RIDOLFI, Mario
RIDOLFI, Mario. – Nacque a Roma il 5 maggio 1904, ultimo dei cinque figli sopravvissuti (su dieci) di Salvatore, artigiano decoratore di origini marchigiane, e di Egle Sestili, casalinga nata a Terni.
Avviato al mestiere del padre, fu però l’unico tra i suoi fratelli ad aver modo di proseguire gli studi soprattutto per il concreto interessamento di Vittorio Ribaudi, ingegnere presso il quale il giovane lavorò dal 1918 al 1923, inizialmente come dattilografo, poi come disegnatore. Terminate le scuole inferiori, Ridolfi si iscrisse ai corsi serali per disegnatori di mobili e di architettura del Museo artistico industriale (C. Conforti, Gli anni della formazione e l’insegnamento presso il Museo artistico industriale di Roma, in Mario Ridolfi architetto. 1904-2004, 2005, pp. 58-64), e quindi, nell’anno accademico 1923-24, iniziò a frequentare la Scuola superiore di architettura di Roma. Di quella scuola fu tra gli studenti di spicco, e per il suo talento nel 1925 Adalberto Libera, appena giunto a Roma, lo volle conoscere per ingaggiare quella che Ridolfi stesso avrebbe definito una «gara di leale emulazione» (Ponti, 1943, p. 14), un confronto serrato, a colpi di squadra e compasso, tra due giovani di diversa provenienza, temperamento e formazione, ma di pari aspirazioni.
La presenza di Libera in questi anni fu fondamentale per Ridolfi. Egli sentiva, infatti, che l’esuberante amico trentino poteva traghettarlo fuori dalle acque paludose dell’accademismo romano: «La tua lettera – gli scrisse nell’estate del 1927 in risposta al racconto dell’eccitante esperienza vissuta da Libera al Weissenhof di Stoccarda – mi risveglia, e mi scuote dal torpore passatista del quale sono schiavo» (P. Melis, Mario Ridolfi e Adalberto Libera. Considerazioni in margine alla scoperta di alcuni documenti e frammenti inediti riguardanti la storia del loro «proficuo contatto», in Mario Ridolfi architetto. 1904-2004, 2005, p. 66).
Insieme parteciparono ai primi incontri del gruppo romano dei razionalisti, fortemente incentrato intorno alla figura di Libera, organizzatore con Gaetano Minnucci della I Esposizione italiana di architettura razionale, inaugurata nel palazzo delle Esposizioni di Roma il 28 marzo 1928. Qui Ridolfi, ancora studente, espose cinque progetti, tra cui la sorprendente Torre dei ristoranti. Conseguì la laurea nel 1929 con il progetto per una colonia marina a Castelfusano, riportando la votazione di 105/110. Nel luglio dello stesso anno Libera lo coinvolse nell’elaborazione di un progetto per casette economiche a Tor di Quinto.
Nel 1930 ottenne il Pensionato artistico nazionale, premio di eccellenza con borsa di studio e viaggio di apprendimento all’estero. Sempre nel 1930 iniziò a insegnare presso l’istituto tecnico industriale Carlo Grella (poi Galileo Galilei) di Roma. Nell’estate di quello stesso anno, durante una vacanza all’Isola del Giglio, conobbe Adele (Lina) Caffoni, che avrebbe sposato il 29 giugno 1931: dal matrimonio nacquero Massimo (novembre 1931), Fabio (gennaio 1933), Stefano (maggio 1935) e Furio (luglio 1938).
Il 1930 fu anche un anno di fervida attività politica: in marzo prese vita il Gruppo nazionale architetti razionalisti italiani (GNARI), confluito alla fine di luglio nel Movimento italiano per l’architettura razionale (MIAR), cui si deve l’organizzazione della II Esposizione di architettura razionale presso la galleria di Roma, diretta da Pier Maria Bardi. Alla mostra, aperta il 30 marzo 1931 tra il generale entusiasmo per la partecipazione di Benito Mussolini, Ridolfi espose quattro progetti: la Colonia marina (tesi di laurea), l’Asilo all’isola del Giglio (prima sua opera costruita), le Casette economiche a Tor di Quinto (con Libera) e la Palazzina da 24 appartamenti (di fronte alla quale si soffermò a lungo Mussolini, come testimoniano le immagini del Cinegiornale dell’Istituto Luce).
