SERAO, Matilde
Romanziera e giornalista, nata il 7 marzo 1856 a Patrasso (Grecia), da Francesco, profugo napoletano, e Paolina Bonelly, di nazionalità greca; morta a Napoli il 25 luglio 1927. Studiò a Napoli, e finita la scuola normale fu impiegata per tre anni ai telegrafi dello stato. Prese a pubblicare bozzetti e novelle su fogli locali; collaborò alla Gazzetta letteraria piemontese, finché entrò nella redazione del Corriere del mattino, diretto da Martin Cafiero. Nel 1882, trasferitasi a Roma, scrisse sul Capitan Fracassa, Fanfulla della domenica, Nuova Antologia, Cronaca bizantina. Stampò nel 1883 il suo primo romanzo notevole: Fantasia. Nel 1884 sposò E. Scarfoglio, insieme col quale fondò il Corriere di Roma e poi il Corriere di Napoli (per le vicende di essi, v. scarfoglio, eduardo). Nel Corriere di Napoli la S. creò una rubrica mondana: Api, mosconi e vespe, che fece la fortuna del giornale. Condirettrice del Mattino fino al 1904 quando si separò dal marito, la S. fondò allora Il Giorno, che diresse fino alla morte. In apposita rubrica, intitolata Paravento, con lo pseudonimo "Gibus" già adottato per i Mosconi del Mattino, dava nel Giorno un breve articolo quotidiano di vario argomento.
L'opera giornalistica della S. non oltrepassa un interesse locale. Il nome di lei essenzialmente si raccomanda ad alcuni romanzi e novelle (in una produzione d'oltre quaranta volumi; ediz. Treves, Bemporad, ecc.; e molte edizioni abusive), in special modo: Fantasia; La virtù di Checchina; Piccole anime; Il romanzo della fanciulla, ecc., tutti del tempo giovanile. La ballerina (1899), Suor Giovanna della Croce (1901) sono forse gli ultimi libri nei quali, descrivendo ancora una volta miserie e affanni del piccolo ceto napoletano, la S. ritrovò gli accenti più schietti. Ché intanto, e poi sempre più, veniva avvolgendosi in un misticismo confuso e verboso, in un romantico cosmopolitismo di cattivo gusto. Ma è inutile insistere su tali deviazioni, dal momento ch'ella seppe dare tanto di meglio.
Come notò B. Croce in un saggio rimasto fondamentale, la S. che conta e conterà è quella che s'ispira alle angosce degli umili, che appassionatamente rievoca aspetti mutevoli e toccanti della vita napoletana, continuamente dimenticando i programmi della narrativa "verista". Il suo dialogo è allora spigliato e convincente; sicura l'intuizione delle anime, specialmente giovani. Lo stile è inadorno, ma capace di tenere suggestioni, di penetrazioni sottili; talvolta anche d'una certa barocca grandiosità. Così nelle pagine sul carnevale, nel Paese di cuccagna (1890), che sarebbe fra gli ottimi romanzi della S. se non l'avesse guastato l'intento polemico. Si può notare che a codesta vita popolaresca attinge anche il misticismo della S., il suo cristianesimo ingenuamente paganeggiante; escluse s'intende le presuntuose alterazioni di tono bourgetiano. Gran parte dei libri della S. è tradotta in molte lingue.
Bibl.: Indicazioni bibliografiche in La critica, I, p. 434 segg.; R. Garzia, M. S., Rocca S. Casciano 1916. Sull'opera: B. Croce, La letteratura della nuova Italia, 3ª ed., III, Bari 1929, pp. 33-72; G. A. Borgese, La vita e il libro, 2ª ed., Bologna 1928; L. Russo, I narratori, Roma 1923. Biografia, aneddoti, ecc.: L. Lodi, Giornalisti, Bari 1930; U. Ojetti, Cose viste, II, IV, Milano 1924 e 1928; Lettere di E. Scarfoglio, in Pégaso, sett. 1931. Buona antologia: A. Consiglio, Le più belle pagine di M. S., Milano 1934.