MARCO da Saliceto
Figlio di Simone di Taccone da Saliceto, nacque a Bologna verso il 1245.
Della madre non si hanno notizie, mentre il padre certamente non può essere identificato, come vorrebbe Filippini, con il Simone di Domenico di Taccone immatricolato fra i notai bolognesi nel 1259; così come sembra ormai definitivamente tramontata la proposta, avanzata da Orioli e rafforzata poi da Filippini, di identificare M. con il Marco Lombardo del Purgatorio dantesco (XVI, vv. 25-145). Concordano nel negare credibilità all'identificazione tutti gli studiosi più recenti, sulla base di vari argomenti ma soprattutto per l'impossibilità di accettare l'ipotesi che Dante definisse "lombardo" un personaggio di cui, per la diretta e personale conoscenza manifestata nel poema, non avrebbe potuto ignorare le origini bolognesi e il legame mantenuto costantemente vivo, anche negli anni dell'esilio, con una città che nella geografia dantesca apparteneva certamente alla Romagna e non alla Lombardia.
Sostanzialmente da accogliere invece l'altra osservazione di Filippini, che intende distinguere la famiglia di origine di M. da quella dei più celebri giuristi Carlo e Bartolomeo da Saliceto, appartenente alla nobiltà guelfa bolognese e insediata nel più antico nucleo urbano; tradizionalmente ghibellina, invece, e di parte popolare, la famiglia di M. si era inurbata probabilmente solo all'epoca di Taccone. Le fonti fiscali e militari di età comunale, conservate presso l'Archivio di Stato di Bologna, individuano quel gruppo familiare sulla base della provenienza, la località di Saliceto, situata nella bassa pianura circa 10 km a nord della città, e della residenza, che tutti i discendenti di Taccone dichiarano di avere nel borgo della Paglia e nel territorio della parrocchia bolognese di S. Martino dell'Aposa, appartenente al quartiere nordorientale di Porta Piera.
La prima notizia documentata risale al 9 dic. 1265, quando M., superato felicemente l'esame di notariato alla presenza del giudice del podestà Guido da Montecchio, fu immatricolato fra i notai cittadini. Si allineava in questo a una vocazione professionale assai radicata nella famiglia: nel registro delle matricole bolognesi del 1294 sono almeno sei i notai legati a M. da rapporti più o meno stretti di parentela (cfr. Liber… notariorum…). Per alcuni anni, dopo il 1265, di lui si perdono le tracce. Lo ritroviamo nel 1273 regolarmente arruolato nell'esercito comunale e registrato nella "venticinquina" di S. Martino dell'Aposa; come tutti gli uomini della sua famiglia poi, e come in genere gli abitanti della sua contrada, era immatricolato nel 1274 nella società d'armi dei Vai.
Le vicende successive fanno pensare che già all'epoca la sua carriera professionale e culturale stesse sviluppandosi notevolmente e che, come la maggioranza degli appartenenti al notariato, fosse a qualche titolo implicato negli schieramenti di parte che agitavano in quei decenni la vita politica bolognese. Nel 1274 infatti fu coinvolto nei tumulti fra Geremei e Lambertazzi: legati alla sconfitta fazione ghibellina dei Lambertazzi, M. e altri membri della famiglia subirono il bando e furono costretti a prendere la via del confino. Iniziò così una vita da esule certamente difficile, ma non priva di sviluppi interessanti; nel suo caso, anzi, la sconfitta politica e la conseguente emarginazione dovevano trasformarsi in una felice occasione culturale e professionale. M. scelse come prima sede del suo confino la città di Padova, fra le destinazioni possibili la più affine, forse, a Bologna, per la comune vocazione di centro universitario e per il ruolo di grande prestigio ricoperto anche nella città veneta dal ceto notarile. Qui, a partire dal 1275, le rigide procedure di controllo, previste dal bando e documentate dalle fonti comunali, testimoniano la presenza di M. e dei figli minorenni Mattiolo e Giovanni; la stessa sede, del resto, aveva scelto anche il fratello di M., Matteo, appartenente all'Ordine degli umiliati, che risulta anch'egli confinato a Padova con i figli Cristoforo e Alle. Nel 1281 tuttavia i destini dei due fratelli sembrano allontanarsi in seguito alle diverse scelte politiche: mentre Matteo decise di cogliere l'occasione di rientro in patria offerta dalle autorità comunali bolognesi agli estrinseci, purché disposti a giurare fedeltà alla Parte guelfa, e fu quindi riammesso alla cittadinanza, M. rifiutò la proposta del capitano del Popolo Ugolino Rossi e rimase al confino. Non sappiamo quanto influisse in questa scelta la coerenza politica e quanto invece M. fosse attratto da nuove opportunità che forse proprio allora si stavano delineando per la sua carriera e che sempre più lo avrebbero allontanato da Bologna. Nel 1282 infatti rivolse una richiesta formale alle autorità comunali bolognesi per essere autorizzato a trasferire a Venezia la sede del suo confino. Ottenuto il permesso dal Consiglio del Popolo, M. si recò dunque a Venezia, dove dal 1283 lo troviamo alle dipendenze di Alberto Morosini come notaio e successivamente come precettore di Andrea, figlio della sorella di Morosini, Tommasina, e di Stefano, a sua volta figlio del re d'Ungheria Andrea II. Quell'incarico, destinato a durare a lungo e ad avere sviluppi interessanti e in parte imprevedibili, subì tuttavia almeno un'interruzione, dato che sei anni più tardi M. era di nuovo a Bologna. Nel novembre 1289, infatti, risulta coinvolto in un processo celebrato presso la curia del podestà Giacone Giaconi e originato da un tumulto di lieve entità (avvenuto la sera del 28 sett. 1289), ma di chiara matrice politica, avvenuto proprio nel trivio di Saliceto, cioè nelle immediate vicinanze della sua abitazione. Nel procedimento erano coinvolti M. e il fratello Matteo, inizialmente nel ruolo di testimoni dei fatti, ma dai verbali di altre deposizioni pare che la loro partecipazione alla vicenda fosse stata piuttosto attiva.
