mentali, malattie
Manifestazioni di una disfunzione comportamentale, psicologica o biologica della persona, clinicamente significativa, associata a un malessere o a una menomazione. Spesso la malattia m. è definita anche come disturbo mentale, ma una definizione soddisfacente non esiste. Uno strumento diagnostico universale per i disturbi mentali è il Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders (➔ DSM). Di molte malattie m., peraltro, non si conoscono né l’eziologia né i processi fisiopatologici. La cura fa ricorso a psicofarmaci e alla psicoterapia. La ricerca neurobiologica in ambito neuropsichiatrico ha compiuto enormi progressi a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, aprendo prospettive nuove sia nella comprensione sia nel trattamento delle malattie mentali. Gli sforzi nello studio delle basi biologiche dei disturbi della mente sono focalizzati sulle quattro principali patologie psichiatriche: schizofrenia, sindrome depressiva, ansia e disturbi bipolari.
La schizofrenia (➔) è un disturbo mentale diffuso ad eziopatogenesi sconosciuta. Si pensa che si sviluppi tramite l’interazione di fattori genetici, fattori ambientali e disturbi del neurosviluppo, che portano ad alterata migrazione neuronale, scompaginamento della citoarchitettonica neuronale degli strati della corteccia cerebrale e alterazione delle sinapsi. Le conseguenze di queste alterazioni sono un’anomala connettività cerebrale (disconnettività neuronale), che può essere studiata nel cervello sia a livello strutturale sia funzionale; le conseguenze che genera sono principalmente: alterazione dell’attività elettrica sinaptica, disaccoppiamento fra la neurotrasmissione e il metabolismo neurochimico e la desincronizzazione dei piani di comunicazione dei vari livelli di attività cerebrale. Fra le alterazioni osservate nella struttura, nella fisiologia e nella neurochimica del cervello dei pazienti affetti da questa malattia m., nessuna di esse può essere concretamente utilizzata come marcatore diagnostico. Gli studi di imaging funzionale hanno sottolineato l’importanza di alterazioni dell’area della corteccia prefrontale e le connessioni funzionali con le aree temporali, ma gli studi non sono univoci e peculiari per questa malattia. La comprensione della neurochimica della schizofrenia ha beneficiato di studi tramite tecniche in vivo, come la PET e la tomografia computazionale a emissione di singolo fotone (SPECT). La dopammina, il glutammato, il GABA e i relativi meccanismi d’azione sono stati indicati come possibile espressione di alterazioni genetiche. La neurogenetica ha indicato in alcuni geni, e nell’interazione di questi con l’ambiente, i possibili meccanismi alla base dello sviluppo della schizofrenia. L’ipermetilazione della glutammicodecarbossilasi 67 (GAD 67), e delle proteine reelin è stata associata a difetti della trasmissione GABAergica telencefalica osservati nella schizofrenia. Il gene Comt (catechol-o-methyltransferase) codifica un enzima catabolico coinvolto nella degradazione della dopammina e la sua delezione si associa alle manifestazioni psichiatriche tipiche della schizofrenia. In partic., il polimorfismo genetico val/met (scambio tra valina e metionina), il quale determina alte e basse attività dell’enzima e quindi dell’azione della dopammina, è diventato il polimorfismo più studiato in psichiatria.
Diversi studi genetici indicano che i parenti di primo grado dei pazienti affetti da depressione (➔) hanno un rischio maggiore di essere affetti da sindrome depressiva. Fra i geni associati alla depressione vi è quello che codifica una proteina che recupera la serotonina nei neuroni, una volta che questa viene liberata. Dopo che la serotonina è stata recuperata, essa può nuovamente essere rilasciata in successive stimolazioni neuronali. Difetti nel sistema serotoninergico si riflettono nella depressione. In partic., l’allele corto (c) è associato a una ridotta quantità del trasportatore della serotonina. Anche se i meccanismi molecolari ancora non sono chiari, i trattamenti che determinano riduzione della neurotrasmissione (➔ neurotrasmettitori, Neurotrasmettitori e malattie mentali) serotoninergica sono associati allo sviluppo di quadri comportamentali ansiosi che evolvono in depressione. I circuiti nervosi coinvolti in queste risposte sono stati individuati nell’amigdala, nella corteccia del cingolo anteriore e nella corteccia sottocallosa posteriore. Un secondo gene associato alla depressione è quello che codifica la triptofanoidrossilasi-2, che partecipa alla sintesi della serotonina. Bassi livelli di serotonina sembrano essere associati alla depressione maggiore e molte delle terapie volte alla cura di questo disturbo psichiatrico cercano di ristabilire appropriati livelli di serotonina, anche se circa il 20% delle persone affette da depressione non risponde a nessun tipo di terapia.
Nei disturbi d’ansia (➔) le strutture cerebrali coinvolte sono l’amigdala, la corteccia prefrontale e l’insula anteriore. Fra i sistemi neurochimici coinvolti, probabilmente vi sono quelli che sottendono all’azione del fattore che rilascia la corticotropina; per tale motivo, per prevenire quadri ansiosi legati a fenomeni traumatici, si è prospettato l’uso di glicocorticoidi e noradrenalina. Risultano implicati nei meccanismi neurobiologici dell’ansia anche diversi neuropeptidi (sostanza P, orexina, neuropeptide Y).
Sebbene il ruolo dei fattori genetici sia stato descritto nei disturbi bipolari (➔ maniaco-depressiva, sindrome), non sono ancora stati individuati geni specifici. La maggiore incidenza dell’iperintensità subcorticale (SHC) alla RMN, alterati livelli dello ione calcio, l’evidenza degli effetti neuroprotettivi dei farmaci stabilizzatori dell’umore, e studi sulle disfunzioni mitocondriali indicano l’esistenza di una maggiore vulnerabilità neuronale; si ipotizza l’esistenza di un sistema neuronale GABAergico, stabilizzante l’umore.