BUROLO, Marc'Antonio Ceveris conte di
Nato a Torino da Carlo Filippo e da Giulia Beccaria il 2 marzo 1678, primo di otto figli, seguì la carriera paterna di pubblico funzionario. Il padre infatti era stato prefetto di Alba e mastro auditore camerale. Quali siano stati i primi uffici esercitati dal B. non è noto; da una sua lettera del 1696 diretta a Vittorio Amedeo II e contenente il suo parere sulla richiesta di un chierico per ottenere gli ordini religiosi in Castellamonte, si potrebbe arguire che incominciò ad operare con incarichi nell'Eporediese, dove la famiglia possedeva il feudo maggiore. La prima carica da lui ricoperta fu quella di mastro auditore camerale (ufficio di cui il padre aveva avuto con patenti ducali [1681] facoltà di disporre) come appare da una patente del 16 nov. 1706, con la quale gli si conferivano in via provvisoria le alte funzioni di contadore generale. Le sue doti di buon amministratore dovettero emergere assai presto se poté ricoprire a soli ventotto anni, sia pure in via provvisoria, un ufficio di tale importanza. La carica successiva di auditore di corte (26 apr. 1717) segnò, in un certo senso, l'inizio di una più brillante carriera nell'ambito dell'alta burocrazia.
Va notato infatti che l'auditorato di corte, organo giurisdizionale assai delicato, sia perché di nuova creazione sia perché concepito come un accorto strumento di politica clientelistica della monarchia (l'auditore di corte era tenuto tra l'altro a giudicare in materia di liti e crimini riguardanti il personale nell'azienda della real casa), non poteva che essere affidato ad un abile reggitore. E l'oculatezza, storicamente accertata, con cui Vittorio Amedeo II provvide a scegliere gli uomini per costituire un'efficientissima classe dirigente, non lascia alcun dubbio sui meriti del Burolo.
Nel 1720, inoccasione della creazione di un nuovo consiglio dell'Albergo di virtù, sorta di istituto di beneficenza e di rieducazione dei giovani, il B. venne nominato consigliere. Ma soltanto con la nomina del 14 dic. 1723 a vicario e soprintendente generale della politica e polizia di Torino egli ottenne la carica che gli diede modo di mettere interamente in luce le sue capacità. Anche in questo caso, è singolare che il B. fosse deputato al vicariato nel momento in cui tale ufficio divenne strumento dell'assolutismo di Vittorio Amedeo II, venendo unito per la prima volta alla prefettura di Torino e provincia e acquistando in tal modo funzioni di polizia e giudiziarie insieme.
Compiti del vicario erano, oltre alla tutela della quiete e della sicurezza pubblica, il mantenimento dell'igiene, la cura dell'annona, la sorveglianza sulla moralità e sulla religiosità dei cittadini, l'esecuzione dei lavori pubblici. Il B. esercitò queste mansioni con competenza, alacrità, severità, intransigenza. Egli stesso, in una lettera, ci dice quali devono essere le qualità del vicario: "distaccato da rispetti humani, privo d'ogni seconda intenzione e talmente fermo che sii in stato di non avere bisogno ne del governo, ne dei magistrati, ne d'alcuno di sua parentela". Pessimisticamente convinto che "[il popolo] non cerca altro, che ingariarsi l'un l'altro" e che le pene non siano mai abbastanza severe di fronte alle sempre "novemalitie nel publico", sente il suo compito come una missione, giacché "li buoni regolamenti non bastano, bisogna che si facino esequire con fermezza e constanza".
L'esame dei carteggi che concernono il vicariato del B. nel lungo periodo in cui lo resse, dal 1723 al 1730, lo mostra sempre attento e preciso; attivo nel prevenire quanto pronto a reprimere, pieno di iniziative, ligio ai superiori e al sovrano. Il potere dei vicari di dettare regolamenti di polizia urbana gli permise di imporre in tale ambito regole durature. A lui si deve una prima generale illuminazione delle vie di Torino che, tralasciata in seguito per economia, venne ripristinata sotto Vittorio Amedeo III. Ebbe, inoltre, occasione di collaborare con il primo architetto Filippo Juvara al riassetto urbanistico della zona compresa tra porta Susina e porta Palazzo. L'ultimo incarico di cui si ha notizia è indicato nella patente del 25 febbr. 1738, con cui gli viene nuovamente assegnato l'auditorato di corte insieme al conservatorato delle cacce.
Il B. morì a Torino l'11 ag. 1746.
Sposatosi il 14ott. 1708 con Angela Maria Bona Garretti di Ferrere, il B. non aveva avuto prole. Aveva allevato e tenuto come figlio il pupillo, vassallo Carlo Michelangelo Lodi, con cui aveva fatto "una sola famiglia con unione di redditi a totale e reciproca soddisfazione". Dopo avergli donato parte del feudo di Burolo, già nel 1731 aveva depositato testamento col quale lo istituiva erede con l'obbligo di assumere il cognome e le armi gentilizie e trasmetterli agli eredi maschili e femminili.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sez. I, Lettere particolari, mazzo58 Cev-Cha, 1696, 10 luglio 1696; 1718 in 1728, 13, 15, 18 luglio, 26 ott. 1718; 13 luglio, 3, 7, 21 agosto, 17 e 29 settembre, 5, 8, 10, 20 ottobre, 18 novembre, 20 e 23 dic. 1726; 28 dic. 1728; Materie economiche,Vicariato di Torino, 1504 in1814, marzo, 19 luglio e 23 ag. 1724; 6 ag. 1726; 6 dic. 1727; Provincia di Torino, mazzo 1 d'addizione fasc. 14, 15; mazzo 2 d'addizione, fasc. 1; mazzo 5, fasc. 6; Registri cariche,voll. 1, 3-7; Ibid., Sez. Camerale, Controllo finanze, reg. 13, f. 167; reg. 2, f. 8; reg. 3, f 169; reg. 13, f. 167; reg. 14, ff. 164, 166; reg. 22, f. 26; Ibid., Sez. II, Insinuazioni, 1736, vol. 2º del libro 8º c. 762; Ibid., Sez. III, Tassi, reg. 3, f 39; Ibid., Senato, Testamenti, 11 ag. 1746; [G. Galli della Loggia], Cariche del Piemonte, Torino 1798, II, pp. 183-86, 189, 207, 230; III, Appendice, parte 6, p. 36; F. A. Duboin, Raccolta per ordine di materie delle leggi,editti,manifesti della Real Casa di Savoia, III, 2, Torino 1827, pp. 1105-07, 1115, 1465-79; Torino, Bibl. nazionale: A. Manno, Ilpatriziato subalpino (dattiloscritto), III, 6, pp. 449 s.; G. Drovetti, Torino ai tempi del vicariato, in Torino. Rivista municipale, aprile 1934, pp. 46-49; G. Quazza, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, Modena 1952, I, p. 79; II, p. 242.