TOMINI FORESTI, Marco
TOMINI FORESTI, Marco. – Discendente di una famiglia di Treviolo di origine rurale, cui era stato attribuito il titolo comitale, nacque a Bergamo il 17 maggio 1713 dal conte Antonio e da Caterina Lupi, e fu battezzato nella chiesa di S. Lorenzo.
Studiò dapprima nella città natale, presso il locale collegio Mariano, retto dai padri barnabiti, e poi a Parma, nel collegio dei Nobili, distinguendosi tanto nelle lettere quanto nelle scienze matematiche. La difesa della sua tesi di matematica destò generale ammirazione, tanto da spingere il poeta Carlo Innocenzo Frugoni a dedicargli un sonetto (Pochi, o Tomini, che dal vulgo folle) stampato nella seconda impressione delle Rime di Tomini Foresti, in cui viene celebrato il «pronto ingegno» dello scolaro (Rime del signor Marco Tomini Foresti, Bergamo 1778, p. 54). L’attenzione riservatagli in questi anni giovanili a Parma è testimoniata anche dal fatto che, nel resoconto delle feste istituite dal collegio Ducale nel 1731, per celebrare l’arrivo della duchessa Dorotea Sofia di Neuburg, egli sia menzionato fra gli studenti eletti a prendere parte al «trionfo» (Il trionfo della pace. Festa da sala celebrata dal Ducale collegio de’ Nobili di Parma..., Parma 1731, p. 5).
Conclusi gli studi ritornò a Bergamo, dove si dedicò alla poesia e allo studio delle scienze naturali, nonché alla gestione del patrimonio fondiario di famiglia. Strinse legami di amicizia con diversi letterati bergamaschi, da Pierantonio Serassi a Giovambattista Gallizioli e nel 1749 fu tra i promotori del rilancio dell’Accademia cittadina degli Eccitati, con il patrocinio del vicepodestà di Bergamo, Alvise Contarini. Insieme ad Angelo Mazzoleni e a Gallizioli stese il nuovo statuto dell’Accademia, che fu esposto alla radunanza del 1° aprile 1749, in cui venne nominato presidente con il padre agostiniano Giulio Benaglio e il conte Giovanni Benaglio (Vaerini, 1788, pp. 33 s.). Diede impulso in quell’occasione all’allestimento di un tomo in onore di Contarini (Componimenti degli accademici eccitati nella partenza da Bergamo di Sua Eccellenza Alvise Contarini, Bergamo 1749), al quale contribuì con un’orazione celebrativa del dedicatario, lodato per aver introdotto il divieto di «comparire armato nelle sacre solennità» e interdetto i «publici giuochi» (p. 13). Partecipò con entusiasmo alla vita della risorta Accademia, di cui fu presidente anche nel 1757, nel 1765, nel 1778 e nel 1782. Più che «una sorta di dittatore letterario locale» (Gennaro, 1997, p. 160), fu in realtà un grande animatore della vita culturale di Bergamo, capace di promuovere le attività dell’Accademia e dei suoi soci, da Serassi, che gli dedicò l’edizione delle Poesie volgari e latine di Francesco Molza (Bergamo 1747), a Pietro Calepio, di cui stese una Vita pubblicata in testa all’edizione postuma del Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia (Venezia 1770).
Dopo aver composto liriche d’occasione, alcune delle quali riprodotte nell’antologia delle Rime oneste de’ migliori poeti antichi e moderni (Bergamo 1750) curata da Angelo Mazzoleni, pubblicò nel 1751 a Bergamo un canzoniere dedicato alla contessa Clelia Grillo Borromeo, rifugiatasi nella città dopo che Milano era stata riconquistata dagli austriaci.
Le Rime di Tomini Foresti presentano una natura composita: accanto ai componimenti celebrativi, dedicati a uomini e donne bergamaschi, compaiono sia le tradizionali liriche di carattere amoroso o religioso, sia poesie di natura filosofica e scientifica, che celebrano di volta in volta le macchine elettrostatiche (p. 3), le «attrazioni neutoniane» (p. 3), il «cogito» cartesiano o la macchina di Robert Boyle (p. 77), con cui l’aria veniva rimossa da un recipiente chiuso; nel canzoniere si trovano, inoltre, numerosi componimenti volti a spiegare l’origine di alcuni fenomeni atmosferici, dalla grandine (p. 38) all’eclissi (p. 68) e altri di soggetto medico-anatomico, tesi a esporre cosa sia la rifrazione (p. 6), come si formino le cataratte (p. 38), oppure «come il vino desti furor poetico, e quale sia la strada anatomica de’ canali per li quali deve passare» (p. 87).
L’originalità dei soggetti, come scrive l’autore nella dedica, tradisce non soltanto un desiderio di rinnovare il tradizionale repertorio lirico, ma anche la volontà di celebrare la scienza e la tecnica contemporanea («penso che la filosofia del giorno d’oggi sia assai migliore dell’antica», c. *2r) e di mettere la poesia al servizio di una vocazione pedagogica che è comune a quella di tanti altri rimatori scientifici del tempo, a partire da Francesco Algarotti, uno dei modelli seguiti con maggiore costanza. Il canzoniere, composto principalmente da sonetti e canzoni con alcune canzonette e terzine dantesche, non si scosta, dal punto di vista metrico e stilistico, dalle consuetudini invalse nella lingua poetica arcadica.
