Chiari, Mario
Scenografo, costumista e regista cinematografico, nato a Firenze il 14 luglio 1909 e morto a Roma l'8 aprile 1989. Legato alla fase di superamento del Neorealismo attraverso le collaborazioni con Alessandro Blasetti, Luchino Visconti e Alberto Lattuada, dedicò una particolare attenzione ai problemi del colore e al rapporto, fecondo di scambi, tra scenografia teatrale e cinematografica.
Architetto di formazione, si avvicinò al cinema come assistente alla regia di Blasetti per La corona di ferro (1941), sul cui set poté osservare da vicino le scenografie ricche di invenzioni di Virgilio Marchi, per Un giorno nella vita (1946) e Fabiola (1949). Nel dopoguerra collaborò come scenografo ad alcuni spettacoli teatrali di Visconti e in seguito di Luigi Squarzina e di Giorgio Strehler. Come scenografo e costumista cinematografico si affermò negli anni Cinquanta dopo l'esperienza di Vulcano (1949) diretto da William Dieterle, ma la sua preparazione, basata anche sulle scelte scenografiche di Visconti, lo rese particolarmente adatto ad allestire décors sontuosi ed elaborati per film in costume, al di fuori delle predilezioni neorealistiche dell'epoca, e ad affrontare, in particolare, i problemi del colore (allora, almeno in Italia, alle prime prove). Ciò appare evidente in La carrozza d'oro (1952) di Jean Renoir, dove le sperimentazioni cromatiche della fotografia di Claude Renoir si amalgamano perfettamente con le scene, gli ambienti e i costumi, curati da Maria De Matteis, di un'America del Sud (il Perù in particolare) pressoché interamente ricostruita negli studi di Cinecittà, tra il fasto regale dei palazzi nobiliari (nonché dell'oggetto-feticcio del film, la carrozza d'oro) e il mondo vivace e colorito dei comici dell'arte. Come il film di Renoir è soprattutto un film sul teatro, capace di coniugare e mescolare vita e palcoscenico, e nel quale anzi il teatro diventa più vero della vita, così le scene di C. assurgono a quella paradossale verità di secondo grado che è la verità del falso, e si ammantano del potere fascinatorio della finzione. Analoga freschezza di invenzioni, coniugata con una vena al tempo stesso coltissima e popolare, si riscontra in Carosello napoletano (1954) di Ettore Giannini, raro esempio di film musicale (cantato e danzato) italiano, dove C. reinventa, interamente in studio, le scene a più livelli di una Napoli a un tempo reale e fantastica, campo privilegiato di azioni coreografiche dinamicamente trascinanti. Tra questi due film 'teatrali' si inserì nel 1953 I vitelloni di Federico Fellini, che apparentemente teatrale non è. In realtà, la Rimini che Fellini rievoca, quella tranquilla cittadina di provincia dove i vitelloni consumano le loro vite, se non nasce (come avverrà in seguito) da un mondo completamente ricostruito in studio, è tuttavia il prodotto di una strana mescolanza di ambienti e scorci, dove dietro la Rimini del film ci sono Ostia, Viterbo ecc., a formare un virtuale e trasognato paesaggio della memoria.
Dopo le scenografie per due film 'operistici' di Carmine Gallone (Casa Ricordi e Casta diva, entrambi del 1954), C. si misurò con alcune ambientazioni contemporanee: Peccato che sia una canaglia (1954) di Blasetti e L'arte di arrangiarsi (1954) di Luigi Zampa, per il quale collaborò con Mario Garbuglia. War and peace (1955; Guerra e pace, il kolossal di King Vidor (il quale fu affiancato per le scene di battaglia da Mario Soldati), gli offrì l'occasione di ricostruire imponenti scenografie russe, con l'aiuto di Gianni Polidori, Garbuglia, Giulio Bongini, Piero Gherardi per gli arredamenti, M. De Matteis e Giulio Ferrari per i costumi, esperienza che mise successivamente a frutto nell'altro film 'russo' in costume (girato in Iugoslavia), La tempesta (1958) di Lattuada. Con lo stesso Lattuada, nel 1969, C. lavorò alle scene di Fräulein doktor (con i costumi ancora della De Matteis) e al Cristoforo Colombo televisivo (1985). Ma il lavoro forse più suggestivo C. lo aveva effettuato, con Garbuglia, nel 1957, allestendo in studio, per Le notti bianche di Visconti, il set di una pseudo-Livorno incantata e trasfigurata, immersa in nebbie di garza che avvolgono gli attori e la macchina da presa come in un universo amniotico, in uno spazio onirico, in un tempo fuori del tempo.
Accanto ad altri film di ambientazione moderna (Il gobbo, 1960, di Carlo Lizzani; Una vita difficile, 1961, di Dino Risi; Il giardino dei Finzi Contini, 1970, di Vittorio De Sica), C. curò le scene di uno dei rari tentativi di film fantastico all'italiana, Fantasmi a Roma (1961) di Antonio Pietrangeli, in cui ripercorse il barocco romano, e di alcune grosse produzioni internazionali: Barabba, noto anche con il titolo Barabbas (1961) di Richard Fleischer, La Bibbia (1966) di John Huston, Doctor Dolittle (1967; Il favoloso dottor Dolittle) ancora di Fleischer, per il quale ottenne la nomination all'Oscar, King Kong (1976) di John Guillermin. Si può dire però che l'ultimo suo lavoro veramente significativo fu l'apparato scenografico ideato per il Ludwig (1973) di Visconti (in collaborazione con Mario Scisci, costumi di Piero Tosi), vero delirio di decadentismo, a metà tra raffinatezza e kitsch (esempio tra i tanti, l'ambiente della cosiddetta grotta dei cigni) che fagocita e distrugge il suo costruttore, in un'identificazione perversa tra il crollo fisico e psichico del re di Baviera e l'avanzante malattia del regista. C. provò anche a cimentarsi nella regia, con esiti modesti: da ricordare un episodio, Epoca fascista, del film collettivo Amori di mezzo secolo (1954) e Prete, fai un miracolo (1975).