DEL NERO, Marco
Nacque a Firenze il 26 maggio 1486 da Simone di Bernardo (di Simone di Nero) e da Maddalena di Francesco Tosinghi (Della Tosa).
Anche questo ramo della famiglia Dei Nero (costituito dalla progenie di Nero di Ventura), come quello collaterale discendente da Filippo di Ventura, traeva le sue origini da quel gruppo sociale che, inizialmente iscritto alle arti minori, grazie al patrocinio dei Medici aveva conosciuto nel corso del XV secolo una progressiva ascesa sia economica sia politica, prima con il passaggio alle arti maggiori (nel 1449, con Bernardo di Simone) quindi con il conseguente diritto all'inserimento nelle "borse" per l'estrazione agli uffici più prestigiosi. Simone di Bernardo, iscritto sia all'arte dei rigattieri sia a quella dei lanaioli, ricoprì la carica di priore due volte, nel gennaio 1489 e nel settembre 1501- Il patrimonio da lui dichiarato nella decima del 1498rivela una florida situazione economica, che subirà negli anni seguenti una ulteriore espansione, come documentano gli "arroti" fino al 1532. Nella Firenze della fine del secolo XV, percorsa da laceranti fazioni, Simone sembra essere stato vicino al Savonarola, come attestano una lettera inviata al fratello Niccolò, ambasciatore in Spagna, a sostegno del progetto di indire un concilio per dichiarare illegittima l'elezione di Alessandro VI e la sua stessa deposizione al processo contro il frate ferrarese ("confesso che io andavo alle prediche ed erovi fervente": Villari, II, p. CCLXXIII), che gli costò la condanna ad una multa di 200 fiorini e l'allontanamento dagli uffici per due anni.
Di sentimenti savonaroliani fu sospettato anche il D., per questo giudicato da alcuni "troppo buono, cioè alquanto superstizioso, e troppo credulo, dando fede a' falsi profeti, come al Frate, e ad altri" (Varchi, Storia, p.120). Sembra anche che possedesse una Bibbia postillata dal Savonarola.
Sposatosi nel 1518 con Nannina di Bernardo Gondi, il D. ebbe quattro figli: Maddalena, Maria, Simone e Niccolò.
Pur trovandosi a vivere negli anni della crisi politico-istituzionale della fragile Repubblica fiorentina nata nel 1494, della crescente ingerenza delle forze esterne in lotta per l'egemonia italiana e della restaurazione medicea del 1512 (con quella conseguente riorganizzazione del potere che già ai contemporanei apparve come la "perdita della libertà fiorentina"), il D. - di sicuri sentimenti repubblicani - sembra tuttavia volersi in parte distanziare dalle fazioni ed è annoverato dal Varchi tra coloro che erano "più amici della libertà e della Repubblica di Firenze che inimici della casa de' Medici" (Varchi, p. 9), a conferma di come in lui potesse più la sincera affezione alle "istituzioni popolari" che l'odio di parte. Dopo l'effimero risorgere della Repubblica nel 1527 ed il ristabilimento delle antiche magistrature, troviamo conferma della stima generale goduta dal D. nel tentativo di eleggerlo gonfaloniere nel giugno 1528 in sostituzione di Niccolò Capponi, benché non avesse raggiunto l'età minima per accedere alla carica. Al progetto sembra si rinunciasse più per il timore che riuscisse eletto il pallesco Zanobi Bartolini che per l'impedimento legale. Imborsato tra gli ambasciatori, il 19 dic. 1527 i Dieci di libertà e pace lo inviarono, insieme con Tommaso Soderini, a risiedere presso il Lautrec, capitano generale dell'armata francese, in quel momento di passaggio da Bologna, nell'intento di rinnovare ancora più strettamente la lega con la Francia, alla cui protezione - dopo gli orrori del sacco di Roma - la Repubblica si appellava in cambio dell'invio di un contingente di soldati toscani.
L'ambasceria dei due e dell'oratore già residente Anton Francesco Albizzi aveva pero come scopo non ultimo anche quello di dirigere l'esercito verso Roma seguendo un cammino che, senza attraversare il contado fiorentino, già abbastanza provato dalla carestia e dalle malattie, non se ne allontanasse tuttavia troppo. Giunti a Bologna il 22 dicembre, il capitano generale tentò di ottenere il maggior numero di vantaggi lasciando volutamente gli ambasciatori nell'incertezza su quale percorso intendeva seguire. Nei primi giorni del gennaio 1528, ormai chiaramente indirizzati verso le Marche, chiesero-licenza di tornare, ma ne furono impediti prima dall'aggravarsi del problema dell'approvvigionamento delle truppe, che indusse i Dieci ad eleggere il D. "commissario generale per le vettovaglie" con l'incarico di tenere ben provvisto l'esercito in modo che esso non fosse costretto ad allontanarsi lasciando la Repubblica indifesa, poi dalla malattia di Anton Francesco Albizzi, che costrinse il D. a rimanere presso l'accampamento in sua sostituzione.
