CAVALLO (Cavalli, Caballus, Caballinus), Marco (Marco Antonio)
Nacque ad Ancona nella seconda metà del sec. XV; secondo il Vecchietti e il Peruzzi, fu figlio di Lionardo, patrizio anconetano. Compì i primi studi in patria, dove alla fine del secolo fu discepolo di Matteo Bonfini, con cui anche più tardi intrattenne rapporti di viva amicizia.
La data dei primi rapporti tra il C. e il Bonfini (1499 circa) si ricava dalla dedicatoria delle In Horatianis operibus centum et quindecim annotationes, in cui il Bonfini ricorda di aver iniziato a scrivere le sue annotazioni quindici anni prima, quando, segretario di Ancona, aveva tenuto un corso su Orazio, cui aveva assistito anche il C., "summae vir eruditionis" (c. a iii). Pur se l'operetta fu edita a Roma senza anno, da Stefano Guillereti di Lotaringia e da Ercole Nani di Bologna, la stampa dovette essere quasi contemporanea a quella, effettuata dai medesimi tipografi, delle Ad sacratissimum et amplissimum cardinalem Divi Georgii Matthaei Bonfinis epistolae sex laepidissimae [sic] ac paucis diebus exaratae (Romae 1514), curate dal C. stesso. Dedicando al Bembo l'opera del Bonfini il C. afferma infatti di averne stimato quelle sei lettere degne di essere affidate per la stampa "illis ipsis impressoribus qui nuper centum et quindecim in Horatianis operibus eiusdem annotationes impresserunt". Inoltre i volumetti delle Annotationes e delle Epistolae, legati insieme ab origine nella copia della Biblioteca Vaticana, Stamp. Barb. K III 73(3-4), sono identici nei caratteri e nella carta, e le segnature dei fascicoli si differenziano per l'uso delle minuscole per la prima opera e delle maiuscole per la seconda; sì che la datazione nel colophon delle Epistolae ("Die vigesimo mensis Septembris Anni domini 1514") data grosso modo anche le Annotationes, che dovettero veder la luce, se non contemporaneamente, poco prima ("nuper"), e comunque nello stesso anno.
In seguito il C. si recò a studiare a Ferrara, dove conobbe l'Ariosto, e poi a Roma, dove soggiornò senza dubbio già prima del 1510.
Secondo un'ipotesi del Fanelli, il C. avrebbe conosciuto a Roma il Cariteo (che nella città fu dal 1501 al 1503), cui sarebbe stato presentato da Angelo Colocci; e infatti il Cariteo, in un sonetto dedicato al C. (B. Gareth detto il Chariteo, Le Rime, a cura di E. Percopo, Napoli 1892, I, p. CLII; II, pp. 223 ss.), ne ricorda la consuetudine non solo con gli "orti farnesiani" (quindi col cardinal Alessandro Farnese, il futuro Paolo III), ma anche col cardinal Giuliano Cesarini, morto il 1º maggio 1510 (C. Eubel, Hierarchia cathol. medii... aevi, II, Monasterii 1914, p. 22). Intanto il C. si era fatto una solida fama di poeta volgare e latino: già nel 1503 il conterraneo Andrea Stagi lo elenca tra i buoni poeti dell'epoca in un'ottava dell'Amazonida, stampata quell'anno a Venezia (l'ottava è riferita da quel raro stampato nella recensione di G. S. Scipioni a un'edizione delle Rime del Pistoia, in Giorn. stor. della lett. ital.,V [1885], p. 249 n. 1). Nel 1504 partecipò con un mediocre sonetto alle Collettanee, curate da G. Achillini in morte di Serafino Aquilano (Bologna 1504,c. k iiii v); in quello stesso volume il suo nome è citato in un capitolo di Bartolomeo Nebbia tra altri poeti (c. M iii). Altre sue rime volgari comparvero poi nell'Operanuova di V. Calmeta, L. Carboni… stampataa Venezia nel 1507.
