MAJORANO, Gaetano, detto Caffarelli (Caffarello, Caffariello, Caffarellino, Gaffarello)
Nacque a Bitonto il 12 apr. 1710, da Vito e Anna Fornella. Un maestro di musica di nome Caffaro (da cui il nome d'arte Caffarelli preso in seguito dal M.) si incaricò di seguirne i progressi musicali, di provvedere all'evirazione e di indirizzarlo dodicenne a Napoli. Si tratta probabilmente di Domenico Cafaro che, tra il 1722 e il 1738, mandò a studiare a proprio nome nel conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo tre fratelli Majorano (Gaetano, Francesco e Pasquale).
La famiglia del M. coltivava a uliveto terreni propri, come indicato dai legati relativi all'eredità materna. La nonna Caterina Mariano, infatti, nel 1720 conferiva per testamento un lascito d'una certa consistenza al nipote prediletto (candidato volontario - a suo dire - alla castrazione); l'anno seguente morì la madre, lasciando a undici anni il M. proprietario di terreni e immobili nella cittadina natale. Le condizioni economiche più che discrete della famiglia del M. contrastano con il quadro di forte degrado sociale dal quale provengono, normalmente, i soggetti destinati alla carriera di musico. I Majorano, nientemeno, avviarono tutti i maschi di famiglia verso l'incerta professione di musicista, nel tentativo forse di replicare l'impressionante successo ottenuto dal primogenito.
Il M. si trasferì a Napoli nel 1722, dove si distinse nella classe privata di N. Porpora, maestro tra gli altri anche di C. Broschi, detto Farinelli. Debuttò nel 1726 al teatro delle Dame di Roma, nel ruolo femminile di Alvida nel Valdemaro di D. Sarro; in seguito, passò rapidamente a ruoli più prestigiosi di "primo uomo" affermandosi definitivamente, dal 1728, su piazze teatrali importanti come Venezia, Torino, Milano e Firenze. Nel 1730 accettò da Gian Gastone de' Medici, granduca di Toscana, l'incarico onorifico di musico da camera, e nello stesso periodo (tra il 1729 e il 1731) frequentò con assiduità la cittadina di Pistoia. Nei due anni che seguirono si spostò fra Genova, Roma, Venezia, Milano e Bologna partecipando, tra le altre, a produzioni di J.A. Hasse, N. Porpora e G.B. Lampugnani. Nel 1734 era a Venezia, con Farinelli, per la stagione di carnevale. Di ritorno a Napoli, inviò una supplica per ottenere il posto dell'ormai anziano M. Sassano (Matteuccio), sopranista della Cappella reale. Il re Carlo di Borbone acconsentì con particolare benevolenza e il M., nei due decenni successivi di servizio attivo per la corte, cantò ripetutamente in duomo, a S. Bartolomeo, al teatro S. Carlo e a palazzo reale. A Napoli gli fu richiesto di essere presente, inderogabilmente, in occasione del servizio liturgico di quaresima; per il resto gli era concesso di allontanarsi con frequenza, addirittura intere stagioni, per esibirsi in altre città italiane e straniere. A ventisette anni, all'apice del successo in patria, si recò in Inghilterra, dove la direzione del King's theatre gli chiese di sostituire Farinelli, momentaneamente indisposto. Tra il 1737 e il 1738 trascorse circa otto mesi a Londra: dopo il debutto nell'Arsace, G.F. Händel scrisse appositamente per lui i ruoli eponimi di Faramondo e Serse. L'anno seguente si spostò a Madrid, ove soggiornò fino ai primi mesi del 1740 per cantare al matrimonio di Filippo, fratello minore di Carlo di Borbone. Tornato a Napoli, vi si trattenne quasi stabilmente fino al 1746, partecipando a opere di D. Sarro, F. Mancini, L. Leo, P. Vinci, Hasse, G. Manna, G. di Majo. Tra il 1746 e il 1749 cantò a Torino, Firenze, Genova, Roma, in opere, tra gli altri, di A. Caldara, A. Vivaldi, G. Abos.