Le Rime ricevettero una recensione positiva nelle Novelle letterarie di Giovanni Lami (XV, Firenze 1754, p. 687) e furono lodate da Anton Filippo Adami nel Saggio di poesie scelte filosofiche ed eroiche (I, Firenze 1753, p. XXI), in cui l’autore ammira la «facilità» con cui «si esprime il poeta in trattando i più astrusi argomenti filosofici»; anche l’astronomo francese Jérôme de Lalande, nel suo Voyage en Italie, menzionò le Rime di Tomini Foresti («poésies très élégantes, où la morale et la physique sont employées avec succès», IX, Paris 1786, p. 276). Il canzoniere godette inoltre di due ristampe, entrambe edite a Bergamo nel 1778: la prima è una nuova edizione accresciuta, a cura di Sebastiano Muletti, la seconda una selezione di liriche dal titolo Rime filosofiche e sacre.
Nel 1752 entrò a far parte dell’Accademia milanese dei Trasformati e partecipò ad alcune raccolte poetiche promosse da questa istituzione, a partire dai Componimenti in morte del conte Giuseppe Maria Imbonati (Milano 1769, p. 74). Nel 1755 sposò Chiara Parravicini, dalla quale ebbe tre figli, Francesco, Lorenzo e Caterina. In questa occasione l’Accademia degli Eccitati, su iniziativa di Gallizioli, dedicò agli sposi un libro di Rime per nozze (Bergamo 1755) a cui parteciparono fra gli altri Serassi, Calepio, Caterina Lupi e Ottavio Arrighi Landini.
Negli anni successivi fu impegnato principalmente a organizzare attività culturali in seno all’Accademia degli Eccitati, dove recitò numerose orazioni, alcune delle quali giunsero a stampa nel 1782 in un volume di Orazioni accademiche dedicate al vescovo di Bergamo Giovanni Paolo Dolfin. Il volume, oltre a ristampare orazioni già edite, come quella per Contarini o quella, recitata nel 1767, in lode dei santi martiri Fermo e Rustico, le cui reliquie venivano riportate in patria dopo un lungo esilio, contiene un’orazione tesa a celebrare Giovanni Francesco Corraro, podestà di Bergamo, e una dedicata alla matematica.
Quest’ultima appare di certo la più interessante per il suo fervido illuminismo, basato sull’esaltazione della ragione e degli scienziati moderni, da Galileo Galilei a Isaac Newton. Tomini Foresti incensa il metodo matematico, ritenuto «giovevole ad apprendere qualsiasi altra scienza» (p. 8), e, pur senza approfondite dimostrazioni, illustra l’importanza della matematica, «causa motrice» delle altre scienze, in ogni arte e disciplina, dall’architettura all’astronomia, dalla navigazione all’agricoltura.
Esclusa da questa raccolta, venne stampata singolarmente la più tarda Orazione in lode della pittura (Bergamo 1782), in cui, rifacendosi ancora alla lezione di Algarotti, esplicitamente citato, Tomini Foresti insiste sulla centralità del principio di imitazione e si sofferma sulle proprietà della luce e del colore senza rinunciare a digressioni scientifiche sugli studi di ottica di Newton e di Robert Smith. Al di là della disquisizione erudita, che contempla anche un piccolo canone figurativo, nel quale si distinguono i nomi di Correggio, Tiziano Vecellio, Raffaello Sanzio e Michelangelo Buonarroti, l’orazione era indirizzata a celebrare il collezionista d’arte bergamasco Giacomo Carrara, al quale Tomini Foresti attribuiva, tradendo la discrezione del mecenate, il progetto di erigere a sue spese una scuola pubblica di pittura per i giovani studiosi.
Nel 1793 Giannantonio Soardi lo spinse a pubblicare un trattato sull’agricoltura a cui lavorava da anni, I principi fisici e chimici per l’agricoltura, in due tomi.
Il primo, di natura prevalentemente teorica e ricco di riferimenti agli studi di chimici francesi come Antoine Baumé, Antoine-François de Fourcroy e Pierre Joseph Macquer, è volto a spiegare le proprietà degli elementi (luce, fuoco, acqua, aria), e come questi influiscano nella coltivazione di frumento, cereali e legumi. Il secondo è quasi interamente dedicato alla coltura della vite: Tomini Foresti espone tutto il procedimento di vinificazione, dalla piantagione alla vendemmia e alla fermentazione, disquisendo delle varietà di uva locale e passando in rassegna i metodi proposti, da Plinio ad Antoine de Plaigne, per rendere i vini migliori. Nella prefazione, in cui l’autore incoraggiava l’apertura di una scuola pubblica di agricoltura, non manca una nota di biasimo per i proprietari terrieri, spesso interessati più a condurre una vita mondana che non a istruire e incoraggiare i contadini che lavoravano i loro campi.
Morì a Bergamo il 26 ottobre 1793.
Fonti e Bibl.: B. Vaerini, Gli scrittori di Bergamo, I, Bergamo 1788, pp. 33 s. ; G. Mairone da Ponte, Aggiunta alle osservazioni sul Dipartimento del Serio, Bergamo 1803, pp. 133 s.; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, V-VI, Bergamo 1959, ad ind.; A. Manetti, Profilo di Gian Battista Gallizioli, in Archivio bergamasco, VI (1984), pp. 37-52; E. Gennaro, Il mito tassiano nel Settecento. II. La poesia, in Studi tassiani, XLV (1997), pp. 151-184; A. Corsini, M. T. F. e i Principi fisici e chimici per l’agricoltura, in Atti dell’Ateneo di Scienze, lettere ed arti di Bergamo, LXI (1997-1998), pp. 179-191; Giacomo Carrara (1714-1796) e il collezionismo d’arte a Bergamo, a cura di R. Paccanelli - M. Recanati - F. Rossi, Bergamo 1999, ad indicem.