Dopo il primo soggiorno romano il G. dovette trascorrere qualche tempo a Urbino: nel 1512 Margherita Gonzaga scriveva per lui, appunto da Urbino, una lettera di presentazione al giovanissimo Federico, allora a Roma in ostaggio, definendo il G. "homo dottissimo et da me molto amato". Da una lettera di Stazio Gadio a Isabella d'Este del 4 aprile di quello stesso anno (A. Luzio, Federico Gonzaga ostaggio alla corte di Giulio II, in Arch. della R. Società rom. di storia patria, IX[1886], p. 536 n. 1) sappiamo infatti che il C. era nuovamente a Roma: era stato ospite, insieme col Bembo, col Beroaldo e tre altri letterati, di un convito offerto dal Gonzaga, e aveva scritto anch'egli, come tanti altri, un epigramma latino su uno dei due Cipidi dormienti diIsabella d'Este (K. Lange, Der schlafende Amor des Michelangelo, Leipzig 1898, pp. 86 ss.; A. Venturi, Il "Cupido" di Michelangelo, in Arch. stor. dell'arte, I[1888], p. 7 n. 4); ancora a Roma era nel 1514, quando curò la citata edizione delle sei Epistolae del Bonfini. Intanto, in data imprecisabile, il C. aveva intrapreso la vita ecclesiastica, mettendosi probabilmente al servizio di alti prelati della Curia romana: Isabella d'Este, in una lettera del 6 febbr. 1516 (Mantova, Arch. Gonzaga, Copialettere della marchesa Isabella d'Este, lib. 32),lo dice segretario di "monsignor d'Aragona" e cioè del cardinal Luigi d'Aragona; tre anni dopo il C. risulta beneficiario di due canonicati, nella cattedrale di Ancona e in quella di Ascoli. Fu anche al servizio del cardinal Grimani, al cui seguito poté visitare in Provenza i luoghi sacri alla memoria del Petrarca (si veda del C. il sonetto "Qui nacquer quegli accesi, e bei sospiri",edito, tra gli altri, dal Peruzzi, a p. 167); nell'ultimo periodo della sua vita fu segretario del cardinale Marco Cornaro, che ebbe verso di lui una particolare benevolenza e gli procurò benefici ecclesiastici.
Socievole e onesto (dei prelati dell'ambiente romano è forse il più lodato dal Valeriano per qualità morali), il C. fu assai noto nella società letteraria dell'epoca di Leone X: l'Ariosto lo ricorda, oltre che nella Satira VII, nel "catalogo dei poeti" dell'Orlando (canto XLII, ott. 91), insieme col Postumo, come cantore di Diana di Sigismondo d'Este dei marchesi di San Martino, giocando sul suo cognome e paragonandolo quindi a Pegaso; un identico gioco di parole era già stato usato per lodare il C. dal Cariteo nel sonetto cui si è accennato e dall'Arsilli nel De poetis urbanis. Al C. F. Beroaldo il Giovane dedicò nel 1520 un componimento in morte del comune amico Giovanni Cotta (Carminum adA. Trivultium cardinalem libri III …, Romae 1530,carm. I, 17) e un epigramma (ibid.,epigr. 44). Numerosissime altre testimonianze ci sono rimaste della presenza del C. nel mondo letterario del tempo: è ricordato in un sonetto di Pasquino (Cesareo, p. 258), da F. M. Molza nel son. "Alma, che già ne la tua verde etade" (Delle poesie volgari e latine, a cura di P. A. Serassi, I, Bergamo 1747, p. 59, son. CXIII), da G. G. Giraldi nel De poetis e dal Valeriano nel De litteratorum infelicitate; il suonome è presente in ambedue gli elenchi di poeti pubblicati dal Fanelli in appendice all'edizioni della Vita di mons. A. Colocci dell'Ubaldini, sia in quello del Colocci (p. 109), sia in quello attribuito al Giovio (Corytianae Academiae fato functi, qui sub Leone floruerunt, p. 114).Fu in rapporto, oltre che col Cariteo e col Bonfini (una cui lettera al C. è nelle Regulae brevissimae, Venetiis 1538), con Girolamo Negri (di cui si veda la lettera a M. A. Micheli nelle Lettere di principi, edite da G. Ruscelli, I, Venezia 1570, pp. 88-89) e con Vittoria Colonna (G. B. Rota, Vita premessa all'edizione delle Rime della poetessa, Bergamo 1760, p. 29).
Nel novembre 1520 il C. partecipò, insieme con altri letterati (il Tebaldeo, il Capodiferro, il Postumo, il Castiglione, Pietro Mellini, Francesco Calvo), a una delle battute di caccia di cui si dilettava Leone X: inesperto, si lasciò sfuggire un grosso cinghiale e dovette subire i rimproveri di Riccardo Malaspina. Nel 1521 fu a Verona, da dove nell'agosto si recò a Mantova per rendere omaggio ad Isabella d'Este; in seguito andò anche a Padova, presso il Longolio, come appare dall'opera di intermediario che egli svolse tra questo e il Sadoleto alla fine di quell'anno (I. Sadoleto, Epistolae, I, Romae 1760, pp. 85, 87, 90).