Diverso il clima, però, già all’indomani dell’inaugurazione, per le aspre polemiche generate dal fotomontaggio derisorio del «tavolo degli orrori» e per la dura controffensiva messa in atto da coloro che si sentirono oltraggiati dalle provocazioni di Bardi. Seguirono giorni di attacchi e di polemiche che sfociarono nello scioglimento del MIAR. Tuttavia, malgrado Ridolfi avesse partecipato alle riunioni e firmato i principali documenti del gruppo, il suo ruolo rimase sempre pragmaticamente marginale: «io non ero abbastanza colto per difendermi né abbastanza coraggioso per uscirne fuori, avevo famiglia e molti figli», ricordò qualche tempo dopo (Amara confessione, s.d. [1960], p. 224, poi in Cellini - D’Amato, 2003, p. 441).
In quegli anni iniziò a collaborare con Mario Fagiolo, conosciuto nel periodo universitario. Insieme parteciparono a diversi concorsi, tra cui quelli per la nuova Palazzata di Messina (1930-31, con Libera), per i villini a Ostia Lido (1932), per la fontana di Terni, in piazza Tacito (1932, progetto vincitore). Proprio con la partecipazione a un concorso – quello per il palazzo delle Poste in piazza Bologna a Roma (1933) – si concluse tra mille ombre il loro breve sodalizio: per avere maggiori opportunità Ridolfi e Fagiolo elaborarono due progetti, firmandoli, come richiesto dal bando, individualmente; decretato vincitore il progetto firmato da Ridolfi, questi freddamente estromise Fagiolo, da allora escluso anche dalle fasi esecutive della fontana di Terni.
Profondamente amareggiato, pochi anni dopo Fagiolo avrebbe lasciato in maniera definitiva la professione per dedicarsi, con lo pseudonimo di Mario dell’Arco, alla poesia dialettale. I rapporti tra i due non si sarebbero più ricomposti.
Sul finire del 1933 avvenne l’incontro con Wolfgang Frankl, figlio di un noto storico dell’arte e di un’affermata pittrice, laureato alla Technische Hochschule di Stoccarda e appena giunto a Roma in fuga dalla Germania nazista. Fu Libera a presentare Frankl a Ridolfi, al tempo in cerca di un aiuto per la redazione dei disegni esecutivi del palazzo delle Poste di piazza Bologna. Iniziò così un rapporto professionale, destinato a durare molti anni, tra due uomini profondamente diversi, sanguigno ed estroverso Ridolfi (il ‘prof’ nel lessico quotidiano dello studio), riservato quanto risoluto Frankl (‘Volfango’ da quando prese la cittadinanza italiana, più spesso abbreviato in ‘Volf’), ma accomunati dallo stesso modo di intendere la progettazione e dalla cura per i dettagli costruttivi. E fu Frankl a presentare a Ridolfi Konrad Wachsmann, e insieme a portarlo verso la cultura artistica e architettonica tedesca. Fra i tre si instaurò presto un «sodalizio di idee» (Bellini, 1993, p. 24) che sfociò in alcuni episodi progettuali: l’istituto Bordoni di Pavia (per il quale Wachsmann realizzò anche un modello in legno), il regio liceo scientifico di Perugia, le palazzine Rea e Colombo, in cui forti sono gli accenti nordeuropei.
Quelli furono però anni di moderata attività professionale per Ridolfi, segnati dalla partecipazione, senza esiti positivi, ad alcuni concorsi di rilievo: per il palazzo del Littorio (primo grado: 1933-34; secondo grado: 1937), cui prese parte insieme con Vittorio Cafiero, Ernesto La Padula ed Ettore Rossi, con i quali al tempo condivideva lo studio in via di Villa Ruffo; per il ponte sul Tevere al foro Mussolini (1935); per il palazzo della Civiltà Italiana (1937) e per quello delle Forze Armate (1937-38), destinati all’Esposizione universale di Roma.
Ridolfi ottenne invece la vittoria al concorso per il ministero dell’Africa Italiana (1937-38, ora sede FAO - Food and Agriculture Organization; con Alberto Legnani, Armando Sabatini, Giulio Rinaldi, Cafiero, Rossi e Frankl, quest’ultimo presente solo nelle fasi finali), la cui costruzione ebbe inizio il 31 agosto 1938.
La proclamazione dei provvedimenti antisemiti nel luglio del 1939 avrebbe però costretto Frankl ad abbandonare l’Italia, rifugiandosi in Inghilterra; poco dopo, l’entrata in guerra dell’Italia avrebbe portato al blocco dell’attività edilizia, obbligando Ridolfi a chiudere lo studio e a ricavare uno spazio di lavoro nel soggiorno della sua casa in via Pannonia. Pochi gli impegni professionali: tra i più rilevanti, il concorso per gli stabilimenti carcerari tipo (1940, con Rinaldi e Sabatini) e il progetto di edifici residenziali per la mostra dell’Abitazione che si sarebbe dovuta tenere all’Esposizione universale del 1942.
