COLONNA, Marcantonio
Nacque da Pierantonio di Antonio principe di Salerno e da Bernardina Conti negli anni tra il 1470 e il 1480. Le prime testimonianze su di lui risalgono al 1502, quando con lo zio Prospero e il cugino di questo, Fabrizio, era agli stipendi del re dì Spagna, sotto Consaldo di Cordova. Iniziate le ostilità contro i Francesi, il C. prese parte alla campagna di Puglia, che dopo la statica dimora difensiva del gran capitano a Barletta si animò alla fine del febbraio del 1503 con il vittorioso attacco spagnolo a Ruvo, dove il C. si distinse. Prima della battaglia di Cerignola (28 apr. 1503) contribuì con i congiunti Prospero e Fabrizio a munire il campo con un fosso, che si dimostrò di importanza determinante.
Già nel marzo dell'anno successivo il C. era alla ricerca di un'altra condotta, avendo evidentemente lasciato il servizio degli Spagnoli. Entro l'anno fu assunto al soldo dei Fiorentini, impegnati nella guerra contro Pisa con settanta uomini d'arme e nel settembre del 1505 partecipò, sotto il comando di Ercole Bentivoglio, alla battaglia in cui a Campiglia Marittima fu sconfitto Bartolomeo d'Alviano.
Maturava intanto nell'animo di Giulio II la decisione di recuperare Bologna e Perugia allo Stato della Chiesa. Inoltre, il papa perseguiva un piano di pacificazione con i baroni romani. Avendo già dato Felice Della Rovere in moglie a Giovanni Giordano Orsini, il papa, ai primi dell'agosto del 1506, il mese stesso della sua partenza verso l'Umbria e l'Emilia, diede in sposa al C. una propria nipote, Lucrezia Franciotti (secondo Ilari, p. 101; Gara, secondo altri studiosi) Della Rovere, che era figlia della sorella Luchina. La sposa aveva 10.000 ducati di dote e il papa le donò una catena d'oro. Lo sposo fu rappresentato dallo zio Prospero, appositamente giunto a Roma. I Fiorentini appoggiarono il pontefice nel recupero di Bologna e il C. fu inviato con cento uomini d'arme contro il Bentivoglio. Nell'ottobre arrivò a Piancaldoli, quindi a Imola. Quando, dopo la fuga del Bentivoglio dalla città, Giulio II fece il suo solenne ingresso in Bologna, il C. era al suo seguito.
Alla fine del novembre del 1507 il C. giunse a Roma per conoscere finalmente la sposa. Le solenni celebrazioni del matrimonio avvennero il 4 genn. 1508, con la partecipazione dei più importanti personaggi presenti nell'Urbe. La sposa, vestita di raso e di broccato, avanzò fra l'ambasciatore francese e quello spagnolo; si recitarono due commedie. Un epitalamio in onore degli sposi fu composto da Evangelista Maddaleni de' Capodiferro e letto alla presenza dei card. Giovanni Colonna e Galeotto Della Rovere (Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 10.377, cc. 77-84). Non si sa quando precisamente il papa concesse in enfiteusi al C. ed alla moglie una palazzina da lui fatta costruire, quand'era ancora cardinale, dietro il palazzo Della Rovere ai SS. Apostoli, la quale, rimasta poi sempre di proprietà della famiglia, nei successivi ampliamenti e rimaneggiamenti venne a costituire il nucleo del palazzo Colonna. A carico del C. era il canone annuo di 40 ducati da pagare al cardinale titolare della basilica dei SS. Apostoli.
Dopo la capitolazione di Pisa (giugno 1509), il C. rimase al servizio dei Fiorentini ancora fino al 15 maggio 1510; già dal febbraio dell'anno prima si parlava del suo eventuale passaggio al soldo di Venezia - si era stabilito anche il compenso in 12.000 ducati -, ma poi egli si mise agli stipendi del pontefice, che stava progettando un colpo di mano su Genova per sottrarla ai Francesi. Nel luglio il C. a capo delle milizie pontificie si avviò in Lunigiana. Il 14 ottenne La Spezia e a lui si unirono i fuorusciti Ottaviano Fregoso e Niccolò Doria.