Nella primavera del 1524, quando l'Ariosto lo elencò tra gli amici più cari che avesse a Roma nella Satira VII a Bonaventura Pistofilo (vv. 127-29), il C. doveva essere ancora vivo; ma poco dopo, probabilmente nello stesso anno, egli morì suicida a Roma: chiusosi nella sua camera, vi fu ritrovato in un lago di sangue,col petto trafitto da una spada.
Alcuni biografi del C. ne datano la morte al 1526 (forse perché in quell'anno venne stampato a Venezia, sotto il suo nome, il Rinaldo Furioso); ma nessun documento sembra contraddire l'affermazione del contemporaneo Pierio Valeriano, secondo il quale la sepoltura del C. sarebbe stata curata dal cardinal Cornaro, che venne anche incontro alle necessità dei parenti del defunto: essendo il Cornaro morto il 24 luglio 1524 (Eubel, II, p. 24), appare logico prendere tale data come estremo termine della vita del Cavallo. In quanto alle ragioni del suicidio, le più probabili appaiono quelle prospettate dal Valeriano stesso: il C. avrebbe perduto una causa che era convinto di vincere, e contemporaneamente sarebbe stato derubato da un amico "magni nominis" presso cui - diffidando dei cortigiani e dei servitori di casa Cornaro - aveva depositato tutti i suoi risparmi; questa seconda ragione è confermata da un epigramma anonimo nel codice Vat. lat. 3353, f. 50. Fantasiose appaiono altre ipotesi: il Landi affermò che il C. si era ucciso perché in preda a una sorta di mania religiosa nata leggendo libri sull'immortalità; il Berni, nel Dialogo contra i poeti, elencando il C. tra i poetastri di professione finiti male, sostenne che egli "contrafece Catone Uticense, perché aveva il cognome suo" (Rime e lettere..., Firenze 1863, p. 435); Ludovico Paterno pubblicò nelle Nuove Fiamme (Lione 1568, p. 369) un'ecloga, La desperatione per la morte di M. C.,in cui immaginò che egli si fosse ucciso per disperazione amorosa; P. Cresci, in un Discorso recitato all'Accademia degli Uranici di Venezia e pubblicato a Ferrara nel 1599, cercò di dimostrare che il C. fosse stato ucciso da ladri, i quali, dopo aver rubato insieme con i denari tutti i suoi componimenti, ne avrebbero poi accomodato il corpo in modo da far credere a un suicidio. L'ipotesi del Cresci, che mirava a liberare il C. dalla taccia di suicida e a spiegare nel contempo le scarse tracce di una produzione poetica che pure dovette essere copiosa, ebbe molta fortuna tra gli eruditi anconetani, ma non è suffragata da alcuna prova: anzi, nessuno dei contemporanei mostrò di dubitare del suicidio del Cavallo. Al fatto, che certo dovette avere risonanza nell'ambiente romano, dedicarono epigrammi Girolamo Borgia (Epigrammaton liber I, cod. Vat. Barb. lat. 1903, f. 29), Guido Postumo Silvestri (cod. Vat. Ottob. lat. 2860, f. 109), M. A. Casanova (cod. Vat. lat. 5892, f. 288); sull'avvenimento ci restano inoltre due epigrammi anonimi: uno, che sta insieme con quello del Casanova (f. 287), in cui si proclama la fede nella metempsicosi e si afferma che nel C. è rivissuta l'anima di Catone; l'altro, in forma d'epitaffio (cod. Vat. lat. 3353, f. 50), che paragona la sua sorte con quella d'un altro suicida.
Il Giraldi ricorda la repugnanza del C. a pubblicare i propri scritti, e infatti quel che ci resta delle sue molte poesie latine e volgari è poco e di scarso valore. In latillo abbiamo un feroce epigramma sul defunto Giulio II ("Cum tot Iule tui monumenta reliqueris urbi / Liquisti nullum gratius hoc tumulo") nei codici Vat. Ottob. lat. 2860, f.81; Vat. lat. 3388, f. 193; Vat. lat. 3353, 174; un epigramma di quattro versi sull'impresa di Ancona edito da A. Peruzzi (Dissertazioni anconitane, I, Bologna 1818, p. 275, e La Chiesa anconitana, p. 169); un altro epigramma di quattro versi in onore della statua di s. Anna commissionata dal Goritz ad A. Sansovino nei Coryciana (Romae 1524,c. E); un lungo Carmen in laudem Zaccheriae Benedicti, scriptoris Vitae s. Brunonis, in S. Brunone, Opera, Parisiis 1524. In quanto alla lirica volgare, del C. ci rimangono, oltre alle rime già citate, quattro sonetti nelle Rime diverse di molti eccellentissimi auttori nuovamente raccolte, I, Venezia 1545 (poi 1548 e 1549); un sonetto in Delle rime di diversi eccellentissimi autori nella lingua volgare, Venezia 1551; varie rime pubblicate dal Maroni nel suo saggio sul C. (1869) dai codici Magliabech. II. 1. 60 e VII. 9. 720 della Biblioteca nazionale di Firenze. Altri componimenti del C. in latino e in volgare sono segnalati da P. O. Kristeller (Iter Italicum, I-II, ad Indices) rispettivamente nei codici 371 della Biblioteca civica di Belluno e Varia 109 della Biblioteca reale di Torino.