Se in quest’ultimo episodio, in particolare nello studio per la casa «a ville sovrapposte», Ridolfi riprese i termini di un raffinato razionalismo, nel contemporaneo progetto per l’azienda agricola Guglielmo Visocchi a Sant’Elia Fiumerapido (1940-43, con Rinaldi) adottò invece i toni sommessi dell’architettura rurale, ponendo in essere i presupposti della successiva stagione neorealistica.
Negli anni del forzato stallo professionale, Ridolfi dedicò molte energie ad ampliare il suo personale ‘archivio edile’, una raccolta di materiali sulle componenti edilizie iniziata con Frankl nel decennio precedente come risposta alla diffusa sciatteria nella pratica costruttiva del tempo, e a sviluppare gli studi manualistici, i cui primi esiti trovarono spazio in alcuni articoli, in seguito ripresi e ampliati nel Manuale dell’architetto (1946), cui, oltre a Ridolfi, per un anno lavorarono, per conto del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche)-USIS (United States Information Service) e sotto il diretto interessamento di Bruno Zevi, anche Cino Calcaprina, Mario Fiorentino, Luigi Piccinato e uno stuolo di giovani architetti. Zevi chiamò poi Ridolfi a partecipare alle iniziative dell’APAO (Associazione Per l’Architettura Organica) come direttore della rivista Metron e come insegnante al corso di tecnologia e pratica della progettazione architettonica alla scuola di architettura organica.
Negli anni a cavaliere del secondo conflitto mondiale nella vita di Ridolfi architettura e politica si intrecciarono più saldamente: durante la guerra era entrato in contatto con la Resistenza (il suo nome compariva nell’agenda di Gioacchino Gesmundo, martire alle Fosse Ardeatine, motivo per cui Ridolfi fu duramente interrogato dai nazisti); nell’immediato dopoguerra si registrarono prima l’adesione ‘militante’ all’APAO, quindi la presentazione alle prime elezioni comunali romane del 1946 nelle liste del Blocco del popolo (dove risultò eletto, ma in un Consiglio comunale che si sarebbe riunito solo due volte), e infine la successiva rielezione nel 1947.
Intanto riprendeva, sebbene lentamente, l’attività professionale. Già nel 1945 gli venne affidata l’elaborazione del piano di ricostruzione di Terni, primo incarico tra i tanti che avrebbe svolto nella città umbra. Nel 1946 fu tra i redattori del Piano per le arterie di scorrimento di Roma. L’anno seguente partecipò al concorso per l’edificio di testa della stazione Termini (con Ludovico Quaroni e Fiorentino), progetto che non ebbe esito positivo, lasciandogli una profonda amarezza.
Accanto a queste prove di maggiore rilievo, si ricordano alcuni progetti di ristrutturazione di appartamenti, molti dei quali condivisi con il fratello Angelo, che dopo la guerra aveva rilevato la ditta paterna.
Seguirono poi anni di importanti progetti e realizzazioni, condotti nuovamente con Frankl, tornato a Roma nel 1948, e dal 1949 con la collaborazione di Domenico (Mimmo) Malagricci, al tempo appena diplomato al Galilei. Tra i principali incarichi di quegli anni, la sopraelevazione del villino Alatri in via Paisiello (a Roma, 1948-52, con Fiorentino), le case INCIS (Istituto Nazionale Case Impiegati Statali) a Messina (1949-52), gli edifici a torre INA (Istituto Nazionale delle Assicurazioni) in viale Etiopia (a Roma, 1949-55) e le case Chitarrini (1949-51) e Fongoli (1949-57), entrambe a Terni, così come le ‘case siamesi’ nel quartiere Italia (1949-51), primo intervento INA Casa dello studio realizzato nell’ambito del piano per l’occupazione operaia e la costruzione di case per i lavoratori voluto dall’allora ministro del Lavoro Amintore Fanfani. Lo schema di queste case, con alcune varianti, comparve nel primo fascicolo normativo di «suggerimenti» per i progettisti e poi venne nuovamente adottato dallo stesso Ridolfi nei complessi INA Casa di Cerignola (1950-51) e del Tiburtino (1950-56), poiché ben incarnava quella dimensione, paesana e spontanea, che si riteneva dovesse essere degli abitanti dei nuovi quartieri, perlopiù contadini appena inurbati, e propria dei luoghi in cui sarebbero sorti i nuovi insediamenti, vasti terreni nella campagna intorno alla città; e rispondeva a tecniche e pratiche costruttive consolidate, riflettendo un certo estremismo nella rinuncia.
