MAGAZZINO (dall'arabo makhzan [plur. makhāzin] "deposito, tesoreria, dispensa")
Antichità. - Grandi magazzini privati per le loro favolose ricchezze ebbero i re dell'Asia anteriore e dell'Oriente: ce ne fanno ricordo gli scrittori greci, che li designano col termine ϑησαυροί; e un'idea di essi possiamo avere da quelli rinvenuti nei palazzi della Mesopotamia o in quelli minoici di Creta: a Cnosso, a Festo, a Hagia Triáda. In questi ultimi, essi sono costituiti da gruppi di stanze allineate in serie lungo stretti corridoi: le derrate erano raccolte in grandi pithoi, alcuni dei quali furono ancora rinvenuti a posto. Dato l'uso esclusivamente privato di tali magazzini, non si può dire che essi avessero una notevole importanza economica. Assai più interessanti sotto tale aspetto dovevano essere, per le speciali condizioni agricole e sociali del paese, quelli dell'Egitto, i quali avevano carattere pubblico. Larghe testimonianze a loro riguardo abbiamo dai papiri per i tempi tolemaici e romani: ma è certo che, sebbene con organizzazione più limitata, essi esistevano già in età faraonica. Tali magazzini erano destinati a raccogliere in particolare il frumento, principale prodotto della regione, che proveniva dalle terre di proprietà reale o demaniale o dei templi, e dai tributi versati in natura, e a conservarlo fino a quando occorreva distribuirlo a soldati e funzionarî, come parte dei loro emolumenti, o agli agricoltori, come anticipo per le sementi. Alcuni rilievi ci dànno la rappresentazione di questi magazzini, che erano costruiti in mattoni o in legname e argilla cruda; avevano pianta circolare o ellittica, ed erano coperti da vòlta a ogiva. Un esemplare superstite è quello esistente presso il Ramesseo di Tebe, esso è costituito da più locali, tutti delle stesse dimensioni, coperti da vòlte di mattoni crudi.
Maggiore importanza ebbero i magazzini presso i Romani, che li dicevano, con termine di dubbia etimologia, horrea. A Roma e nel mondo romano non sono soltanto i privati che posseggono magazzini, sia in campagna (horreum rusticum), per riporvi i prodotti della terra e gli strumenti agricoli, sia in città (horreum urbanum), ma anche lo stato ne sente il bisogno per depositarvi in primo luogo le provviste di grano o di altre derrate alimentari, necessarie alle grandi distribuzioni gratuite al popolo, sia le altre merci, come ad es. il sale, di cui lo stato stesso assume col tempo, di diritto o di fatto, il monopolio. Tali magazzini statali erano detti horrea publica o horrea fiscalia.
I più importanti di essi erano a Roma gli horrea Galbana, che si estendevano su un'ampia area fra il monte Testaccio e il Tevere, in assoluta prossimità del porto fluviale: erano certamente di origine repubblicana, e il loro fondatore fu probabilmente un membro della gente Sulpicia, di cui dapprima tennero il nome; ma il maggiore sviluppo essi ebbero durante l'impero: sappiamo che raccoglievano le merci più varie, e cioè, oltre al frumento, anehe l'olio, il vino, i legumi, i marmi, l'avorio, ecc.: le loro rovine erano ancora grandiose nel sec. XII, e da esse, come dagli altri molti edifici consimili esistenti nelle adiacenze, prese nome nel Medioevo la regione ecclesiastica di questa parte della città. Altri magazzini di Roma, pure di proprietà pubblica, erano invece destinati a particolari generi di merci: così gli horrea piperataria per le droghe orientali, situati dove sorse la basilica di Massenzio presso il Foro, gli horrea candelaria per la cera, i chartaria per la carta, ecc.
Horrea di stato erano pure a Ostia, a Porto, a Pozzuoli e nelle provincie, specie in quelle che in maggiore copia provvedevano ai rifornimenti della capitale: quindi nell'Africa, dove abbiamo memoria di località, nella Proconsolare e nella Mauretania, che prendevano nome da essi e dove l'esistenza di magazzini è testimoniata da epigrafi a Cuicul, a Rusicade, ecc.; quindi nell'Asia, dove resti monumentali di horrea sono stati riconosciuti a Mira e ad Andriaki nella Licia, in Egitto, ecc. L'amministrazione di questi magazzini spettava naturalmente ai magistrati e ai funzionarî responsabili della cura dell'annona: e cioè nella repubblica agli edili, nell'impero al praefectus annonae e ai procuratori da esso dipendenti a Roma e a Ostia, ai governatori nelle provincie. Villici horrearii, e, nel basso impero, praepositi o patroni horreorum provvedevano alla cura e alla sorveglianza dei singoli magazzini.
