MAGNETOENCEFALOGRAFIA
La m., che studia l'attività magnetica cerebrale, o ''magnetoencefalogramma'' (MEG), è nata quando il progresso tecnologico ha consentito di rilevare i debolissimi campi magnetici generati sul cranio dalle correnti elettriche connesse con l'attività della corteccia cerebrale (v. elettroencefalografia, App. II, i, p. 837, e in questa Appendice).
Le prime misure si debbono a D. Cohen del MIT (Cambridge, Mass.), che nel 1968 evidenziò il ritmo alfa magnetico usando una potente bobina d'induzione in rame da un milione di spire. Riuscì nel tentativo mediando 2500 volte il campo indotto riferito al ritmo alfa elettrico corrispondente. Lo stesso Cohen, usando uno SQUID (v. oltre), fu in grado nel 1972 di misurare direttamente il ritmo alfa magnetico senza dover far ricorso alle medie. Nel 1978 J.R. Hughes e coll., impiegando la stessa strumentazione di Cohen, effettuarono misure dei ritmi cerebrali durante il sonno e in condizioni di patologia cerebrale, ivi compresi casi di epilessia generalizzata non convulsiva (piccolo male). I risultati furono deludenti.
Dal 1980 in poi G.B. Ricci e coll., impiegando un gradiometro a seconda derivata in ambiente extra-urbano presso l'Istituto di Elettronica dello stato solido (CNR di Roma), effettuarono con successo le prime misure in numerosi casi di epilessia generalizzata e, per la prima volta, di epilessia focale. Dimostrarono l'utilità della metodica che è in grado di evidenziare attività patologiche non evidenti nel corrispondente elettroencefalogramma (EEG), migliorandone al tempo stesso la definizione.
Seguirono poi gli studi di D.S. Barth e coll. dell'università della California a Los Angeles per localizzare i foci epilettici nelle tre dimensioni dello spazio. Furono impiegati dapprima strumenti monocanali e successivamente a 4, a 7 e infine a 9 canali, che tuttavia non consentivano ancora misure simultanee di tutta l'attività d'interesse obbligando a una continua correlazione con il corrispondente EEG. Ne conseguiva una compromissione della definizione temporale, risolta solo recentemente grazie alla realizzazione di strumentazioni policanali a 20÷37 canali in grado di misurare simultaneamente gran parte dell'attività proveniente da un emisfero cerebrale. In corso di realizzazione sono inoltre strumenti con cento e più canali capaci di misurare simultaneamente tutta l'attività magnetica proveniente dal cervello.
L'attività della corteccia cerebrale è associata a reazioni chimiche e quindi a spostamenti di ioni che generano correnti elettriche (v. elettroencefalografia, in questa Appendice). Tali correnti inducono un campo magnetico che è perpendicolare alla loro direzione (legge di Biot e Savart). È un campo debolissimo, un miliardesimo di quello statico terrestre, che è oggi possibile misurare grazie all'evoluzione degli SQUID (Superconducting QUantum Interference Device, traducibile come "dispositivo superconduttore a interferenza quantistica"; v. superconduttività, App. IV, iii, p. 551, e in questa Appendice; josephson, Bryan David, App. IV, ii, p. 218).
Lo strumento di misura, nella sua configurazione elementare, o ''canale'', è costituito da una bobina di rilevamento collegata allo SQUID e al circuito di amplificazione (fig. 1). Il complesso bobina-SQUID può funzionare solo in condizioni di superconduttività raggiunta a temperature prossime allo zero assoluto, immergendo il tutto in elio liquido contenuto in uno speciale contenitore in vetroresina denominato dewar o criostato. Ogni canale misura una superficie corrispondente al diametro della bobina di rilevamento, che solitamente è di 1÷2 cm. Ne consegue che, per poter misurare l'attività magnetica di parte, o tutto, il cervello in maniera simultanea, bisogna disporre di apparecchiature multicanali. La fotografia in fig. 2 mostra uno strumento a 28 canali per m. realizzato presso l'Istituto di Elettronica dello stato solido del CNR di Roma. L'apparecchiatura opera in cabina schermata magneticamente; il supporto dell'apparecchiatura consente di orientare in maniera ottimale lo strumento e di avvicinarlo al cranio del soggetto in esame. Il meccanismo di spostamento è micrometrico e non produce vibrazioni. Il lettino è movibile in senso anteroposteriore e laterale.
Il MEG è il complemento magnetico dell'EEG in quanto entrambi prendono origine dagli stessi generatori nella corteccia cerebrale. Tuttavia, per le leggi della fisica, esistono sottili differenze fra le due metodiche. L'EEG e il MEG prendono origine dalle fluttuazioni del potenziale di membrana a riposo delle ramificazioni dendritiche dei neuroni corticali, che sono provocate da impulsi sinaptici, come per es. avviene per i potenziali sinaptici eccitatori e inibitori. Tali fluttuazioni provocano flussi di corrente passiva compensatrice all'interno e all'esterno della cellula nervosa. Le correnti extracellulari si diffondono nel cervello e attraversano il cranio e il cuoio capelluto, ma in tale passaggio incontrano strati con differenza d'impedenza (meningi, liquor, ecc.) che penalizzano il potenziale originario e, per quanto riguarda il cranio, variano da regione a regione. La conseguenza più evidente è una riduzione del voltaggio, che può essere tale da impedire la misura in superficie. Si verifica inoltre un effetto di sparpagliamento e di media sul potenziale originario che compromette ulteriormente la risoluzione dell'EEG. Per ovviare a questi inconvenienti si è ricorso, nello studio preoperatorio delle epilessie, a metodiche invasive e potenzialmente pericolose come l'applicazione di elettrodi alle meningi o l'infissione di elettrodi in piena massa cerebrale.
