MANUMISSIONE
. È la liberazione dalla schiavitù: così chiamata dai Romani in quanto nasce da una rinuncia del dominus alla potestà che ha sullo schiavo (manus). Lo schiavo manomesso diventa libero e cittadino romano (v. liberto)
Le forme di manumissione usate in Grecia, ci sono soprattutto note attraverso documenti epigrafici e papirologici. Varie classificazioni di esse si sono fatte: meritano di essere particolarmente ricordate, tra le forme religiose di manumissione, quella per consacrazione dello schiavo alla divinità o per vendita simbolica dello schiavo al dio di un tempio; tra le forme civili, la manumissione fatta con la proclamazione in luogo pubblico per mezzo dell'araldo (διὰ κήρυκος = per praeconem); la manumissione ad mensam; inter amicos; con l'intervento del magistrato.
A Roma, secondo il diritto civile, la manumissione poteva avvenire o vindicta o censu o testamento. La prima - finta rivendicazione della libertà, o adsertio in libatatem - si svolgeva davanti al magistrato (o console o pretore o rettore della provincia) e sopravvive nel diritto giustinianeo, benché abbia perduto tutto il simbolismo antico e fin anche la presenza dell'adsator. La seconda si compiva con l'iscrizione dello schiavo come cittadino nelle liste censuali e non sopravvive più nel diritto giustinianeo. La terza era una dichiarazione di voler libero lo schiavo fatta nel testamento, la quale aveva effetto immediato con l'adizione dell'eredità ovvero al sopraggiungere del termine o al verificarsi della condizione: in questo caso lo schiavo, nell'intervallo tra l'adizione e l'evento, si diceva statuliber. Il testatore poteva anche imporre all'erede o ad altro onorato mortis causa di dare la libertà a uno schiavo: qui la causa immediata della libertà non era la disposizione mortis causa ma l'atto di manumissione inter vivos, che l'incaricato compiva. La manumissio testamento ha certe corrispondenze con la manumissione per adozione esistente nel diritto babilonese.
Accanto ai modi di manumissione già descritti, nel diritto romano se ne aggiunsero altri. Divenne d'uso viȧ via più frequente che il dominus, prima alla presenza di amici (inter amicos), successivamente a banchetto (ad mensam), per lettera (per epistulam), o altrimenti, manifestasse la sua volontà di rendere libero lo schiavo. Questa volontà, manifestantesi senza l'osservanza delle forme dal ius civile rescritte, non era per sé produttiva di effetti giuridici: gli schiavi, così liberati, rimanevano legalmente schiavi. Sennonché il pretore, spinto dal nuovo spirito sociale, pur non dichiarando liberi e cittadini gli schiavi, così manomessi, li difese contro ogni pretesa del dominus di ridurli nuovamente in schiavitù. La loro posizione fu regolata dalla lex Iunia (tra il 44 il 27 a. C.), la quale conferì ad essi la latinità: condizione intermedia tra la cittadinanza romana e la peregrinità. Essi venivano chiamati Latini Iuniani e si distinguevano dagli altri Latini in quanto non avevano il ius commercii (cioè la capacità patrimoniale) mortis causa, ma soltanto inter vivus. L'imperatore Giustiniano (Cod., VII, 6, de lat. lib. toll.,1) riconobbe la piena efficienza di queste manumissioni: ma la riforma giustinianea già si era compiuta prima per via di consuetudine Per quanto diversamente appaia da una dichiarazione di Sozomene (Hist. eccl., I, 9) che si riferisce ai tempi di Costantino, abbiamo varî documenti di manumissione per episiulam nelle provincie, in cui non traspare alcun cenno di limitata efficacia, e le stesse istituzioni giustinianee (Inst., I, 5, de libert., 3) dicono che "Latinorrum nomen non frequentabatur". Un tipo nuovo di manumissione è, nel diritto postclassico, la manumissio in sacrosanctis ecclesiis: se questa forma sia da ricondurre all'istituto dello ierodulismo, cioè alla manumissione per vendita fittizia alla divinita (Gotofredo, L. Mitteis, P. F. Girard), o alla manumissione anch'essa ellenica per consacrazione dello schiavo agli dei (P. De Francisci, V. Arangio-Ruiz), o al cristianesimo (C. Ferrini), è molto disputato. L'imperatore Giustiniano ha talmente ampliato le forme di manumissione da riconoscere valore quasi a ogni manifestazione di volontà del dominus.