Speciali horrea pubblici provvedevano inoltre nelle provincie ai bisogni degli eserciti: alcuni di essi erano stabili, come quelli dei singoli accampamenti o castelli, altri impiantati in vista di speciali circostanze di guerra, come alcuni ricordati da un'iscrizione a Tupusuctu nella Mauretania.
Come lo stato, anche le singole città potevano avere loro magazzini. Ma accanto a questi magazzini, il cui uso era riserbato al proprietario, fosse esso un privato o lo stato, si avevano presso i Romani altri horrea di affitto, la cui funzione era simile a quella dei moderni magazzini generali di deposito. In essi il privato, che non aveva un horreum proprio, o che per speciali ragioni riteneva questo insufficiente, poteva prendere in affitto, mediante il pagamento di una somma e sotto speciali condizioni, uno spazio più o meno ampio, e depositarvi oggetti o merci di sua proprietà. Quanto fosse sentito il bisogno di questi magazzini a Roma, dove è noto quanto poca sicurezza offrissero le case contro i pericoli degli incendî e dei furti, si può dedurre da un passo della vita di Alessandro Severo, del quale, fra gli altri provvedimenti presi a favore della cittadinanza, si ricorda quello dell'istituzione in omnibus regionibus di horrea publica, ad quae conferrent bona ii qui privatas custodias non haberent.
Se di questi horrea stabiliti da Alessandro Severo l'uso fosse gratuito o a prezzo assai mite, non sappiamo. Certo, negli altri horrea esso era a pagamento, e speciali norme, contenute in quelle che si dicevano leges horreorum, di cui abbiamo due testimonianze epigrafiche (Corp. Inscr. Lat., VI, 33747; Bull. Comm. Arch. Com., 1911, p. 120 segg.), regolavano le condizioni dell'affitto, la responsabilità del locatore, le norme cui il locatario doveva sottostare: norme che trovano molto spesso riscontro in quelle che ancora oggi regolano i depositi nei magazzini generali.
Gli horrea di affitto erano di proprietà privata o dell'imperatore, il quale tuttavia li possedeva non in quanto principe, ma come cittadino privato, e dal proprietario prendevano il nome; ma non era quasi mai il proprietario stesso che ne teneva l'esercizio: questo era appaltato a un privato, conductor, il quale diveniva in tal modo il responsabile dei depositi verso i locatarî. È ovvio pensare che tale esercizio doveva dare luogo a molteplici controversie, e non è da meravigliare pertanto se nei testi giuridici, ne Codici giustinianeo e teodosiano e nel Digesto, troviamo un grandissimo numero di paragrafi relativi ai depositi negli horrea.
Di tali magazzini esistevano sia a Roma, dove erano certamente molto numerosi, soprattutto nelle adiacenze del porto tiberino, sia nelle altre città dell'Italia e delle provincie: tra i varî horrea ricordati dalle epigrafi non è sempre possibile tuttavia distinguere quali si debbano riconoscere come horrea di affitto e quali come horrea riservati all'uso dello stato o dei municipî. A ogni modo si può dire che fra gli horrea di Roma erano di affitto certamente i Seiana, situati presso gli horrea Galbana, gli Ummidiana, sull'Aventino, quelli di Q. Tineio Sacerdote, di cui l'avviso di locazione fu rinvenuto presso la chiesa di S. Martino ai Monti (Corp. Inscr. Lat., VI, 33860), e molto probabilmente gli Aniciana e i Lolliana presso il Tevere, e i Germaniciana et Agrippiana (o Agrippiniana), nell'VIII regione, sotto le pendici settentrionali del Palatino, fra questo e il vicus Tuscus.
Gli horrea erano di solito costruiti molto solidamente, con muri a grossi blocchi di pietra o a mattoni, e il loro tipo più comune era quello di una serie di camere poste l'una accanto all'altra, o, negli horrea di Roma e di Ostia, distribuite, su uno o più piani, intorno a vasti cortili, che spesso, per essere aperti sui lati corti, prendevano l'aspetto di strade: quando il cortile era chiuso su tutti i lati, un corpo di fabbrica minore trovava posto nel mezzo di esso. Particolari cure erano prese per l'esposizione dell'edificio, che si evitava fosse rivolto, specie nei paesi caldi, verso mezzogiorno o verso ponente; ogni merce, inoltre, richiedeva particolari provvidenze nell'ambiente in cui era riposta.
Negli horrea di affitto le camere dovevano avere nell'interno molteplici suddivisioni: i regolamenti parlano di apothecae, armaria, arcae, intercolumnia, loca in armariis.