Episodio importante all’interno della vicenda INA Casa, il Tiburtino risulta fondamentale anche nella lettura dei progetti per quartieri popolari elaborati in seguito dal Gruppo R (Ridolfi, Frankl, Malagricci, Rinaldi, Vincenzo Gabbuti, Vinicio Paladini) a Treviso, Conegliano, Belluno e Tivoli, proprio in riferimento all’investigazione sulla normalizzazione del processo architettonico e sull’unificazione degli elementi edilizi.
Parallelamente continuava l’attività per committenze diverse, pubbliche e private, tra le quali la palazzina Zaccardi a Roma (1950-54), la scuola media in via Fratti a Terni (1951-61), la palazzina Mancioli a Roma (1952-54), la palazzina INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) in via Marco Polo (1952-56), nota anche come ‘casa delle streghe’, dove Ridolfi andò ad abitare trasferendovi anche il suo studio; quindi le strutture carcerarie di Cosenza (1953-60) e di Nuoro (1953-64), le case per lavoratori a Livorno (1953-54), l’asilo d’infanzia Olivetti nel quartiere Canton Vesco a Ivrea (1954-64) e la scuola materna a Poggibonsi, nel Senese (1955-64).
A fronte di tanto coinvolgimento professionale, avvenne tuttavia in quegli anni una progressiva estraniazione dal dibattito architettonico, e le riviste dedicarono poca attenzione al suo lavoro. Passò quasi sotto silenzio anche il conferimento nel 1953 del premio Antonio Feltrinelli per l’architettura, che Ridolfi ricevette all’Accademia nazionale dei Lincei dalle mani del presidente della Repubblica Luigi Einaudi.
È del 1955 l’incarico per la redazione del nuovo piano regolatore generale di Terni (1955-59, con Frankl e Giovanni Possenti), un’occasione per operare nel cuore della città storica, che gli diede modo di realizzare di fronte a palazzo Spada le case Franconi (1959-62) e Pallotta (1960-64) e, poco distante, l’edificio con abitazioni e magazzini per i fratelli Briganti (1959-66); mentre vicino alla stazione progettò la cosiddetta casa dei 44, un fabbricato di abitazioni per i dipendenti della società Terni (1956-60), e a ridosso del centro il complesso polifunzionale Fratelli Fontana (1959-66).
Nel 1961 Ridolfi subì un grave incidente stradale: entrò in coma riportando fratture molto gravi che necessitarono di diversi interventi chirurgici e di lunghe degenze riabilitative, costringendolo all’inattività per quasi un anno. Alla ripresa dopo «la botta» (così Ridolfi chiamava l’incidente), ci fu un prestigioso riconoscimento, il premio Presidente della Repubblica per l’architettura dell’anno 1963, ricevuto direttamente da Antonio Segni nelle sale dell’Accademia nazionale di S. Luca il 16 aprile 1964.
In questo periodo altri progetti, tra cui casa Lina a Marmore (1964-67), un buen retiro pensato per sé e la sua famiglia, i piani per la sistemazione delle sponde del lago di Piediluco (1964-66) e quelli per i quartieri Solferino, Tacito e Duomo a Terni (dal 1965), portarono Ridolfi ancora una volta lontano da Roma. Arrivò poi un incarico di grande importanza, quello per la progettazione del motel AGIP (Azienda Generale Italiana Petroli) a Settebagni (1967-69), alle porte della capitale, in corrispondenza dello svincolo autostradale nord, una complessa torre a spirale nella quale Ridolfi riprese le progressioni tortili della torre dei ristoranti del 1928 e gli studi sulla pianta stellare sviluppati per casa Lina. Tuttavia, la crisi petrolifera e le lotte politiche di quegli anni imposero la rinuncia al progetto.