Pareva però che nessuno credesse davvero alla riuscita dell'impresa. Si pensava che le forze francesi nella città fossero superiori a quanto erano in realtà; l'esercito era reputato insufficiente; i Veneziani tenevano soprattutto a non perdere le navi. Il 17 si sarebbe dovuto imbarcare i combattenti e sorprendere la città; si cominciarono le operazioni di imbarco, ma poi si desistette e tutto fu rimandato alla notte seguente. In seguito, giunti da terra in vista di Genova, i Pontifici reputarono eccessiva per le loro forze la resistenza della città. Il C. riportò l'esercito a Chiavari, indi a Sestri Levante, poi di nuovo a La Spezia, dove arrivò il 23 luglio. L'impresa era fallita.
Subito dopo il papa ingiunse al C. di passare direttamente in Romagna, contro il duca di Ferrara. Nel settembre il C. inviò le sue genti verso Bologna, mentre egli si tratteneva vicino Pisa per un attacco di febbre. A Bologna recò messaggi papali al cardinal legato Francesco Alidosi. Aveva inoltre l'ordine di non prendere alcuna iniziativa prima dell'arrivo del papa. Durante la fiacca campagna che seguì, il C. nell'ottobre conquistò Sassuolo e Rubiera e in dicembre rimase a Modena anche dopo che se ne era allontanato l'esercito pontificio, al governo e alla custodia della città. Posto l'assedio a Mirandola il papa lo chiamò vicino a sé.
Il pontefice aveva una vera predilezione per questo nipote, che era circondato da fama di valore e di gentilezza, per il quale, solo fra tutti i capitani, Giulio II aveva parole di lode. Fu a lui, che aveva fatto più volte da tramite fra il papa e i difensori, che Mirandola si arrese per dedizione, sicura di scampare così al saccheggio. Ritornato subito dopo a Modena, il C. il 31 genn. 1511 la consegnò, per ordine del Pontefice, all'ambasciatore cesareo, che circa un mese dopo lo pregò di tornare nella città per difenderla da un eventuale attacco francese.
Restaurati i Bentivoglio a Bologna (maggio 1511), il papa, lanciato l'interdetto contro la città, inviò nell'estate il C. di nuovo in Romagna per dare il guasto a quei territori, ma egli ebbe scarso successo nell'assolvere quell'odioso compito per l'energica reazione di tutta la popolazione. Mentre ancora una volta si parlava di un suo eventuale passaggio agli ordini di Venezia, il 21 agosto il papa concedeva in feudo al C. ed alla moglie Frascati - sottratta a Niccolò Franciotti Della Rovere, che ricevette in cambio Gallese - in sostituzione degli stipendi di cui era creditore.
In quel periodo il C. non era soddisfatto della sua posizione e chiedeva di lasciare il servizio del papa, per non essere agli ordini del duca di Termini; solo per la morte di quest'ultimo egli accondiscese a restare agli stipendi del pontefice, il quale d'altra parte era abbastanza adirato con i suoi condottieri, che non riuscivano a riconquistargli Bologna.
Nel dicembre di quel medesimo anno, dopo un breve soggiorno a Roma, il C. era a Faenza. La guerra contro i Francesi stava per riprendere nelle Romagne. Ai primi dell'aprile del 1512 Gaston de Foix si mosse contro Ravenna. Negli stessi giorni il C. entrò con sessanta uomini d'arme, cento cavalli leggeri e seicento fanti spagnoli nella città.
Prima di obbedire a quest'ordine egli aveva preteso dal comandante dell'esercito della lega, Raimondo di Cardona, e dai suoi collaboratori l'impegno che essi l'avrebbero soccorso con tutto l'esercito se fosse stato attaccato. Penetrato in Ravenna, egli attese con sollecitudine a fortificarla. Le porte furono murate, mentre la popolazione si dimostrava pronta alla difesa. Il comandante francese sottopose prima la città ad un bombardamento, che aprì una breccia nelle mura, ma l'abnegazione del C., che instancabilmente "soccorreva ora qua ora là" (Guicciardini, Storia d'Italia, II, p. 181) e la determinazione dei difensori indussero Gaston de Foix, che del resto aveva ottenuto quanto voleva e cioè di trascinare l'esercito ispano-pontificio a battersi, a desistere dall'azione.