Medioevo. - v. fondaco.
Bibl.: Romanelli, in E. De Ruggiero, Diz. epigrafico, s. v.; H. Thédénat, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire, s. v.; v. anche nello stesso Dictionnaire alla v. Thesaurus, ecc.
I magazzini generali.
I magazzini generali (fr. magasins généraux; sp. almacenes generales; ted. Lagerhäuser; ingl. bonded warehouses) sono stabilimenti commerciali godenti di speciale regime doganale, che provvedono alla custodia e conservazione di merci nazionali o estere che vi sono depositate, rilasciando ai depositanti che ne facciano richiesta titoli, negoziabili, rappresentativi della merce (fede di deposito e note di pegno). Nei magazzini generali l'accertamento della condizione doganale della merce in deposito è fatta al momento dell'entrata, ma la liquidazione dei diritti doganali è prorogata fino al momento dell'uscita. In questo senso, i magazzini generali si differenziano nettamente dai depositi franchi, nei quali l'accertamento della condizione doganale è fatta al momento dell'uscita della merce, considerandosi i depositi praticamente fuori del territorio doganale. In alcuni casi e in alcune legislazioni, l'agevolazione doganale si estende anche ai dazî di consumo.
L'origine dei magazzini generali va ricercata in alcune istituzioni mercantili sviluppatesi principalmente in Inghilterra. A partire dal secolo XVII in questo paese fu iniziata la costruzione, a opera di enti pubblici o privati, dei cosiddetti docks (1660, Howland Great Wet Dock di Londra; 1668, Dock di Port Glasgow; 1708, Mersey Docks di Liverpool, ecc.), impianti portuali complessi, costituiti di banchine, magazzini, ecc., intorno a un determinato specchio d'acqua, che dovevano servire a protezione delle navi in porto e alle operazioni di carico, scarico e deposito della merce. Ai possessori della merce depositata, le amministrazioni dei docks rilasciavano una ricevuta, cui presto si unì, sotto il nome di dock warrant, uno speciale titolo negoziabile su girata. Anche altre imprese commerciali, che avevano magazzini in porto, usavano questi titoli, e nei registri della Compagnia delle Indie orientali, che ebbe proprî docks solo nel 1790, si fa menzione dei warrants fin dal 1737.
Il deposito sotto speciale regime doganale (in bonded warehouse) fu sperimentato fino dal 1708 per il pepe. Nel 1733 sir R. Walpole lo propose per il vino e il tabacco, ma la proposta non ebbe successo. Finalmente nel 1803 fu approvata una legge per cui si consentiva la proroga del pagamento dei dazî su tutte le merci depositate in luoghi speciali e per le quali l'importatore rilasciava il cosiddetto bond. Ebbe così inizio il vero e proprio regime dei magazzini generali.
Dall'Inghilterra il regime dei magazzini generali passò presto ad altri paesi. In Olanda fu disciplinato da una legge del 1822, in Belgio da una legge del 1826, negli Stati Uniti nel 1846 e in Francia, dove già esistevano i cosiddetti entrepöts o magazzini di transito (creati da G.-B. Colbert nel 1664), fu introdotto da una legge del 1848. In Germania, invece, sorse molto più tardi e senza speciale disciplina legislativa. Il primo progetto italiano sui magazzini generali fu dovuto al ministro G. Lanza nel 1859, ma non ebbe seguito, come non ne ebbero i progetti Manna e Cordova. Ma poiché già nel 1867 sorgevano pubblici magazzini a Torino, nel 1870 a Senigallia, e dal 1868 si scontavano effetti su merci a Napoli, si dovette provvedere a una regolamentazione giuridica, ciò che ebbe luogo con legge 3 luglio 1871, successivamente modificata fino al r. decr. 11 luglio 1926 (v. più oltre). Attualmente, tutti i grandi centri commerciali anche interni possiedono magazzini generali.
Sotto l'aspetto economico sono evidenti i vantaggi che presentano i magazzini generali. Il fatto del deposito presso stabilimenti tecnicamente attrezzati, che operano su grandi quantità, rende possibili sia il rinvio della contrattazione della merce al momento di più favorevole situazione di mercato, senza forti spese di magazzinaggio, sia operazioni varie di mescolanza, classificazione, ricondizionatura, ecc., che agevolano il formarsi di qualità commerciali tipiche e quindi l'opera della speculazione. Il rilascio dei titoli negoziabili rende facile e semplice il trapasso di proprietà della merce, senza alcuna materiale dislocazione, nonché la cessione in pegno per operazioni di anticipazione, sconto, ecc. La proroga della liquidazione del dazio doganale toglie l'inconveniente di costose immobilizzazioni di capitali, specie per merci fortemente tassate, e di lunghe formalità doganali per merce da riesportare, rispetto a cui dovrebbe operare il draw-back.