L'episodio, al di là dell'effettiva partecipazione di M. e Matteo agli avvenimenti, non fu per loro privo di conseguenze: di lì a poco entrambi dovettero riprendere la via del confino. Di Matteo si perdono le tracce fino al 1296, di M. invece sappiamo che dal 1291 era di nuovo a Venezia presso Morosini e in quell'occasione la sua carriera registrò il successo più significativo. Il 28 giugno di quell'anno il Consiglio del Popolo di Bologna discusse e approvò una nuova petizione di M., che chiedeva di potersi allontanare temporaneamente dalla sede di confino, Venezia appunto, per recarsi in Ungheria.
Complesse vicende dinastiche avevano infatti proiettato sul trono di quel Regno il suo ex allievo, Andrea. Salito al trono nel luglio del 1290, Andrea III chiese al suo antico precettore di seguirlo in Ungheria come notaio e cancelliere del Regno. Un incarico che M. dovette accettare a titolo temporaneo, dato che nella richiesta di autorizzazione rivolta al Consiglio del Popolo di Bologna si impegnava a rientrare nella sede veneziana non appena terminato il suo servizio. Della natura e della durata effettiva del nuovo incarico non sappiamo pressoché nulla, ma da una lettera del podestà bolognese Corso Donati del settembre 1294 si può dedurre che ancora a quella data, non è noto se ininterrottamente dal 1291, egli era autorizzato a prestare servizio come notaio alla corte del re di Ungheria.
L'incarico ungherese era certamente terminato nei primi mesi del 1296 e M., coerentemente con quanto aveva dichiarato nelle precedenti richieste alle autorità bolognesi, era rientrato al confino; non a Venezia, tuttavia, né a Padova, da cui nel frattempo gli esuli bolognesi erano stati espulsi, bensì a Mantova, città, all'epoca, più favorevole ai ghibellini, in cui gli estrinseci Lambertazzi avevano trovato ospitalità. Nel maggio del 1296 M. risiedeva dunque con il figlio Mattiolo a Mantova, presso Bonaventura Gonzaga, e qui, impossibilitato ancora a rientrare in patria, istituiva il cugino Simone di Bonacosa come suo procuratore, incaricandolo della presentazione dell'estimo, adempimento fiscale cui quell'anno erano chiamati tutti i cittadini bolognesi, compresi gli estrinseci.
Da quella denuncia, che descrive un capitale di tutto rispetto valutato complessivamente 1300 lire di bolognini, possiamo indirettamente dedurre che gli incarichi che avevano portato M. così lontano gli avevano anche garantito un considerevole successo economico.
Nel frattempo, le nuove contingenze politiche, soprattutto le gravi emergenze militari che in quel periodo si stavano profilando per Bologna, avevano creato le premesse per un rientro generale degli esuli, di cui anche i da Saliceto avrebbero goduto. Il 31 ott. 1296 M. e i figli Mattiolo e Giovanni, e con loro il fratello Matteo e il figlio di questo Alle, erano riammessi alla piena cittadinanza e il 22 genn. 1297 giurarono fedeltà alla Parte guelfa.
È questa l'ultima notizia di M. in vita; nel 1304 era sicuramente già morto ed era morto anche il figlio Mattiolo, come risulta dall'estimo presentato quell'anno dal figlio Giovanni, erede di entrambi per un patrimonio di circa 1000 lire di bolognini.
Non più che un'ipotesi, suggestiva ma priva di supporti documentari, è quella avanzata da Filippini, che cioè M. e Mattiolo siano caduti in uno dei numerosi combattimenti affrontati dall'esercito bolognese nel corso del 1298 e del 1299, durante la guerra contro il marchese d'Este, Azzo (VIII), e i suoi alleati.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Curia del podestà, Libri inquisitionum et testium, b. 17, n. 6; Capitano del Popolo, Società d'arti e d'armi, b. III, Matricola della Società dei Vai; Libri matricularum societatum artium et armorum, 1; Venticinquine, b. 1, n. 16; Ufficio dei Riformatori degli estimi, s. II, b. 7, n. 195; b. 56, n. 73; Liber sive Matricula notariorum Comunis Bononie (1219-1299), a cura di R. Ferrara - V. Valentini, Roma 1980, p. 242; E. Orioli, Un bolognese maestro di un re d'Ungheria, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 3, XXVIII (1910), pp. 289-310; G. Zaccagnini, Personaggi danteschi (Marco Lombardo, Lizio da Valbona e Rinieri da Calboli), in Giornale dantesco, XXVI (1923), pp. 1-7; F. Filippini, Il Marco Lombardo dantesco, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 4, XIV (1924), pp. 229-253; G. Fasoli, Ancora su Marco Lombardo (Purg. XVI, 46), in Rendiconti dell'Acc. delle scienze dell'Ist. di Bologna, classe di scienze morali, LXXIV (1985-86), pp. 35-44.