Tornato il Soderini a Firenze nel febbraio, il D. rimase solo a mediare il difficile rapporto fra il Lautrec e la Repubblica, impossibilitata da una parte a soddisfare le pressanti richieste del capitano generale e preoccupata dall'altra di non compromettere l'alleanza con i Francesi. Nonostante l'ottimo giudizio sul D. che il Nardi (p.146) attribuisce al Lautrec ("se la città di Fiorenza avesse altri tanti così fatti personaggi non direbbe mai che essa fusse povera di cittadini"), in questo periodo l'intesa tra i due sembra tutt' altro che raggiunta tanto da indurre i Dieci a tacitare i Francesi con l'invio di 4.000 fanti e 150 cavalli leggeri al comando del commissario Giovanni Battista Soderini e del capitano Orazio Baglioni, e a consigliare il loro ambasciatore ad essere "più largo con le parole ... in modo che nella prima impressione che gli ha a far del ragionamento ... non resti mai contento" (Arch. di Stato di Firenze, Dieci di balia. Legaz. e comm. Istruz., n. 43, c. 17v). Posto dal Lautrec l'assedio a Napoli difesa dagli Imperiali, se all'inizio le sorti dell'impresa sembrarono volgere in favore della lega, ben presto una serie di avvenimenti ne compromise la riuscita.
Il minaccioso approssimarsi dei lanzichenecchi costrinse la Repubblica fiorentina, attraverso il D., a richiedere parte delle sue bande per la propria difesa; la morte dei capitano Orazio Baglioni (22 maggio 1528) aggiunse il problema della sua sostituzione, temporancamente affidata al conte Ugo de' Pepoli; la mancanza di una valida cavalleria rese difficile frenare le sortite di approvvigionamento degli assediati protraendo i tempi oltre il previsto; infine l'estendersi di un contagio indebolì ulteriormente le truppe.
Di fronte al precipitare della situazione, i Dieci decisero di inviare 2.000 fanti in aiuto e concessero al D. - che già aveva contratto il morbo - di allontanarsi dal campo, quindi (15 agosto) di rientrare a Firenze. Ma la morte del Lautrec (16 agosto) piombò il campo nel più totale disordine e il 30 agosto, dopo un ultimo tentativo di difesa in Aversa, l'esercito venne definitivamente disfatto dagli Imperiali e le "bande nere" fiorentine disperse.
Il D., - ormai stremato dalla malattia, dopo essere caduto prigioniero morì a Napoli probabilmente già nel settembre 1528.
Il 12 dic. 1528 il Consiglio generale della Repubblica, "considerato ... con quanta fede e affezione e diligenza s'era lungo tempo faticato nella sua legazione in mantenimento e salute della sua patria" (Varchi, Storia, p. 180), esentava i figli ed eredi da tutte le "gravezze" per dieci anni.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Decima repubblicana, 1498, Quartiere S. Spirito, Gonfalone Scala, f. 2, cc. 414-417v;Ibid., Tratte, 443bis; Ibid., Manoscritti, Consorterie. Quartiere S. Spirito;Ibid., Decima granducale, 1534, Quartiere S. Spirito, Gonfalone Scala, c. 378;Ibid., Carte Pucci, sub voce;Ibid., Carte Sebregondi, sub voce;ilcarteggio relativo alla legazione del D. si trova nel fondo Dieci di Balia. Legazioni e commissarie. Istruzioni e missive, 43ss.; Ibid., Responsive 127-131;Firenze, Biblioteca nazionale, Poligafo Gargani, nn. 1392s.; Ibid., Priorista fiorentino, Magl., cl. XXVI, cod. 126; Ibid., n. 141;Ibid., Banco rari n. 141 s., 348, 113 (lettera dei D. ai Dieci); B. Varchi, Storia fiorentina..., Colonia 1721, pp. 9, 31, 120, 149, 163, 180;B. Segni, Storie fiorentine dall'anno MDXXVII al MDLV, colla vita di Niccolò Capponi..., Augusta 1723, pp. 42, 45 e p. 28 della Vita di N. Capponi;F. De Nerli, Commentari de' fatti civili occorsi dentro la città di Firenze..., Augusta 1728, p. 179; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, Firenze 1858, II, pp. 146, 182; Lettere di G. B. Busini a B. Varchi sopra l'assedio di Firenze, a cura di G. Milanesi, Firenze 1860, pp. 17, 37; P. Villari, La storia di Girolamo Savonarola e de' suoi tempi, I, Firenze 1887, p. 129; II, ibid. 1888, pp. LXVIII, CCLXII CCLXXIII; G. Schnitzer, Savonarola, Milano 1931, pp. 47, 54; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), Firenze 1971, p. 104.