Tali vantaggi hanno fatto pensare a estendere alcune particolari caratteristiche dei magazzini generali (regime dei titoli negoziabili) a stabilimenti di deposito, silo, ecc., operanti a favore degli agricoltori, in maniera da sottrarre questi ai danni della vendita simultanea dei prodotti in periodi d'ingorgo del mercato, e di rendere possibili operazioni di anticipazione subito dopo il raccolto, quando il bisogno di realizzo è più urgente.
I magazzini generali nel diritto italiano. - I magazzini generali sono disciplinati nel diritto italiano dal r. decr. 11 luglio 1926, n. 2290 e dal regolamento generale approvato con r. decr. 16 gennaio 1927, n. 126. Essi sono dei magazzini aperti al pubblico e dotati di un regime doganale speciale (v. sopra). Hanno lo scopo di provvedere alla custodla e alla conservazione delle merci e derrate, nazionali o estere, di qualsivoglia provenienza o destinazione che vi sono depositate; di rilasciare ai depositanti, che ne facciano espressa richiesta, speciali titoli di commercio col nome di fede di deposito e nota di pegno; e di provvedere alla vendita volontaria o forzata ai pubblici incanti delle cose depositate a norma del codice di commercio.
La costituzione e l'esercizio dei magazzini generali sono soggetti a particolari norme di pubblica tutela. I magazzini generali possono venire difatti istituiti ed esercitati da privati, società commerciali, enti pubblici, ma sempre previa autorizzazione e sotto sorveglianza del ministro delle Corporazioni, sentito il locale Consiglio provinciale dell'economia. Quest'ultimo può a tale fine in ogni tempo eseguire ispezioni per accertare l'esattezza delle situazioni mensili dei magazzini generali e vigilare se le merci depositate, specialmente quelle coperte da fedi di deposito e note di pegno, siano custodite e conservate a dovere.
Il ministro delle Corporazioni può discrezionalmente negare l'autorizzazione quando l'istituzione del magazzino generale non sembri opportuna o non sembrino adeguati l'organizzazione e i mezzi all'uopo predisposti e che devono venire indicati nella domanda di autorizzazione; può ugualmente revocare l'autorizzazione, quando l'esercizio del magazzino generale non offra le necessarie garanzie.
Il contratto intercorrente tra chi deposita la merce e chi gestisce il magazzino generale è un contratto di deposito e quindi fondamentalmente regolato dalle norme del codice civile.
Obbligo essenziale del magazziniere è quello di custodire diligentemente la merce; obbligo essenziale del deponente quello di corrispondere il compenso pattuito e a garanzia del quale il magazziniere può far vendere le merci soddisfacendosi sulle stesse. I regolamenti dei magazzini generali, i quali vengono approvati dal Ministero delle corporazioni nel concedere l'autorizzazione all'esercizio, determinano minutamente la misura della responsabilità del magazziniere, l'entità della mercede, gli obblighi del deponente, i procedimenti relativi al peso, alla misurazione, ecc. delle merci, in occasione della loro entrata e della loro uscita. Il contratto di deposito nei magazzini generali ha per oggetto merce specificata e costituisce quindi un deposito regolare nel quale il magazziniere si obbliga a restituire la stessa merce ricevuta; solamente in casi eccezionali e per merce di grande omogeneità, il magazziniere si obbliga semplicemente a restituire merce della stessa qualità e quantità e si ha pertanto in questo caso un deposito irregolare.
Il codice di commercio disciplina il contratto di deposito dei magazzini generali all'art. 3, n. 24, sancendo che esso costituisce un atto di commercio, indipendentemente dalla persona che lo compie e dal motivo per il quale viene compiuto; esso costituisce così, tanto per il deponente quanto per il magazziniere, uno di quegli atti di commercio che la dottrina chiama assoluti, appunto perché essi sono costantemente e necessariamente atti di commercio. L'art. 469 cod. comm. esclude qualsiasi possibilità di pignoramento, sequestro o qualsiasi altro vincolo sulle merci depositate nei magazzini generali, le quali possono essere vincolate solamente quando sorga controversia sul titolare della fede di deposito e della nota di pegno (per smarrimento o distruzione del titolo, per controversia nel diritto a succedere) o sulla sua capacità (così nel fallimento). I creditori quindi del deponente non possono esercitare verun diritto sulla merce depositata: questa, dando luogo all'emissione di titoli di credito che la rappresentano, deve essere a disposizione del titolare del titolo stesso. Il sequestro e il pignoramento potranno avere per oggetto il titolo, ma non più la merce rappresentata.