Largamente favorita, csì sulla fine dell'età repubblicana come nell'età romano-cristiana, la manumissione apparve nell'età augustea un ostacolo a quella restaurazione della civitas che il principe ebbe di mira; e infatti la folla dei libertini, che inondava Roma, faceva sì che in essa si accentuasse la preponderanza di elementi esotici e turbolenti. Da ciò le due leggi limitative delle manumissioni dell'anno 2 a. C. (lex fufia Caninia) e del 4 d. C. (lex Aelia Sentia).
La manumissione non può essere fatta che dal dominus ex iure Quiritium dello schiavo: chi lo ha in bonis può conferirgli soltanto una libertà di fatto. Se uno schiavo è sottoposto alla potestà di più condomini, la manumissione compiuta da uno di essi nel diritto antico rendeva libero lo schiavo; nel diritto classico vale come rinuncia alla quota, che passa ai condomini in forza del ius adcrescendi; nel diritto giustinianeo (ed è questa la più esorbitante applicazione del favor libertatis) s'introduce una nuova norma d'origine orientale, per cui la manumissione da parte d'un solo condomino rende libero lo schiavo e gli altri hanno diritto esclusivamente al prezzo della loro quota.
Diversa dalla manumissione è l'affrancazione, che opera legalmente senza e contro la volontà del dominus. La libertà attribuita dall'imperatore Claudio allo schiavo abbandonato in stato di grave infermità dal dominus è il primo d'una serie di casi d'affrancazione legale, che si svolgono nell'epoea romano-ellenica, in parte dietro l'innegabile spinta del cristianesimo, in parte per le mutate condizioni politiche, economiche e sociali.
Presso i Germani lo schiavo diventava volkfrei, se la liberazione avveniva con l'intervento del popolo; nel diritto longobardo diventava fulcfree e insieme amund se era manomesso per gairethinx (v.) o per impans. La manumissione per gairethinx era fatta per sagittan dinnanzi all'assemblea dei liberi armati di lancia, che forse assistevano alla vestizione delle armi da parte dello schiavo. Se la murmuratio patriis verbis, che seguiva il gettito della sagitta, rappresentasse una corroborazione del conferimento della libertà, o una imprecazione contro l'eventuale contravventore, o un rito magico, è dubbio. La manumissione in pans o in votum regis consisteva in una consegna dello schiavo al re, che lo dichiarava libero: questa è stata accostata dal Tamassia alla manumissione in conspectu imperatoris o iussu imperatoris: è dubbio, però, se non potesse avere una derivazione anche germanistica. Due altre forme di manumissione sono la manumissio in quartam manum e la manumissio per denarium. La prima consisteva in ciò: il manumittente conduceva lo schiavo a un quadrivio, dove, alla presenza di più testimoni, lo consegnava ad altro libero, che a sua volta lo trasmetteva a un terzo dal quale veniva passato a un quarto che pronunciava la formula di liberazione. Questa era giuridicamente operante se il quarto lo rendeva libero per astulam et sagittam: solennità, anche codesta, variamente interpretata dagli studiosi. La seconda, importata dai Franchi, consisteva in una consegna dello schiavo al re, che scuoteva dalle mani il denaro postovi sopra, dichiarando "hoc modo hunc servum liberum esse volo". La manumissione in ecclesia tardò ad essere ammessa dai Longobardi, benchè cristiani: dapprincipio fu ammessa in forma più complicata, in quanto che il servus doveva essere consegnato prima al rex o al princeps e poi da questi al sacerdote che lo portava circa sacrosanctum altare. Ma dal 721 si accolse senz'altro la più semplice forma romana, benché consuetudinariamente per i Longobardi continuassero a sopravvivere in questa manumissione alcuni elementi, non richiesti dalla costituzione costantiniana, che la introdusse. La manumissione per gairethinx e per impans dovevano fatalmente scomparire col graduale decadere dal diritto longobardo. Rimase la manumissio circa sacrosanctum altare, ricordata ancora nel Friuli nel 1369, e la manumissio in quartam manum ricordata ancora nel 1279 nella stessa regione.
