GRADENIGO, Marco (Bortolo II)
Nacque il 1° apr. 1663 dal matrimonio, celebrato nel 1656, di Gerolamo di Daniele - del ramo della famiglia patrizia residente in rio Marin -, nella parrocchia di S. Simeone Grande nel sestiere di S. Croce, con Donata Foscari di Gerolamo. Era quindi il nipote, per linea paterna, di Marco (1589-1655) e di Gerolamo (1597-1667) entrambi patriarchi di Aquileia, e nipote diretto di Bartolomeo Gradenigo (1636-98) vescovo di Treviso e di Brescia. Secondogenito maschio, ebbe nove fratelli, tutti chiamati Bartolomeo (ovvero Bortolo). Tra i fratelli, Bortolo (I), detto Daniele (1661-1718 ca.), fu abate canonico di Padova, Bortolo (III; 1665-1751), dopo aver asceso i vertici della carriera politica sino a divenire, nel 1703, procuratore di S. Marco de ultra, si fece abate alla Giudecca e Bortolo (VII; 1673-1749) fu anch'egli consacrato abate. La sorella Lucrezia sposò nel 1671 Andrea Cappello di Giovanni.
Il ramo familiare continuò solo grazie a Bortolo (V), detto Pietro, che ebbe da Caterina Nani di Antonio un unico figlio maschio, Bortolo (I; 1692-1762), detto Gerolamo, trasferitosi dal palazzo di rio Marin a S. Barnaba, al ponte di Ca' Foscari. Il G. fu registrato nei Libri d'oro delle nascite dell'avogaria di Comun il 24 aprile, con il nome di Bortolo (II). Al compimento del ventesimo anno d'età, il 23 nov. 1683, fu ammesso al Maggior Consiglio. Appare incerta la sua identità quale sopracomito nel 1685; il 30 giugno 1697 fu eletto provveditore alle Pompe, magistratura che vedeva ormai in netto declino il suo potere di controllo in materia suntuaria, e che il G. lasciò per assumere la carica di savio di Terraferma (dicembre 1697). Il 10 ag. 1698 fu eletto podestà a Verona.
In questa sede gli giunse la notizia di essere stato prescelto (22 ag. 1699) come coadiutore con diritto di successione al patriarcato di Aquileia, in perfetta intesa tra il Senato veneziano e l'allora patriarca Dionigi Dolfin, e come vescovo di Filippopoli (Tilopoli, in Isauria). Per evitare intromissioni non gradite da parte dell'imperatore, le bolle di investitura furono - come solitamente avveniva per le nomine al patriarcato - tenute segrete.
Egli accettò con profondo senso del dovere la svolta imposta alla sua vita, tutta dedicata al bene dello Stato, di cui si sentiva devoto figlio ma anche umile servo. Lasciò il rettorato veronese nelle mani dell'allora capitano Francesco Vendramin e già il 27 agosto gli fu concesso di essere investito degli ordini sacri; si recò a Roma, dove il 6 febbr. 1701 fu consacrato dal cardinale veneziano Marco Dolfin.
Le doti non comuni e l'elevata considerazione tributata alla sua famiglia, che aveva già dato prelati illustri e fedeli alla Chiesa e a Venezia, gli meritarono l'immediata nomina di vescovo assistente al soglio pontificio (13 febbraio) e l'ammirato apprezzamento della corte papale, come ebbero modo di riferire al Senato, in più occasioni, gli ambasciatori veneti presso la S. Sede.
Il 1° ott. 1714 Clemente XI lo elesse vescovo di Verona in sostituzione di Giovanni Francesco Barbarigo, traslato alla diocesi di Brescia, di cui prese possesso il 19 novembre; la carica di coadiutore al patriarcato d'Aquileia fu quindi assunta da Daniele Dolfin, nipote di Dionigi, ed eletto vescovo di Aureopoli.
Nella nuova sede il G. ebbe modo di manifestare pienamente la sua adesione all'incarico pastorale cui era stato chiamato, distinguendosi sia nella frugalità delle spese per i propri bisogni quotidiani e di rappresentanza, sia per l'innata caritas dimostrata nei confronti dei più poveri, al cui soccorso sovente sopperiva tramite generose elargizioni attinte dal suo cospicuo patrimonio.