La tutela pubblicistica che caratterizza la costituzione e la gestione dei magazzini generali influisce anche sulla struttura del contratto, il quale non può venire concluso a condizioni che siano per il deponente inferiori a quelle fissate nel regolamento del magazzino approvato dal Ministero: l'approvazione del Ministero vuole appunto costituire, con l'immediata tutela dell'interesse pubblico connesso a questi magazzini, anche la tutela mediata di coloro che hanno occasione di servirsene e che trovano nella sorveglianza di carattere pubblico sui magazzini generali la protezione dei proprî interessi di contraenti. Ciascun magazzino generale si trova, nell'ambito della sua zona e per il genere di merce per il quale è istituito, in una situazione di monopolio, ed è perciò obbligato, nei limiti della sua disponibilità materiale, a ricevere la merce presentata dai deponenti, né può pretenderne il ritiro. Anche nei riguardi del contratto con i magazzini generali in sostanza si può fare capo a quei principî che regolano i contratti conchiusi da privati con imprese esercenti pubblici servizî, sotto la sorveglianza di organi pubblici.
All'atto dell'introduzione della merce il magazzino generale, dopo le opportune verifiche, rilascia uno scontrino d'introduzione che costituisce la prova dell'avvenuto deposito. A richiesta del deponente questo scontrino può venire sostituito da un doppio titolo di credito e cioè dalla fede di deposito (warrant) e dalla nota di pegno. Lo scontrino d'introduzione costituisce semplicemente un documento probatorio dell'avvenuto deposito: il possessore dello scontrino si legittima solamente quale deponente o cessionario del deponente e non può quindi esercitare diritti diversi da quelli che derivano dall'ordinario contratto di deposito.
Il titolare della fede di deposito vanta invece un diritto originario e autonomo che gli deriva dalla proprietà del documento: il diritto a ritirare la merce. Ciascun successivo titolare della fede di deposito vanta detto diritto in maniera autonoma, per il solo fatto di essere proprietario del documento, e vanta un diritto autonomo in base alla promessa contenuta nel titolo. Il titolare della fede di deposito, pertanto, non può vantare che i diritti derivanti da essa e il magazziniere a sua volta deve attenersi alle indicazioni del titolo e non può sollevare eccezioni che non facciano capo allo stesso titolo di credito: l'uno e l'altro possono richiamarsi al contratto di deposito solamente in quanto vi ahbiano partecipato e quindi solamente in quanto chi presenta la fede di deposito sia il deponente originario o sia succeduto nel contratto di deposito. La fede di deposito rientra così nella categoria dei titoli di credito causali, precisamente di quelli di deposito, ed è assoggettata a quella disciplina, oltre che alle regole generali dei titoli di credito. La fede di deposito costituisce un documento all'ordine e quindi circola mediante girata. Riferendosi a merce specificata, la circolazione della fede di deposito importa anche la circolazione dei diritti reali spettanti al depositante sulla merce: eventualmente quindi la circolazione della proprietà stessa. Perciò essa, analogamente alla polizza di carico, costituisce un titolo rappresentativo. Questa caratteristica è d'importanza fondamentale per la funzione della fede di deposito nel commercio nazionale e internazionale; il venditore della merce assolve i suoi obblighi e può riscuotere il prezzo consegnando, anziché la merce, i titoli che la rappresentano e così la merce può facilmente circolare e costituire l'oggetto di contratti diversi, pure non venendo materialmente spostata. Accanto alla circolazione della proprietà della merce, merita, a questo proposito, di essere ricordato il suo trasferimento fiduciario a scopo di garanzia, il quale può avere luogo a mezzo della fede di deposito, anche indipendentemente dalla possibilità di costituire in pegno la merce con la girata della nota di pegno. Il titolare della nota di pegno, che costituisce anch'essa un titolo di credito all'ordine, vanta a sua volta un diritto autonomo sulla merce, quello di un creditore pignoratizio, e ciò entro quei limiti di somma che sono indicati nei due titoli: mancando indicazioni si reputa che la merce sia stata costituita in pegno per tutto il suo valore. Finché la fede di deposito gira insieme con la nota di pegno, il titolare, attraverso il doppio titolo, ha la piena disponibilità della merce: quando invece la nota di pegno circola separatamente dalla fede di deposito, il titolare della fede di deposito non può esercitare i suoi diritti se non compatibilmente coi diritti del titolare della nota di pegno. Egli potrà quindi ritirare la merce solamente depositando l'importo dovuto al possessore della nota di pegno con gl'interessi fino alla scadenza. Può anche, con il consenso del magazziniere, trattandosi di merce omogenea e che non scemi di valore per la diminuzione della quantità, ritirare una parte delle merci depositate depositando una somma corrispondente a garanzia dell'eventuale possessore della nota di pegno.