Dopo una controversa comparsa sulle scene viennesi nel 1749, tornò a cantare in Italia mentre, tra il 1751 e il 1753, si esibì prevalentemente a Napoli (nel 1752 è Sesto nella Clemenza di Tito di Chr.W. Gluck). Luigi XV, re di Francia, lo invitò nel 1753 a Versailles per intrattenere la delfina durante la gravidanza. Giunto in aprile, vi soggiornò fino al gennaio 1754, cantando spesso nelle residenze di corte dei dintorni di Parigi. Accolto con grande onore, apparve in autunno in alcuni lavori di Hasse, compresa la Didone abbandonata. Cadde in disgrazia presso la famiglia reale a causa d'una disputa musicale con il poeta Ballot de Sauvot, degenerata in un violento duello che quasi costò la vita al francese. Costretto a lasciare in fretta la Francia, si recò quindi a Lisbona dove, dopo aver cantato in quattro opere (di cui tre di D. Perez), scampò fortunosamente al catastrofico terremoto del novembre 1755. Sulla via del ritorno verso Napoli si trattenne a Madrid (marzo 1756), ospite di Farinelli, presso il quale maturò la decisione di ritirarsi definitivamente dalle scene. Continuerà ad apparire occasionalmente, fino al 1765, in cantate e concerti della Cappella reale. Nel 1763 rifiutò la proposta di dirigere il teatro S. Carlo. Gli ultimi anni, trascorsi in tranquillità, furono dedicati all'educazione dei figli di Pasquale, il fratello minore, e a una intensa attività filantropica per la quale devolse grosse somme in beneficenza. Nel corso della sua straordinaria carriera ebbe modo di accumulare una considerevole fortuna che gli permise di edificare nel 1754 un signorile palazzo nel centro di Napoli in vicolo Carminiello, zona Toledo (sul cui portone fece inscrivere le parole "Amphion Thebas, ego domum", tuttora ben leggibili), e di acquistare, nel 1757, una tenuta ducale con relativo titolo a San Donato, presso Lecce.
Il M. morì a Napoli il 31 genn. 1783.
Il M. è stato uno dei protagonisti più grandi della stagione musicale dei castrati e fu, nel suo tempo, secondo al solo Farinelli. Virtuoso di eccezionale bravura, molto gradevole d'aspetto, attore capace, fu dotato d'una voce di mezzo soprano particolarmente efficiente nell'escursione vocale verso l'acuto. Eccelse nello stile spianato, largo e cantabile. Fu musicista completo, versato nella composizione (in cui si dilettò talvolta), e in grado di accompagnarsi da sé al cembalo davanti a un pubblico d'intenditori. In occasione della visita in Francia, scrisse nell'ambito della Querelle des bouffons una satira (purtroppo perduta) che il barone F.M. Grimm definì colma di "esprit et avec beaucoup de vivacité, et rempli de recherches qui prouvent combien l'auteur a fait d'études profondes de son art" (Faustini-Fasini, p. 262 n.). Secondo Ch. Burney "Porpora, who hated him for his insolence, used to say, that he was the greatest singer that Italy ever produced" (p. 818 n.).
In alcuni momenti della sua carriera, il M. venne reputato anche superiore a Farinelli (sebbene egli stesso abbia accettato ruoli di secondo piano nelle produzioni che li videro insieme in compagnia), ma ebbe la sfortuna di recarsi in Inghilterra in un momento nel quale non era bene in voce, uscendo definitivamente sconfitto dal confronto con il rivale. Oltre che per le straordinarie qualità vocali, il M. è passato alla storia come uno degli artisti più intemperanti, molesti e arroganti che si fossero mai affacciati sulle scene. A eccezione dell'idilliaco periodo giovanile a Pistoia e della vecchiaia, trascorsa al di fuori della competizione professionale, si distinse nell'ambiente teatrale per la brutale insolenza e per una costante ricerca della rissa fisica e verbale. Nelle relazioni ufficiali dell'uditore generale E. de Ulloa Severino, rimangono le tracce delle reiterate "positive malecreanze" di cui il funzionario di corte è costretto a lamentarsi (Faustini-Fasini, p. 158). Nel 1739 il M. fu arrestato per aver provocato una grave lite con il sopranista N. Reginelli, doppiamente scandalosa perché ebbe luogo durante il rito di consacrazione d'una suora. Il re, sempre molto indulgente con il suo protegé, insistette personalmente affinché gli fossero comminati i soli arresti domiciliari e, soprattutto, non gli venisse impedito di partire per Madrid, dove si doveva celebrare il matrimonio dell'infante Filippo. Due anni più tardi, durante la rappresentazione di un'opera di G. Latilla, Ulloa fu costretto nuovamente a procedere all'arresto del M. facendolo trasportare, questa volta, direttamente nelle carceri di S. Giacomo, "benché fosse stato ammonito in segreto a dover procedere con buon costume, almeno quando era sul teatro [(] ancora una volta avendo ripetuto con positivo conosciuto disprezzo le medesime discolezze [(] ora perturbando la quiete degli altri rappresentanti [(] ora parlando da sul teatro con le persone spettatrici [(] ora finalmente, a non voler cantare il ripieno con gli altri" (ibid., p. 162). Nel gennaio 1745, umiliò pubblicamente la prima donna Giovanna Astrua durante l'Antigono di Hasse, contrastandola in tutti i modi durante l'esecuzione di un duetto e venendo per questo nuovamente punito con la prigione. Per nulla domato, qualche tempo più tardi minacciò di ripetere lo stesso scherzo a G. Conti (il Giziello), ma credendo di insultarlo meglio in privato, decise di riceverlo in casa nel corso d'una seduta sulla comoda. Vi è poi il resoconto particolareggiato del Metastasio circa il furioso battibecco con il poeta G.A. Migliavacca che, in mancanza dell'olimpico intervento dell'ospite V. Tesi, avrebbe potuto seriamente degenerare.