La costante fedeltà da lui manifestata nei confronti della Serenissima non sfuggì al Senato veneziano allorquando morì l'allora patriarca di Venezia Pietro Barbarigo (2 maggio 1725). La scelta tra sei candidati, tra i quali erano i vescovi di Torcello e Ceneda, cadde sul G., il 5 maggio, con una votazione quasi plebiscitaria (186 voti favorevoli e 13 contrari). Gli fu concesso di lasciare immediatamente la sede veronese, di cui però conservò la facoltà di percepire i benefici sino alla morte. Ricevuta la conferma dell'elezione, con decreto concistoriale del 3 settembre, il G. fu convocato in Collegio per il giorno 10, e il suo insediamento nella prestigiosa diocesi fu occasione di solenni celebrazioni, durate tre giorni.
Partendo da S. Moisè, a capo di un corteo acqueo di tre "peatoni", si recò dapprima alla chiesa di S. Salvador per assistere alla messa cantata, cui presero parte un grande seguito di patrizi, dodici vescovi, i canonici di Castello, semplici parroci e altri rappresentanti del clero veneziano. Proseguì poi a piedi verso piazza S. Marco, attraversando la Merceria. A palazzo ducale fu accolto ai piedi della scala dei Giganti, introdotto davanti al Collegio e al doge Alvise (III) Mocenigo, detto Sebastiano, recitò la consueta orazione di ringraziamento per l'elezione. Tornò poi in gondola a S. Moisè, nella sfarzosa casa fraterna, dove il 13 mattina si recò lo stesso doge, con il Senato e il nunzio pontificio, per scortarlo a Castello a prendere possesso della chiesa e del palazzo patriarcale. Ad accompagnarlo furono pure 72 "peote" in rappresentanza delle altrettante parrocchie della città, dove avevano preso posto parroci, cappellani e vicari. L'orazione per il suo ingresso fu recitata da monsignor Giovanni Ocher, canonico della patriarcale.
L'umile e religiosa indole del G. evitò per il futuro ulteriori manifestazioni di così grande sfarzosità e dispendio. Al contrario, la sua missione di patriarca fu condotta all'insegna della parsimonia e del contenimento delle spese. Uomo schivo - non portò mai a termine una vera e propria visita pastorale - inviò comunque a Roma due relationes (nel 1729 e nel 1733) nelle quali è evidenziata la sua attenzione alla confessione e alla cura pastorale, ministero cui il G. si dedicò personalmente, coadiuvato dalle sei congregazioni del casus conscientiae e di S. Carlo. Nel 1726 pose la prima pietra della chiesa dedicata a S. Maria del Rosario, volgarmente chiamata dei Gesuati, voluta dai padri domenicani della Congregazione osservante del beato Giacomo Salomone, ed edificata su progetto di Giorgio Massari. Durante il suo patriarcato furono consacrate anche le chiese parrocchiali di S. Fosca (nel 1735, dal vescovo di Nona Girolamo Fonda) e dei Ss. Simeone e Giuda (S. Simeone Piccolo), ricostruita a pianta circolare, a imitazione del Pantheon, dall'architetto Giovanni Antonio Scalfarotto, a opera di Gasparo Negri, vescovo di Cittanova d'Istria (aprile 1738).
Il G. si dedicò molto all'assistenza dei bisognosi e al recupero di fanciulle, sempre attingendo, senza limitazione di mezzi, al patrimonio personale, ma le testimonianze di questa caritas sono scarse.
A sue spese fu lastricato il pavimento della cattedrale S. Pietro di Castello, in marmo pregiato nei colori bianco e rosso, dal G. voluto in onore di s. Lorenzo Giustinian, primo patriarca di Venezia, cui fu particolarmente devoto e del quale ordinò, nel testamento, l'esecuzione di un ritratto "con una buona gracia di tavola con un poco di oro di sopra, onde cadendo la polvere non si posi sopra la soazza [la cornice]" - da conservare presso la cattedrale, assieme a uno suo, da porsi sopra la cappella adibita alle celebrazioni della settimana santa. Trasferì inoltre la leggendaria cattedra di s. Pietro, che dicesi usata ad Antiochia, presso l'altare di S. Elena, interrompendo la tradizione della sua processione per la chiesa nel giorno della ricorrenza liturgica.
Il G. morì a Campagnola (Padova), dove possedeva un casino, il 14 nov. 1734.