L'EEG, come si è detto, è principalmente espressione dei flussi di corrente extracellulari; tali flussi, essendo dispersi (''correnti di volume''), generano un campo magnetico piuttosto debole. Il principale contributo al MEG viene invece fornito dalle correnti intracellulari, o intrassiali, che, essendo concentrate, generano un campo magnetico più intenso. In ciò consiste la sottile differenza fra le due metodiche, da cui derivano i rispettivi vantaggi e svantaggi.
Il MEG, essendo un'attività magnetica, non subisce interferenze dal mezzo interposto e giunge non distorto sulla superficie del cranio. Essendo principalmente espressione delle correnti intracellulari e molto meno delle correnti extracellulari, fornisce inoltre una migliore definizione rispetto all'EEG. La reale limitazione del MEG è la difficoltà di rilevare i campi magnetici indotti da flussi elettrici perpendicolari alla superficie del cranio, flussi che, dato l'orientamento delle cellule nervose, possono provenire dalla superficie delle circonvoluzioni cerebrali. Al MEG contribuiscono essenzialmente le correnti tangenziali alla superficie del cranio prodotte, a causa del loro migliore orientamento, principalmente dagli strati cellulari lungo le pareti delle scissure cerebrali.
Un'altra limitazione del MEG può essere la distanza dello strumento di misura dalla sorgente intracerebrale. Il segnale decade infatti in ragione del quadrato della distanza. Si tratta tuttavia di limitazioni più teoriche che pratiche, in quanto è del tutto eccezionale trovarsi di fronte a un flusso di corrente ''esattamente'' perpendicolare alla superficie del cranio e a una distanza dalla sorgente intracerebrale che risulti critica. Un vantaggio del MEG rispetto all'EEG è quello di essere una misura assoluta e direzionale. Lo strumento di misura opera infatti a pochi millimetri di distanza dal cuoio capelluto, senza richiedere l'impiego di elettrodi o di un punto di riferimento o di altro mezzo interposto. Ciò agevola notevolmente il calcolo della localizzazione tridimensionale della o delle sorgenti intracerebrali.
Il campo magnetico generato sul cranio da un flusso di corrente tangenziale, essendo perpendicolare alla direzione del flusso, presenta un punto d'ingresso e uno di uscita sulla superficie del cranio (fig. 3 e 4). Si crea così una mappa bipolare con due punti opposti e simmetrici di polarità inversa; in essa è riconoscibile per ciascun polo un punto in cui l'intensità è massima, definito come maxima o extrema.
Se si sceglie come modello la sfera che meglio si adatta al cranio in esame, la sorgente intracerebrale si troverà nel punto di mezzo fra i due maxima e a una profondità che è in funzione del raggio della sfera e che, approssimativamente, corrisponde alla distanza fra i due maxima divisa per la radice quadrata di 2. Adottando il modello della sfera l'approssimazione della misura è buona per le regioni centrali e parieto-occipitali, meno per le regioni frontali e imprecisa per le regioni temporali. L'imprecisione dipende ovviamente dal fatto che il cranio non è esattamente sferico e il modello della sfera non è più idoneo quando la conformazione della regione si allontana dal modello come avviene appunto per le regioni frontali e, particolarmente, per quelle temporali. È necessario quindi adottare modelli più corrispondenti ai dati anatomici reali per il calcolo della localizzazione tridimensionale. È un problema complesso, che tuttavia è in fase di soluzione e porterà in un prossimo avvenire al trasferimento delle localizzazioni MEG sulle immagini della tomografia cerebrale assiale a raggi X o a risonanza magnetica.
Benché la m. sia ancora in fase evolutiva e una sua sistematica introduzione fra le indagini cliniche sia prevedibile fra alcuni anni, essa ha già fornito importanti contributi nello studio dei ritmi cerebrali, primo fra tutti il ritmo alfa, e delle risposte evocate da stimoli in virtù della sua migliore definizione rispetto alle misure elettriche. In campo clinico l'apporto principale ha riguardato lo studio delle epilessie generalizzate e particolarmente delle epilessie focali. Nel primo caso il MEG ha evidenziato aspetti del substrato patogenetico non evidenziabili o solo ipotizzabili in base ai dati EEG, mentre nelle epilessie focali promette di sostituirsi, e in maniera assolutamente non invasiva, alla localizzazione tridimensionale dei foci epilettici per la quale sino a ieri, impiegando l'EEG, si era fatto ricorso a tecniche invasive e potenzialmente pericolose come la durografia e la stereo-elettroencefalografia (fig. 5).
È improbabile che la m. possa sostituirsi completamente all'elettroencefalografia. Per es., a differenza del MEG, l'EEG non è penalizzato dalla direzione del flusso di corrente e risente relativamente meno della distanza dalla sorgente intracerebrale. Al momento attuale è logico prevedere l'impiego simultaneo delle due metodiche che indubbiamente migliorerà, raffinandole, le ricerche cliniche e sperimentali sull'attività elettrica cerebrale.
Bibl.: G. B. Ricci, Magnetoencephalography, in Comprehensive epileptology, a cura di D. Mogens e G. Lennart, New York 1990, pp. 405-21; Magnetoencephalography, in Advances in Neurology, 54, a cura di M.D. Susumu Sato, ivi 1990.