Controversa, e probabilmente errata, è infine l'attribuzione al C. di un mediocre poema cavalleresco, il Rinaldo Furioso. Questo lungo romanzo in ottave, vagamente ispirato all'Orlando ariostesco - le cui vicende sono trasferite in un clima di ingenua epica popolare -,apparve la prima volta a Venezia nel 1526 sotto il nome del C. nella tipografia di F. Bindoni e M. Pasini; nel 1530 però il poemetto era ripubblicato dallo Zoppino, che ne rivendicò esplicitamente la paternità a Francesco Tromba di Gualdo, e dai precedenti tipografi che anch'essi, senza dar spiegazioni, lo intestarono al Tromba e vi aggiunsero un secondo libro. L'anno seguente anche lo Zoppino stampò il Libro secondo;anche in questa, come nelle edizioni successive (Venezia 1542 e 1550), il Rinaldo andò sotto il nome del Tromba, cui presumibilmente va attribuito per intero, anche se restano da spiegare le ragioni dell'intestazione al C. della stampa del 1526.Mentre infatti il Tromba fu autore di altri romanzi cavallereschi popolareggianti, nessuna testimonianza abbiamo che il C. fosse autore di opere consimili, né appare documentata l'ipotesi di G. Ferrario (Bibliografia dei romanzi e poemi cavallereschi d'Italia, IV, Milano 1829, pp. 162 s.),ripresa poi dal Maroni (1869, pp. 230 ss.),secondo cui il poema, iniziato dal C., sarebbe poi stato portato a compimento dal Tromba.
Fonti e Bibl.: O. Landi, Paradossi...,Venezia 1545, c. 40v; Id., Sette libri de cathaloghi…, Venezia 1552, p. 348; G. G. Giraldi, De poetis nostrorum temporum, Dial. I, in Opera, II, Basileae 1580, p. 38; G. P. Valeriano, De litteratorum infelicitate, a cura di D. Egerton Brydges, Genevae 1821, pp. 31 s., 83; F. Arsilli, De poetis urbanis, in Poesie latine, a cura di R. Francolini, Senigallia 1837, p. 22; F. Borsetti Ferranti Bolani, Hist. almi Ferrariae Gynmasii, II, Ferrariae 1735, p. 286; A. Colocci, Poesie italiane, e latine..., a cura di G. F. Lancellotti, Iesi 1772, p. 19; F. Vecchietti-T. Moro, Bibl. picena...,III, Osimo 1793, pp. 190-193; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital.,VII, Venezia 1796, pp. 1306 s.; A. Peruzzi, La Chiesa anconitana, Ancona 1845, pp. 165-72; G. Melzi-P. Tosi, Bibliogr. dei romanzi di cavalleria... ital.,Milano 1865, pp. 120, 292 ss.; M. Maroni, Commentario della vita e degli scritti di M.A.C., in Riv. bolognese, s. 2, III (1869), pp. 210 ss.; C. Feroso [pseud. del Maroni], Ancona semper optimorum ingeniorum... genitrix, Anconae 1883, pp. 30 s.; E. Percopo, Dragonetto Bonifacio marchese d'Oria rimatore napol. del sec. XVI, in Giorn. stor. della letter. ital., X (1887), p. 213; D. Gnoli, Le cacce di Leon X, in Nuova Antologia, 16 febbr. 1893, pp. 642 s.; A. Luzio-R. Renier, La cultura e le relazioni letter. di Isabella d'Este Gonzaga, in Giorn. stor. della letter. ital., XXXIX(1902), pp. 247 ss.; G. A. Cesareo, Pasquino e Pasquinate nella Roma di Leone X, Roma 1938, p. 258; M. Natalucci, Ancona attraverso i secoli, II, Città di Castello 1960, p. 105; F. Ubaldini, Vita di monsignor A. Colocci, a cura di V. Fanelli, Città del Vaticano 1969, pp. 13 n. 20, 36 n. 44.