CARDONA, Maria
Nata nel 1509, da Giovanni di Cardona, conte di Avellino e da Giovanna Villamarino (sorella costei della più celebre Isabella di Sanseverino), la C. raccolse - alla morte del padre avvenuta nel 1512 alla battaglia di Ravenna - tutti i feudi della famiglia e fu perciò marchesa della Padula e contessa di Avellino. I termini della sua fama furono presso i letterati contemporanei sovente ampi fino all'iperbole; tant'è che la trasmissione stessa della sua produzione artistica (sarebbe stata valente rimatrice e musica) è unicamente assicurata da voci encomiastiche, in assenza - fino ad oggi - di materiali concreti relativi alla sua attività.
In due panegirici, pubblicati a Venezia nel 1552, è Ortensio Lando a fornire un ritratto "ideale" della C.: vi appaiono esibite le sue virtù morali e intellettuali (soprattutto la temperanza, la grazia, l'umiltà), vi si sbozza una fisionomia ("gli occhi sono lucenti, neri, alquanto lunghetti, vivaci, e pieni di somma letizia") e un carattere (capacità di governare, diffidenza per gli adulatori, amore per la verità); più utilmente, vi compare anche un'indicazione sul giro d'interessi culturali della C., la cui "cognizione d'humane lettere" si unirebbe all'"intelligenza delle Sacre scritture", e i cui scritti risulterebbero di livello non basso, ma "non più gravi che a una donna si convengano". L'invito conclusivo del Lando agli scrittori coevi, che essi esaltino le virtù "supreme" della C., slitta evidentemente nell'amplificazione di genere e certe sentenze morali, attribuite alle labbra della gentildonna (sulla virtù, sulla liberalità, ecc.), sono tratte palesemente da un prontuario di luoghi ciceroniani. Analogamente di repertorio tre liriche ivi incluse di Bonardo Fratteggiano e Lelio Capilupi, che - per un transito ferrarese della C. - può cantare: "...o, benché rio, / Secol beato; poi che qui fra noi / Riluce hoggi per voi parte del cielo". Non è del resto inopportuno insistere sui nomi che si sono riferiti alla C. poiché di lei pare diqualche rilievo proprio l'ampiezza benefica della sua influenza personale. Si può perciò fare ancora riferimento alla sua corrispondenza con Bernardo Tasso, Antonio Minturno e Vincenzo Martelli; alle dediche offertele: da Giovanni Andrea Gesualdo, nel 1533, delle sue Esposizioni sul Petrarca, ove afferma che pochi o nessuno la superarono in musica e in poesia; da Marcantonio delli Falconi, per l'Incendio di Pozzuoli, del 1538. Diverse ancora le rime di lode, da quelle contenute nella galleria di celebri dame napoletane del sec. XVI, l'Amor prigioniero di Mario di Leo, che le attribuisce "bionda testa", "dotta voce" e "onorato stile", ai versi di Garcilaso de la Vega o del Pino, che istituisce un parallelismo tra parti fisiche della C. e virtù cardinali e teologali, al paradosso del Beldando, per il quale la marchesa di Padula è tanto "alteramente humile", "ch'esser seconda a Dio le parea vile".
Tolte queste indicazioni davvero mitologiche, le notizie intorno alla realtà empirica della vita della C. rimpiccioliscono di molto il quadro. Promessa sposa di Antonio Guevara, figlio del conte di Potenza, e morto costui per mano di Alfonso d'Avalos, marchese di Pescara, mentre Napoli era assediata dal Lautrec, andò in moglie al cugino Artale di Cardona, figlio di Pietro, conte di Golisano. Rimasta vedova nel 1536, la C. sposò in seconde nozze Francesco d'Este, figlio naturale del duca di Ferrara, Alfonso. Priva di discendenza, i suoi feudi (esclusa una donazione in favore dei gesuiti dei luoghi ove ora sorge la chiesa di S. Maria degli Angeli a Pizzofalcone) vengono reintegrati alla Corona dopo la sua morte, avvenuta il 9 marzo 1563.
Fonti e Bibl.: O. Lando, Due Panegirici, Venezia 1552; G. Ceci-B. Croce, Lodi di damenapol. del sec. XVI [dall'Amor prigioniero di Mario di Leo], Napoli 1894, pp. 9, 35 ss.; F. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, p. 235; F. Flamini, L'egloga e ipoemetti di L. Tansillo, Napoli 1893, pp. XXX s.; B. Amante, G. Gonzaga, Bologna 1896, p. 196.