Il possessore della nota di pegno ha il diritto di fare vendere la merce e di pagarsi con privilegio sul prezzo, qualora non venga pagato il credito a garanzia del quale la nota di pegno è stata staccata dalla fede di deposito. Constatato col protesto il rifiuto del pagamento, egli può, dopo sette giorni, promuovere la vendita della merce, che viene compiuta dal magazziniere per mezzo di un mediatore iscritto, senza alcun intervento dell'autorità giudiziaria. Eseguita la vendita, il magazziniere, prelevate le somme necessarie per le spese, i diritti doganali, ecc., porrà il ricavato a disposizione del titolare della nota di pegno fino a concorrenza del credito garantito: il residuo rimane a disposizione del titolare della fede di deposito. Se col ricavato della merce il titolare della nota di pegno riesce interamente soddisfatto, dovrà restituire il titolo; se invece non riesce completamente soddisfatto, potrà agire in via di regresso contro i giranti della nota di pegno.
Architettura. - Questo genere di fabbricato è fondamentalmente un grande spazio dove si possa conservare la maggiore quantità di merci al riparo dalle intemperie e da estranei. Oltre a una chiusura perimetrale, avrà una copertura realizzata con il minor numero possibile di appoggi per soddisfare le esigenze di traffico interno e la migliore utilizzazione dell'area. D'altra parte, a seconda delle esigenze e qualità delle merci da ricoverare, l'edificio sarà a uno o più piani con uno sviluppo più o meno grande di pareti per l'appoggio e per il sostegno di ripiani, di scaffalature, ecc., con caratteri distributivi rispondenti ai diversi materiali da immagazzinare, dai cereali alle macchine, dai tessuti ai carboni, dalle derrate alimentari ai liquidi. Tipo caratteristico di magazzino è per esempio il silo destinato al deposito di cereali, carbone, ecc. Anche in riferimento alla località il magazzino può avere diversa fisionomia e carattere.
Un magazzino, in linea di massima, deve soddisfare a tre requisiti fondamentali: 1. buona utilizzazione della superficie e dello spazio e perciò buon rendimento economico; 2. buona conservazione e sicurezza delle merci immagazzinate; 3. facilità di riempimento e di sgombero dei locali.
Nello studio preliminare di un magazzino di una certa importanza sono da esaminare particolarmente i seguenti punti:
a) Posizione dell'edificio rispetto al traffico o movimento delle merci, materiali o prodotti che si debbono ricoverare. Quindi esame accurato degl'ingressi e delle uscite per le persone e i veicoli e per gli altri mezzi meccanici di trasporto. Nel caso di porti o di grandi centri ferroviarî, il magazzino e gli impianti di carico e scarico (gru, ponti mobili, paranchi, piani inclinati, nastri trasportatori, ecc.) debbono essere studiati in stretta relazione reciproca.
b) Disposizione planimetrica ed altimetrica che faciliti il movimento di deposito e ripresa delle merci. In questo genere di edifici il fattore più importante è senza dubbio quello "organizzativo" e l'edificio deve essere tale ehe sia evitato ogni dispendio per "false manovre". In questo studio ha grande importanza la posizione delle scale e i gruppi di elevatori e impianti meccanici.
c) Strutture che possano sopportare grandi carichi e assolutamente resistenti al fuoco o comunque protette efficacemente contro gli effetti dell'incendio. È ovvio che le strutture in cemento armato sono quelle che rispondono maggiormente a queste esigenze.
d) Dispositivi e impianti contro il fuoco, specie con la suddivisione del fabbricato stesso in elementi "stagni" per mezzo di muri "tagliafuoco" e porte di sicurezza. Unitamente vanno studiati e previsti impianti di segnalazione automatica (per aumento di temperatura) dei casi d'incendio in collegamento con impianti automatiei (a pioggia, ecc.) per lo spegnimento del fuoco. Tali impianti, se non possono servire a spegnere del tutto l'incendio, lo ostacolano però energicamente e facilitano l'opera dei vigili del fuoco.
e) Impianti di trasporto e sollevamento (piani inclinati, ferrovie interne, montacarichi, gru, nastri trasportatori, tramogge, ecc.).