Anche sul piano dell'apprezzamento artistico non mancarono i detrattori, ma nel caso dell'impietosa accoglienza ricevuta a Vienna dal M. sarebbe azzardato considerare imparziale il resoconto che ne fa il Metastasio in una maliziosa lettera, indirizzata nel maggio 1749 all'amico Farinelli: "trovano la sua voce molta ma falsa stridula e disubbidiente, [(] per lo più aspra. Dicono [(] che ha cattivo gusto ed antico [(]. Gridano che non s'è mai rappresentato così male [(] che ne' recitativi pare una monaca vecchia, che in tutto quello ch'egli canta regna sempre un tono lagrimevole di lamentazioni da far venire l'accidia all'allegria". Ulloa, già nel 1744, lo aveva ritenuto "in qualche modo deteriorato nella voce" e D. Tuffarelli, impresario del S. Carlo, confermò a malincuore nel 1752-53 la sua scrittura, convenendo "con il pubblico che il Caffarelli dovria mutarsi, perché o non vuol cantare o più non lo può, avendo già cinquant'anni di vita [sic] ed ha dato ad impinguare, perché li suoi recitativi non l'esprime, perché malmena la Comica, perché obbliga i compositori di musica a scrivergli comodo e largo, sfuggendo le arie fugate e di scena, per risparmiar fatica" (Faustini-Fasini, pp. 165, 260). Al contrario, i molti ammiratori incondizionati (tra cui A. Goudar, Ch. Burney, F.M. Grimm e l'attore J. Garrick) ne lodarono la bravura eccezionale, ma soprattutto la toccante espressività del canto. Di fatto il M., finché intese cantare, raccolse sistematicamente il tributo d'un pubblico che lo idolatrava mettendolo in condizioni di ottenere come compenso ciò che gli garbò di ricevere, cioè sempre il massimo prezzo sulla piazza. A trent'anni dalla morte, G. Rossini ancora lo ricorda, con un grazioso cameo nel Barbiere di Siviglia, a immagine simbolica dell'epoca gloriosa del canto.
Fonti e Bibl.: Tutte le opere di Metastasio, a cura di B. Brunelli, III, (Lettere), Milano 1954, p. 395; Ch. Burney, A general history of music (1789), New York 1957, II, pp. 813, 818-821, 857; F. Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, Napoli 1882, III, pp. 449-454; G. Cucuel, La Pouplinière et la musique de chambre au XVIIIe siècle, Paris 1913, pp. 302 s.; E. Faustini-Fasini, Gli astri maggiori del bel canto napoletano. G. M. detto Caffarelli, in Note d'archivio per la storia musicale, XV (1938), pp. 121-128, 157-170, 258-270; A. Heriot, The castrati in opera, London 1956; A. Giovine, Il musico G. M. detto Caffarelli, Bari 1969; S. Mamy, Les grands castrats napolitains à Venise au XVIIIe siècle, Liège 1994; J.G. Fanelli, A sweet bird of youth: Caffarelli in Pistoia, in Early Music, XXVII (1999), 1, pp. 55-63; D. Heartz, Caffarelli's caprices, in Music observed: studies in memory of William C. Holmes, a cura di C. Reardon - S. Parisi, Warren, MI, 2004, pp. 195-208; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, pp. 588 s.; The New Grove Dict. of music and musicians, IV, pp. 794 s. (s.v. Caffarelli); Die Musik in Geschichte und Gegenwart (ed. 2000), Personenteil, III, coll. 1553-1555 (s.v. Caffarelli).