Nel testamento olografo (11 ag. 1728) egli ricordò sia i parenti - alla moglie del fratello Bartolomeo VI, detto Vincenzo, lasciò "il quadro sì devoto di Maria di Giovanni Bellino [il Giambellino] da me comprato sulle alte montagne del Veronese" - sia conventi, pie istituzioni, parrocchie di Verona e di Venezia, con l'obbligo di destinare i lasciti per soccorrere i miseri, gli infermi e per fornire di adeguata dote giovanette povere. Nel contempo il G. dispose, in suffragio della sua anima, la celebrazione di duemila messe, e per le sue spoglie mortali l'umile sepoltura comune nella tomba dei canonici di Castello.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, c. 101; III, reg. 32: G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio Veneto, II, c. 596; Avogaria di Comun, Libri d'oro, Nascite, X, reg. 60, c. 199v; Segretario alle Voci, Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 23, c. 211v; 24, cc. 52v-53r, 177v-178r; Elezioni in Pregadi, regg. 21, cc. 12v-13r; 22, c. 109v; Senato, Dispacci degli ambasciatori e residenti, Roma, filza 216, nn. 177, c. 61; 187, c. 119v (15 gennaio, 19 febbr. 1701); filza 243, n. 169, cc. 172v-173 (12 maggio 1725); Dispacci dei rettori, Verona e Veronese, filza 104 (5 ag. 1699); Capi del Consiglio dei dieci, Lettere di rettori e pubblici rappresentanti, Verona, bb. 207, nn. 244-255, 257-261 (1699); 208, nn. 3-7, 9-18, 20-23, 23 bis, 24-27, 31-52, 54-80, 86, 88 (1700-01); Collegio, Cerimoniali, reg. IV, cc. 49-51 (3-10 sett. 1725); Notarile, Testamenti, b. 1171, n. 226 (Notaio F. Dies, 11 ag. 1728, pubblicato il 16 nov. 1734); Giudici di petizion, Inventari, b. 431, n. 25 (1734); Archivio privato Gradenigo di Rio Marin, b. 244, f. 54; Arch. segreto Vaticano, Sacra Congregazione del Concilio, filza 1 (1729, 1733); G. Ocher, In solemni inauguratione Marci Gradonico patriarcha…, Vinetiis 1725; G. Bortolotti, Applauso poetico nel giorno del solenne ingresso di sua signoria illust. e rev. mons. M. G. patriarca di Venezia ecc., Venezia 1725; Corona di lodi vagamente intrecciata di poetici sentimenti al merito di mons. M. G. patriarca di Venezia, Venezia 1725; Raccolta di fiori fatta in Parnaso per intrecciare corona al merito sovragrande di s.e. M. G. patriarca di Venezia, Venezia 1725; M.A. Boccardi, Le gare della pietà e della gloria nell'elezione al patriarcato di Venezia dell'ill.mo e rev.mo mons. M. G.…, Venezia 1725; Throsauumon hypuscit iatizasic. Eloquium elogiacum ill. mo et rev.mo d.d. M. Gradonico, s.d.; Nuova e distinta relazione di quanto deve seguire li giorni 10, 13 sett. 1725 in occasione dell'ingresso ed accompagnamento delle 72 peote…, Venezia 1725; Nuova e distinta relazione di tutte le funzioni e di quanto è seguito in Venezia in occasione di esser nuovamente stato eletto al patriarcato di questa dominante mons. illustriss. e reverendiss. M. G.…, Venezia 1725; B. Pasqualigo, In solemni funere Marci Gradonici Venetiarum patriarchae, Oratio, Venetiis 1734; F. Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia e di Torcello, Padova 1758, p. 24; A. Orsoni, Cronologia storica dei vescovi olivolensi, detti dappoi castellani e successivi patriarchi di Venezia, III, Venezia 1828, pp. 411-413; E.A. Cicogna, Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1857, pp. 240, 436; G. Soranzo, Bibliografia veneziana, Venezia 1885, p. 422; G. De Renaldis, Memorie storiche dei tre ultimi secoli del patriarcato d'Aquileia, Udine 1888, pp. 458 s., 464, 470; Solenne ingresso e presa di possesso di monsignor Bartolameo II G., patriarca di Venezia…, Venezia 1905; P. Paschini, Storia del Friuli, III, Udine 1936, pp. 277 s., 297; A. Niero, I patriarchi di Venezia, Venezia 1961, pp. 138-140; A. Niero, La diocesi dal Seicento alla caduta della Repubblica, in Patriarcato di Venezia, a cura di S. Tramontin, Padova 1991, pp. 164 s., 185; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica, V, Patavii 1952, pp. 94, 381 s., 409, 411.