I magazzini costruiti lungo i porti (dock) debbono potere permettere le varie operazioni di controllo e di dogana e richiedono appositi locali e acconce disposizioni. Si hanno colossali impianti di magazzini in tutti i principali porti del mondo. In Italia sono importantissimi gl'impianti di Genova, di Trieste e di Napoli. Genova ha i magazzini generali che coprono un'area di oltre 50.000 mq., il deposito franco di circa 17.000 mq. di superficie, i magazzini frigoriferi, con celle refrigeranti per 3600 mc., i depositi per il petrolio con una capacità di 7000 mc., quelli per olî lubrificanti con capacità di 10.000 mc. Del grande porto ligure sono notevolissimi per impianti e costruzione i silo capaci di contenere circa 44.000 tonnellate di granaglie. Anche Trieste ha grandiosi silo che possono contenere circa 23.000 tonnellate di grano.
Bibl.: C. Vivante, Trattato di diritto commerciale, 5ª ed., IV, Milano, n. 1815 segg.; U. Navarrini, I magazzini generali, Torino 1902; F. Errera, Nuovi studî e nuove leggi sui magazzini generali, in Archivio giuridico, VII, VIII. - Per l'architettura: D. Donghi, Man. dell'architetto, II, i, Torino 1926; E. Wasmuth, Lexikon der Baukunst, Berlino 1931; Handbuch der Architektur, parte IV, 4ª edizione, Lipsia 1926.
I grandi magazzini di vendita.
I grandi magazzini (francese magazin; sp. almacén; ted. Warenhaus; inglese store) detti anche bazar non ostante le notevoli differenze che li contraddistinguono dai bazar di tipo orientale, sono istituzione moderna e si sono sviluppati parallelamente e in rapporto alla grande industria di cui dividono i vantaggi e le critiche. Al contrario della piccola bottega e della piccola industria, questi grandi emporî (che occupano palazzi e accolgono reparti di vendita delle merci più svariate, uffici bancarî e d'informazioni turistiche, bagni e altri servizî di toletta, uffici postali e telegrafici, caffè, ristoranti, cinematografi, ecc.) si rivolgono a una clientela illimitata e offrono generalmente al consumatore prezzi più miti, oltre a. un maggiore assortimento di prodotti; vi si riscontrano d'altra parte, da molti, gli stessi difetti rilevati in ogni concentrazione di capitali, l'eliminazione della concorrenza, cioè, e le sue inevitabili conseguenze.
I primi magazzini di questo genere sorsero a Parigi (la Ménagère nel 1846, il Louvre nel 1855, il Bon Marché nel 1872), ma furono poi ben presto imitati dalle principali città europee e americane. Ricordiamo tra i più notevoli, oltre al Bon Marché e al Louvre, le Galeries Lafayette e il Printemps a Parigi, il Ka-de-We (Kaufhaus des Westens), il Karstadt e il Wertheim a Berlino (il primo è sistemato in un fabbricato di 8 piani con 56 m. di altezza e oltre 8000 mq. di superficie), il Barker e il Selfridge's a Londra, il Gimbel Brothers e il Wanamaker (il più grande di tutti) a New York e il Woolworth a Londra e a New York, che vende articoli a prezzo unico e molto basso. In Italia va ricordata la Rinascente (con sede principale a Milano), che ha continuato ed esteso il primo tentativo del genere fatto alla fine del secolo XIX dai fratelli Bocconi, con la fondazione della ditta Alle Cento Città d'Italia.
Architettura. - I grandi magazzini di vendita delle grandi città hanno oggi assunto un loro particolare carattere edile architettonico. Il nuovo De Bijenkorf di Rotterdam, la caratteristica casa di vendite Schocken in Chemnitz, i nuovi magazzini Aux trois quartiers di Parigi sono anzi fra le più moderne espressioni architettoniche e tecniche del nostro tempo.
Su due punti fondamentali si basa l'organizzazione planimetrica e architettonica di un tal genere di edificio: a) circolazione del pubblico; b) collocamento ed esposizione delle merci.
Sarà perciò da considerare la posizione dell'edificio nel quartiere, rispetto alle strade principali e alle secondarie, con determinazione della più opportuna disposizione degl'ingressi per il pubblico, per il personale e per le merci. Fondamentale è lo studio della circolazione interna, in cui bisogna facilitare il flusso naturale, lasciando i necessarî spazî e destinando invece le superficie restanti ai banchi e alle vetrine per le merci e la vendita. Della massima importanza è la posizione delle scale, ascensori e scale mobili. Questi elementi vanno posti a gruppi e nei punti centrali di traffico. Scendendo ai particolari, sono da curare la forma e le dimensioni dei banchi di vendita (che sono in gran parte legati alla disposizione dell'ossatura dell'edificio e all'interasse dei pilastri), la posizione delle varie casse, i servizî, ecc.