L’amarezza per la mancata realizzazione del motel, il diminuire costante e inesorabile degli incarichi, cui si deve aggiungere la morte della moglie Lina, avvenuta nell’agosto del 1970, lo indussero a prendere la drastica decisione di chiudere lo studio, abbandonare Roma e trasferirsi definitivamente a Marmore, a casa Lina. Sebbene afflitto da una progressiva perdita della vista, per lui, isolato in un volontario esilio, ebbe allora inizio una nuova stagione creativa, caratterizzata da progetti e realizzazioni nei dintorni di Terni per una committenza privata di amici e conoscenti, interventi afferenti a quello che è stato definito come il ‘ciclo delle Marmore’, a cui appartengono, tra gli altri, le ville per il cardiologo Pietro De Bonis (1971-82) a Ponte alle Cave, quelle per Francesco Lana (1973-76), per Renzo Luccioni (1973) e per il costruttore Vittorio Angelici (1976-80) nel borgo di Cesi, la ristrutturazione della casa del senatore, già sindaco di Terni, Ezio Ottaviani a Norcia (1976-81), la casa per la famiglia Lupattelli a Vocabolo Piedimonte (1978-84), quella per la famiglia di Stelvio e Natalina Cresta (1972-83), suoi fedeli amici e custodi, situata a Marmore, in un terreno proprio di fronte a casa Lina.
L’attenzione sull’architetto romano, spenta negli ultimi anni, si riaccese nel 1974 quando la rivista Controspazio, diretta da Paolo Portoghesi, in occasione dei settant’anni gli dedicò interamente i numeri di settembre e novembre. In ragione di questo rinnovato interesse seguirono diversi pubblici incontri e importanti riconoscimenti, tra cui la carica di presidente dell’Accademia nazionale di S. Luca, che Ridolfi ricoprì nel biennio 1977-78. Quindi, sul finire del 1979, una grande mostra a Terni – «Le architetture di Ridolfi e Frankl» –, prima retrospettiva nella quale veniva ribadito il valore di quella dimensione artigiana del mestiere di architetto così presente, a volte anche con accenti volutamente provocatori, in tutta l’opera di Ridolfi. E, l’anno seguente, una personale allestita alle Corderie dell’Arsenale nell’ambito della I Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia.
Negli anni successivi Ridolfi ricevette ancora qualche commessa privata e un ultimo importante incarico pubblico, il progetto per il palazzo degli uffici del Comune di Terni.
Il cosiddetto bidone era impostato su uno schema ellittico, con struttura in cemento a vista variamente articolata, come l’epidermide vibrante e ricca di mutazioni di «un organismo che respira» (M. Ridolfi, La torre della continuità, in Casabella, marzo 1983, n. 489, p. 50).
Ma la morte del figlio Fabio, avvenuta a Toronto nel dicembre del 1982, l’inesorabile peggiorare delle sue condizioni fisiche, le difficoltà motorie e la vista ormai quasi perduta, portarono Ridolfi a decidere di voler concludere la sua vita. Il suo corpo fu ritrovato nelle acque del fiume Nera l’11 novembre 1984.
Nel 1980 Ridolfi aveva deciso di donare il suo archivio progetti all’Accademia nazionale di S. Luca. Il fondo, consultabile anche on-line all’indirizzo www.fondoridolfi.org, si compone di oltre diecimila elementi tra elaborati grafici, documenti, riproduzioni fotografiche, negativi e lastre in vetro. Il 30 settembre 1995 è stato dichiarato di notevole interesse storico dalla soprintendenza Archivistica per il Lazio.
Fonti e Bibl.: Della vastissima bibliografia (per l’elenco completo si rimanda alla pagina del sito www.fondoridolfi.org) si segnalano: G. Ponti, Stile di R., in Stile, gennaio 1943, n. 25, pp. 2-15; M. Ridolfi, Amara confessione, in La Casa. Quaderni di architettura e di critica, n. 6, a cura dell’Istituto nazionale per le case degli impiegati statali (INCIS), Roma s.d. [1960], pp. 223-225; Architettura di M. R. 1, in Controspazio, settembre 1974, n. 1, monografico; Architettura di M. R. 2, ibid., novembre 1974, n. 3, monografico; Le architetture di R. e Frankl (catal., Terni), a cura di F. Cellini - C. D’Amato - E. Valeriani, Roma 1979; F. Brunetti, M. R., Firenze 1985; F. Bellini, M. R., Roma-Bari 1993; F. Cellini - C. D’Amato, M. R. Manuale delle tecniche tradizionali del costruire. Il ciclo delle Marmore, Milano 1997; M. R. La poetica del dettaglio, a cura di F. Moschini - L. Rattazzi, Roma 1997; F. Cellini - C. D’Amato, M. R. all’Accademia di San Luca, Roma 2003; Iid., Le architetture di R. e Frankl, Milano 2005; M. R. architetto, in Controspazio, marzo-giugno 2005, nn. 114-115, monografici; M. R. architetto. 1904-2004. Atti del Convegno, Roma - Terni... 2004, a cura di R. Nicolini, Milano 2005.