quale furono richiamate in vigore disposizioni severe sui doveri del clero, prima tra tutte quella riguardante l'obbligo di risiedere nella sede di destinazione. Emanò anche provvedimenti per reprimere ogni abuso nell'amministrazione delle opere pie. Riorganizzò la scuola capitolare di Pistoia, cui era sua intenzione annettere un collegio per i chierici. Appunto alla fondazione di questo collegio, nel suo testamento, rogato il 26 ott. 1424 dal notaio ser Schiatta di Paolo, egli destinò tutto il suo patrimonio privato, detratti alcuni lasciti minori. La sua estrema volontà non fu tuttavia rispettata da Ubertino Albizzi che gli successe sulla cattedra pistoiese e che destinò ad altro scopo il lascito del D., il cui progetto fu poi ripreso dal papa Eugenio IV che, nel 1435, fondò a Pistoia un collegio per dodici chierici, regolandone la vita con le costituzioni che da lui furono chiamate eugeniane.
Incerta è la data della morte del D.: gli atti ordinari di Curia sotto il suo nome si arrestano al 20 nov. 1425. Dello stesso giorno è un atto con cui il Comune di Firenze, essendosi diffusa la notizia della sua morte, chiede al papa di dargli come successore Ubertino Albizzi. Il Mazzanti, sulla base di altri documenti, posticipa di due giorni tale data. Incerto anche il luogo della sepoltura: l'ipotesi più accreditata la pone nella cappella del S. Cingolo di Prato.
I biografi del D. gli attribuiscono la compilazione di molti scritti aventi per argomento sia lo scisma d'Occidente sia le tesi presentate e discusse al concilio di Costanza; sembra però che nessuno di essi sia giunto fino a noi.
Fonti e Bibl.: Per la letteratura e l'edizione delle fonti si rinvia ad A. Mazzanti, M. D. vescovo di Pistoia, Pistoia 1935, che rappresenta ancora oggi la più completa e recente biografia di questo vescovo pistoiese. Per notizie sul testamento del D. si veda V. Capponi, Biografia pistoiese, Pistoia 1878, pp. 151 ss.