Tra la popolazione romana usavano la manumissio ante principem, la manumissio in ecclesia ante plebem, la manumissio per testamentum; usavano anche la manumissione per minutas cartas (scrittura privata), o ante amicos, o nel convito.
Generalmente il manomesso era tenuto a servizî: il manumittente otteneva un lavoratore cointeressato alla produzione e trasformava il proprio dominio in protettorato: acquistava il patrimonio del manomesso, se questi moriva intestato e senza figli. Da tale libertà condizionata derivano i nomi di tributarii, factitii, censuales dati ai manomessi, perché prestavano giornate di lavoro e pagavano censi. Le manumissioni si fecero più frequenti quando si diffusero le forme di produzione col salariato, meno costose, e finì l'economia a schiavi costosa e improduttiva. Vi erano, poi, casi in cui il servo era di pieno diritto affrancato: quando il padrone lo maltrattava, l'abbandonava nella miseria o nella malattia, l'offendeva nell'onore maritale; quando avesse reso importanti servizî pubblici o fosse caduto in mani di ebreo.
Bibl.: Oltre la voce manumissio, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., e in Daremberg e Saglio, Dict. d. antiq. gr. et rom., per il diritto babilonese v. Schorr, Altbabylonische Rechtsurkunden, in Sitzusb. d. Wien. Akad., 1907, 1909; 1910; G. Furlani, La civiltà babilonese e assira, Roma 1929; per il diritto greco, L. Beauchet, Histoire du droit privé de la rép. athén., Parigi 1897, II, pp. 467-480 e bibliografia ivi citata; A. Calderini, La manumissione e la condizione dei liberti in Grecia, Milano 1908; per il diritto romano, H. Degenkolb, Die Befreiung durch Census, Tubinga 1892; M. Wlassak, Die prätorische Freilassung, in Zùtschr. d. Sav.-St. f. Rechtsg., XXIV (1907), p. i segg.; S. Brassloff, Zur Lehre von den Freilassungen in der römischen Kaiserzeit, in Rhein. Museum, n. s., LXVIII (1913), p. 13 segg.; L. Mitteis, Ueber die Freilassung durch den Teileingenthümer eines Sklaven, in Arch. f. Papyrusforschung, III (1904), p. 252 segg.; G. Rotondi, La cost. 1 Cod. Iust 7,7 e la manumissio del servus communis nei diritti orientali, in Scritti giur., III, p. 60 segg.; P. De Francisci, Intorno alle origini della manumissio in ecclesia, in Rend. Ist. lomb., XLIV (1911), p. 619 segg., dove è pure una larga bibl. concernente la manumissione nel diritto ebraico; C. G. Mor, La manumissio in ecclesia, Roma 1928; H. Lévy-Bruhl, L'affranch. par la vindicte, Palermo 1932; V. Arangio-Ruiz, Framm. di Gaio, Firenze 1933; per il diritto medievale, P. Vinogradoff, Die Freilassung zu voller Unabhäng in d. deutschen Volksrechten, 1877; Havet, Affranch. per handradam, in Nouv. R. Hist. de dr. franç. et étr., 1877; K. Maurer, Die Freilassungen nach altnorweg, Rechte, Monaco 1878; Stock, Die Freilassungen im Zeitalter der Volksrechte, Lipsia 1881; P. Fournier, Les affranch. du Ve au VIIIe siècle, Parigi 1883; M. Fournier, Essai sur les formes et les effets de l'affranch. dans le droit gallo-franc., Parigi 1885; A. Brunner, Die Freilassung durch Schatzwurf, Lipsia 1886; N. Tamassia, Manumissio ante regem, Roma 1902; E. Besta, Le persone nella storia del dir. ital., Padova 1931.