BULCANO (Bulcani, Vulcani), Marino
Di nobile famiglia residente a Napoli e Sorrento, nacque nella prima metà del sec. XIV.
È ricordato per la prima volta nelle fonti per il 1364, quando la regina Giovanna I nominò il B., "doctor in utroque", priore di S. Nicola di Bari, annullando, perché arbitraria, l'elezione di altra persona fatta in precedenza dal capitolo barese. Come priore di S. Nicola (dignità che probabilmente conservò fino alla morte), il B. riuscì ad ottenere dalla casa regnante numerosi privilegi per la sua chiesa. Probabilmente nel 1378 Urbano VI - con il quale il B. era forse imparentato e che aveva, dovuto conoscere quando Urbano era arcivescovo di Bari - nominò il "magister Marinus Bulcanus canonicus Neapolitanus" suo cappellano (Arch. Segr. Vat., Arm. 53, vol. 8, f. 70v; Bibl. Apost. Vat., cod. Vat. lat. 6330, f. 129r; ricordiamo che il Santamaria nega l'identità tra questo canonico e il B.) e nell'estate dello stesso 1378, poco prima dell'inizio dello scisma, suo cubiculario. Nell'ottobre del 1381 il B. fu inviato a Carlo III di Durazzo come ambasciatore pontificio; e il 25 giugno 1383 venne nominato da Urbano VI tesoriere generale "in regno Siciliae, et terra citra farum" come successore di Ludovico Brancaccio, stretto parente del papa (Arch. Segr. Vat., Arm. 33, vol. 12, f. 47v).
Nel successivo conflitto tra Urbano VI, e la monarchia napoletana il B. e la sua famiglia fecero parte del gruppo ben definito di nobili napoletani che si schierarono a favore del papa anche a prezzo dell'esilio e che in seguito ottennero un grande influsso nella Curia. Nella fase più acuta della crisi, il 17 dic. 1384, Urbano lo nominò cardinale diacono di S. Maria Nova (fu investito solo il 20 nov. 1385 a Genova: Arch. Segr. Vat., Instr. Misc. 3362, f. 7r) e più tardi (prima del 29 nov. 1385) camerlengo, nonostante che questa carica fosse considerata non cumulabile con la dignità cardinalizia. Come camerlengo, il B. diresse l'amministrazione pontificia durante la sede vacante del 1389 e preparò il conclave da cui uscì eletto, col nome di Bonifacio IX, il napoletano Perrino Tomacelli. Il nuovo pontefice conservò il B. nella carica di camerlengo, particolare, questo, molto significativo, poiché per lo più con il pontefice cambiava anche il titolare di detto ufficio.
L'attività del B. come camerlengo durante i primi anni (1389-1391) del pontificato di Bonifacio IX è documentata dalla sua corrispondenza ufficiale (conservata nell'Arch. Segr. Vat., Div. Cam. 1). I due settori principali della sua competenza attraversavano entrambi un periodo di crisi profonda: da un lato le entrate erano dimezzate poiché affluivano a due pontefici; dall'altro difficile era l'amministrazione dello Stato della Chiesa a causa della lotta fra i due papi per il possesso dell'Italia centrale. Il B. venne più volte autorizzato da Bonifacio IX a pignorare beni ecclesiastici e a contrarre debiti e nel 1391 venne investito di poteri straordinari per avocare a sé tutte le cause riguardanti - nel senso più ampio secondo il suo giudizio - la Camera apostolica.
A confronto di altri cardinali napoletani del suo tempo, sembra che il B. non si valesse eccessivamente dell'autorità derivantegli dal suo ufficio. Riuscì comunque ad affidare a suoi parenti uffici dell'amministrazione pontificia e cariche curiali: un Antonio Bulcano ("consanguineus" di Urbano VI secondo Gobelinus Persona) fu podestà d'Amelia negli anni 1390-1393, un Ugurello Bulcano fu "familiaris" di Bonifacio IX nel 1393 (Reg. Lat. 28, f. 141r) e un Paolo Bulcano fu castellano di Trevi presso Sezze nel 1403; nipote del B. era, poi, il cardinale Francesco Renzio d'Alife.
Il B. fu con Bonifacio IX a Perugia nel 1392-1393 e controllò - come prevedeva il trattato tra il papa e quel Comune - l'amministrazione perugina con ampi poteri. Rientrato a Roma con il pontefice nel settembre del 1393, il B. vi morì l'8 ag. 1394 e venne sepolto nella chiesa di cui era titolare (il suo monumento funebre è ancor oggi visibile in S. Francesca Romana). Il suo testamento e un inventario dei suoi beni sono menzionati nell'atto con il quale Bonifacio IX, su richiesta degli eredi, approvò la sua amministrazione (Reg. Vat. 314, ff. 291r e 295r).
Fonti e Bibl.: Codice diplomatico barese, XVIII, a cura di F. Babudri, Trani 1950, pp. CI-CIII; Ph. Ciabatta, De reverenda camera apostolica... monumenta, III, Romae 1869, pp. 18 ss.; Cronicon Siculum incerti authoris, a cura di G. de Blasiis, Monumenti storici a cura d. Soc. napol. di storia patria, 1, Cronache, 1887, pp. 31, 41, 63; Gobelinus Persona, Cosmidromius, a cura di M. Jansen, Münster i.W. 1900, pp. 101 s.; A. Ciaconius, Vitae et res gestae pontificum romanorum et Sanctae Romanae Ecclesiae cardinalium, II, Romae 1677, col. 661; L. Cardella, Memorie storiche de' cardinali della Santa Romana Chiesa, II, Roma 1793, pp. 303 s. (con data di morte sbagliata); P. Santamaria, Historia collegii patrum canonicorum metropolitanae ecclesiae neapolitanae, Neapoli 1900, p. 441; L. Ciaccio, L'ultimo periodo della scultura gotica a Roma, in Ausonia, I (1906), p. 69; Th. Graf, Papst Urban VI., Diss. phil. Berlin 1917, p. 51ª; J. Favier, Les finances pontificales à l'époque du grand schisme d'occident 1378-1409, Paris 1966, ad Indicem; A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, ad Indicem; Id., Das Papsttum unter der Herrschaft der Neopolitaner: die führende Gruppe Neapolitaner Familien an der Kurie während des Schismas 1378-1415, in Festschrift für H. Heimpel, II, Göttingen 1972, pp. 713-800; C. Eubel, Hierarchia catholica, Monasterii 1913, I, p. 25.