Dopo la battaglia (11 aprile), vittoriosa per i Francesi, questi ultimi si volsero di nuovo contro Ravenna. I cittadini, depressi dagli avvenimenti e intimoriti dalle minacce degli assedianti, decisero di darsi ai vincitori per accordo, mentre il C. si ritirava con i suoi uomini nella cittadella, da dove assisteva impotente al saccheggio dei Francesi, che non mantennero i patti. Poco dopo anche il C. capitolò; poté salvare le persone e le cose, promettendo però che non avrebbe combattuto per cinque mesi contro i vincitori. Fermatosi prima a Cesena, il C. arrivò a Roma il 24 aprile e il 2 maggio assisteva all'apertura del concilio in S. Giovanni in Laterano fatta solennemente dal papa.
Nel luglio dette mano a Fabrizio Colonna quando questi aiutò il duca di Ferrara, uno degli alleati dei Francesi rimasti a far fronte da soli alla situazione dopo la partenza di costoro dall'Italia, a fuggire da Roma, dov'era venuto ad abboccarsi con il papa e dove si sentiva tutt'altro che sicuro. Questo, che Giulio II considerò un tradimento, guastò i rapporti fra il C. e il papa.
Tuttavia nell'ottobre al C. furono affidati cento uomini d'arme, che egli condusse all'impresa di Ferrara, portata fiaccamente avanti o, per meglio dire, quasi sabotata dal duca di Urbino. Nel febbraio dell'anno successivo, mentre a Roma si spegneva Giulio II, il C. era a Bologna, ove rimase per qualche mese. Nel maggio-giugno fu inviato da Leone X alla difesa di Parma e Piacenza contro i Francesi, avendo precedentemente cercato di impadronirsi di Cotignola, appartenente al ducato di Milano.
Fallito allora il tentativo francese di riconquistare il Milanese, l'impresa riuscì a Francesco I due anni più tardi. Postosi, con licenza papale, al servizio dell'imperatore, il C. nell'agosto del 1515 si mise in viaggio da Roma verso Verona con centocinquanta lance. Giunto nella città, di cui gli fu affidato il comando militare, si dedicò al rafforzamento delle difese, facendo proseguire il lavoro anche di notte per costruire quattro o cinque bastioni. Nel febbraio 1516, giunto a Verona Massimiliano d'Asburgo, non disposto ad accettare il dominio francese sull'antico ducato sforzesco, il C. si pose a sua disposizione con duecento uomini d'arme e lo seguì nella spedizione contro Milano. Mentre il sovrano era a Caravaggio, il C. entrò in Lodi, espugnandone la rocca e uccidendo i Francesi che la presidiavano, ma, conclusa in breve la spedizione dell'imperatore, rientrò a Verona.
Il C. divideva la responsabilità del governo della città con Giovanni Battista Spinelli e il cardinale Schiner, con il quale ultimo nel maggio si recò a Trento da Massimiliano a prospettare la necessità di aiuti a riferire sulla situazione. Nello stesso mese, mentre i Francesi assediavano Brescia, egli uscito da Verona ottenne un buon successo vincendo i nemici a Valeggio e occupando Legnago. Caduta Brescia il 23 maggio, l'esercito franco-veneto pose l'assedio a Verona. La città non era ben fornita di viveri e i difensori non mostravano spirito combattivo, talché il C. non aveva molta fiducia che essa potesse resistere a lungo. Forse per questo nell'agosto il C. inviò nel campo nemico, con il compito di dar fuoco alle polveri, un sabotatore, che fallì il suo tentativo. Tuttavia il C. non si affidò soltanto a questi mezzi, ma, oltre che prodigarsi alla difesa, fece una sortita sorprendendo Vicenza e procurandosi così i necessari rifornimenti. L'estrema precarietà della situazione era perfettamente intesa dal C., che a settembre, ferito a una spalla da un colpo di schioppo, pensava che la città non potesse resistere più di un altro mese. Gli aiuti promessi da Massimiliano arrivarono però alla metà di ottobre, provocando il ritiro dell'esercito nemico a Villafranca.
