Magna Charta
Il primo documento a garanzia delle libertà individuali
Il 15 giugno 1215 il re d’Inghilterra Giovanni Senzaterra fu costretto dai baroni inglesi a riconoscere una serie di libertà e privilegi in un documento solenne, la Magna Charta libertatum («Grande Carta delle libertà»). Con alcune modifiche essa fu nuovamente concessa nel 1225 da Enrico III e confermata nel 1297 da Edoardo I, entrando a far parte delle leggi fondamentali del regno inglese
La Magna Charta riconosce per iscritto i diritti dei feudatari, della Chiesa, delle città inglesi e degli «uomini liberi» (escludendo dunque i servi della gleba) nei confronti del sovrano d’Inghilterra, limitandone i poteri.
Il re, infatti, aveva violato i principi del rapporto feudale (feudalesimo), imponendo tasse gravose ai sudditi in occasione delle sue guerre contro la Francia che lo videro sconfitto a Bouvines nel 1214. Il sovrano, però, pur definito re «per grazia divina», era un signore feudale, e quindi il suo potere era di natura contrattuale, basato sul vincolo personale tra signore e vassalli; egli, perciò, era tenuto a rispettare gli obblighi che aveva contratto con i vassalli e – al contrario, per esempio, degli imperatori romani – era vincolato anche al rispetto delle leggi (cioè il suo potere non era al di sopra delle leggi).
La Magna Charta libertatum, dunque, è da considerare come un’evoluzione del contratto feudale per consacrare i principi alla base dello Stato feudale e riportare il re nella legalità. Il documento, che contava 63 clausole di contenuto specifico, stabiliva in particolare: il diritto di successione ereditaria dei feudi; il controllo della monarchia da parte di un organo composto da 25 baroni; il diritto dei baroni a ribellarsi al re nel caso costui commettesse un’evidente ingiustizia; l’abolizione di ogni forma di monopolio.
Con la Magna Charta il re cedeva inoltre parte del suo potere giudiziario (cioè il potere di giudicare le colpe e imporre le pene), promettendo che arresti e condanne sarebbero stati decisi soltanto da un tribunale composto di persone di pari ceto dell’individuo sottoposto a giudizio e in conformità alle leggi in vigore. Infine, il re giurava di non imporre più alcuna tassa senza l’approvazione del Consiglio comune del regno, un’assemblea costituita da nobili feudatari (laici ed ecclesiastici).
Con la Magna Charta i rapporti feudali, che fino ad allora avevano avuto carattere personale e privato, furono codificati per la prima volta in diritto pubblico. Questo diritto, che fu detto comune (common law) perché comune al re e ai baroni, costituiva il terzo sistema giuridico dell’Europa medievale, accanto al diritto romano e al diritto canonico (cioè ecclesiastico).
L’importanza storica della Magna Charta consiste nel fatto che essa riconosceva per la prima volta l’inviolabilità dei diritti individuali rispetto a ogni arbitrio di potere; tuttavia essa, in origine, difendeva soltanto i diritti e i privilegi di nobiltà e alto clero, ignorando contadini, artigiani e tutti gli altri appartenenti ai ceti inferiori.
Nei secoli successivi questo documento, nato per restaurare la pratica e il diritto feudale, divenne la base per l’affermazione di diritti e istituzioni propri del costituzionalismo moderno (la teoria che difende le libertà individuali). Così, per esempio, dal Consiglio comune del regno derivò il Parlamento inglese, che nel Trecento si divise in due Camere, la Camera Alta o Camera dei lord (in cui sedevano i nobili e il clero) e la Camera Bassa o Camera dei Comuni (dove si radunavano i rappresentanti degli ordini sociali meno potenti). Inoltre, il diritto a processi imparziali e secondo la legge venne allargato a tutti i cittadini e il divieto di arresti arbitrari fu garantito dalle successive norme sull’habeas corpus, le quali stabilivano che la persona arrestata (il «corpo») dovesse essere condotta in tempi brevi di fronte a un giudice. La protezione degli uomini liberi contro i soprusi dei feudatari rappresentò la prima affermazione dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.