L'imperatore si mostrò grato al C., che alla fine di novembre, rifiutandosi di presenziare alla consegna di Verona a Venezia, che l'aveva ottenuta quando Massimiliano era addivenuto alla pace, si recò da lui a Costanza e quindi ad Innsbruck. Il papa invece comprese il C. nei monitori del dicembre contro i Colonna, rei di aver assunto un atteggiamento favorevole ai Della Rovere nella guerra di Urbino.
In questo periodo il C. cercava evidentemente una nuova condotta. Probabilmente egli avrebbe voluto restare al soldo di Massimiliano, presso cui stava ancora nel maggio del 1517 ad Anversa, ma giunto di lì a poco a Parigi, si pose al servizio di Francesco I, egli che aveva combattuto per l'intera vita contro i Francesi, con 8.000 franchi di provvigione. Prestata la sua opera in fortificazioni ai confini del Regno, tornò a Roma, ove giunse ai primi di agosto. La nuova funzione del C., che ricevette l'Ordine di S. Michele e che sarebbe stato capitano in caso di guerra, era di ambasciatore del re di Francia presso il papa. Presentò le lettere credenziali il 6 agosto e sollecitò al pontefice il pagamento dei suoi crediti.
Della stessa epoca è un abboccamento del C. con alcuni esuli siciliani, che avanzarono la proposta di promuovere il passaggio dell'isola sotto il dominio francese. Probabilmente un'azione diretta in questo senso sembrò prematura al C., perché nel possedimento spagnolo, dopo una recente congiura, l'autorità era stata saldamente ristabilita. Inoltre un'impresa di tale importanza richiedeva la disponibilità di grandi somme di denaro.
Il C. rimase a Roma o piuttosto nei suoi possedimenti nella Campagna romana fino all'estate del 1519, quando ritornò in Francia. Arrivò a Blois nel settembre e si abboccò con il re. Non si sa che cosa decise al viaggio il C., anche se parecchie ipotesi sono possibili. È certo che ripassando per Milano, ove, partito da Amboise nel novembre, giunse il 5 del mese successivo, il C. ricevette dal Lautrec, per ordine del re, sei pezzi di artiglieria, munizioni e mille corsaletti, che furono trasportati a Genova prima e di lì per mare ai castelli del Colonna.
I rapporti fra Francesco I e Carlo V, divenuto allora imperatore, si erano intanto talmente deteriorati che la guerra si era fatta inevitabile. Quando Francesco I iniziò le ostilità e Carlo V ottenne il successo diplomatico di un'alleanza con il pontefice, il C. si ritirò nei suoi castelli. Qui egli teneva a disposizione del re di Francia cinquanta lance e qui i fratelli Imperatore, siciliani, presero di nuovo contatto con lui, riprospettando l'idea di un passaggio della Sicilia alla Francia. Pare che il C. facesse conoscere a Francesco I queste profferte e da qualche parte si sostenne che egli avrebbe dovuto essere il nuovo re di Sicilia, con l'aiuto delle armi francesi.
Nell'estate il C. si mise di nuovo in viaggio per la Francia. Passando per Venezia, Verona, Brescia, arrivò nell'agosto a Milano, dove sostò fuori della città, avendo promesso al papa di non entrarvi. Dopo un soggiorno brevissimo in Francia, ritornò già ai primi di settembre nella città lombarda, ove si mise a disposizione del Lautrec. Continuamente consultato dal generale francese, il C. rimase in campo fino al novembre, quando dal Lautrec fu inviato a Venezia.
Doveva chiedere alla Signoria denari e il permesso di fare alloggiare l'esercito nelle terre venete. Il Senato rispose con un rifiuto alla richiesta di denaro, ma fini poi per concedere qualche migliaio di ducati; acconsentì quindi alla seconda richiesta, anche se con qualche riserva. Il C. trattò inoltre privatamente la ricorrente questione di un suo eventuale passaggio al servizio di Venezia.
Perso il possesso di Milano da parte del Lautrec, il 9 marzo 1522 il C. era nell'esercito francese che assediava la città e cercava di prendere cognizione dei ripari fatti dagli assediati, comandati dallo zio Prospero, quando una palla di cannone lo ferì a morte, insieme con Camillo Trivulzio che lo accompagnava.
Lasciò quattro figlie femmine: Beatrice, Porzia, Olimpia e Livia, che non ereditarono i suoi beni, poiché egli il 7 dic. 1508 aveva stipulato un accordo con lo zio Prospero, secondo il quale le loro proprietà dovevano essere trasmesse soltanto alla linea maschile. Il suo cadavere, insieme con quello dello zio Prospero, dopo la morte di questo l'anno successivo, fu traslato a Fondi.
Un ritratto del C., che con ogni probabilità fece compilare gli statuti di Frascati del 15 febbr. 1515, è, secondo P. Colonna (p. 143), in palazzo Colonna a Roma.
Fonti e Bibl.: P. Giovio, Elogia virorum bellica virtute ill., Florentiae 1551, pp. 220 s.; G. A. Prato, Storia di Milano, in Arch, stor. ital., s. 1, t. II (1842), pp. 291, 294; G. Müller, Doc. che concernono la vita pubblica di G. Morone, in Misc. di storia ital., III (1865), pp. 34 s., 44, 160; M. Sanuto, Diarii, IV-XXXIII, Venezia 1880-1892, ad Indices; C. Giuliani, Lettere di G. Spinelli e di M. A. C. a Bernardo Cesio…, in Archivio trentino, I(1882), pp. 79 s., 94, 103 s., 108, 111 s., 115 s., 118, 120 s., 125 s.; P. Grassi, Le due spedizioni militari di Giulio II, a cura di L. Frati, Bologna 1886, pp. 68, 94; Crónicas del Gran Capitán, a cura di A. R, Villa, Madrid 1908, ad Indicem;Korrespondenzen und Akten zur Geschichte cz. Kardinals M. Schiner, a cura di A. Buchi, I-II, Basel 1920-1925, ad Indicem;F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931, pp. 277, 290; B. Dovizi da Bibbiena, Epistolario, a cura di G. L. Moncallero, I-II, Firenze 1955-1965, ad Indicem; P.Giovio, Lettere, a cura di G. G. Ferrero, I, Roma 1956, pp. 93, 99, 153, 344; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di C. Panigada, Bari 1929, II-IV, ad Indicem; Diario romano di Sebastiano di Branca Tedallini, in Rerum Italicarum Scriptores, 2 edizione, XXIII, 3, a cura di P. Piccolomini, pp. 322, 328, 330 s., 363; B. Senaregae De rebus Genuens. comment. …, ibid., XXIV, 8, a cura di E. Pandiani, pp. 131-134, 141, 147; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, ibid., XXXIII, 1, a cura di A. Sorbelli, pp. 337, 356 s.; A. Coppi, Memorie colonnesi, Roma 1855, pp. 250 s., 255 s., 259 s., 263 s., 267, 272 ss.; P. Villari, Niccolò Machiavelli…, I-II, Firenze 1877-1881, ad Indicem; I. La Lumia, Storie siciliane, IV, Palermo 1883, pp. 194 ss., 198 s., 203, 205; P. Colonna, I Colonna…, Roma 1927, pp. 122 s., 128 s., 132, 142, 145 s., 152, 164; C. Argegni, Condottieri, capitani e tribuni, I, Milano 1936, p. 186; P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare ital., Torino 1952, pp. 491, 523, 525; G. Franceschini, Le dominazioni francesi, in Storia di Milano, VIII, Milano 1957, pp. 122, 167, 234; L. v. Pastor, Storia dei papi, IV, 1, Roma, 1960, pp. 21, 97, 99; A. Ilari, Frascati fra Medioevo e Rinascimento, Roma 1965, ad Indicem;V. Golzio, Palazzi romani…, Bologna 1971, p. 90; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s. v. Colonna, tav. IV.