Per l'esposizione delle merci è logico che il piano terreno abbia la massima funzione reclamistica, soprattutto per le vetrine che si affacceranno all'ingiro sulle strade circostanti. Ma via via in tutti i piani dell'edificio, a seconda dei varî reparti, lo spazio va convenientemente suddiviso fra banchi di vendita, vetrine da esposizione e vetrine o scaffalature di deposito.
Anche nella distribuzione dei varî reparti sui diversi piani si seguono criterî più o meno fissi. Nei magazzini tipo emporio al piano terreno si dispongono le merci di carattere generale e a buon mercato o di più forte smercio, come le stoviglie e le forniture casalinghe, oppure il piano viene destinato, a volta a volta, a vendite eccezionali. Al primo piano spesso si vendono oggetti di cuoio, profumerie, guanti, gioielli, accessorî varî per passeggio, ecc., oppure generi alimentari, stoviglie e oggetti casalinghi, giocattoli. Il secondo e terzo piano sono adatti per confezioni per signora e biancheria femminile; il quarto per abbigliamenti per ragazzi, il quinto per uomo; così, salendo verso l'alto, i varî piani saranno destinati a mobili, tappezzeria e drapperia, oggetti per sport e strumenti musicali, ristorante, lunch-room e terrazza-giardino. Tutto ciò naturalmente in relazione all'estensione e all'importanza dell'edificio.
Dal lato costruttivo bisogna che tali edifici abbiano l'interno il più possibile sgombro da strutture di appoggio: perciò la loro ossatura non può essere che in cemento armato o in acciaio: quest'ultimo sistema è quello oggi più in favore.
Del fabbricato fanno parte uno o più grandi saloni interni, che comprendono l'altezza di varî piani e che permettono di avere una certa ariosità e illuminazione naturale nei piani, che forzatamente sono molto profondi e con grande parte della superficie lontana dalle finestre. Questo è uno dei problemi più gravi nella costruzione dei magazzini: con la tecnica moderna dell'illuminazione e con la ventilazione artificiale gl'inconvenienti sono molto attenuati; tuttavia il problema va molto studiato da questo punto di vista. Ed è necessario l'accorgimento di disporre nei pressi delle finestre i reparti di quelle merci che debbono essere esaminate alla luce naturale; di sistemare in alto il ristorante e le sale da tè (che oggi non possono mancare in tal genere di edifici); di predisporre ampíe vetrate e lucernarî, facilitando in ogni modo l'accesso della luce naturale.
Altra importante questione sono i locali per l'arrivo e il movimento delle merci, i relativi impianti di piani inclinati, di nastri trasportatori, di scaricatori elicoidali, ece. I magazzini La Samaritaine a Parigi, per esempio, hanno una galleria sotterranea di collegamento con un edificio adiacente destinato a stazione di arrivo e partenza merci e in cui possono essere contemporaneamente caricati e scaricati otto grandi autocarri.
Desiderabile è anche l'impianto di un grande parco o rimessa per la sosta delle automobili dei clienti; nel traffico dei grandi magazzini i veicoli in sosta raggiungono giornalmente un numero assai rilevante.
In questo tipo di edifici non debbono mancare alcuni locali destinati al personale direttivo e amministrativo che deve essere in immediato contatto con il pubblico e con il personale di vendita. Però l'amministrazione vera e propria di tali organizzazioni risiede in genere in altro fabbricato (come nei magazzini Karstadt a Berlino) di proporzioni spesso notevoli. Poiché tutte le forme più reclamistiche di attrazione del pubblico sono necessarie per tal genere di organizzazioni commerciali, oltre al ristorante e alle sale da tè si adottano anche altri locali di divertimento come piscine, terrazze-giardino con giuochi, musica, ecc.
Tra gl'impianti hanno capitale importanza i varî gruppi di ascensori per il pubblico, le scale mobili e i montacarichi per le merci. Questi ultimi possono essere del tipo a catena o paternoster. Tolette, latrine e spogliatoi debbono essere disposti in ogni piano e facilmente accessibili. Impianti di riscaldamento e di ventilazione sono indispensabili, come pure occorrono le più moderne previdenze contro lo svilupparsi e propagarsi del fuoco, problema questo che richiede speciale cura. Poco si può fare per ostacolare l'incendio con pareti e divisioni taglia-fuoco in tal genere di edifici, ovunque aperti alla vista e al traffico; la migliore cosa è predisporre potenti impianti di spegnimento con grandi serbatoi, condutture di acqua a pressione con prese disseminate ovunque, e sussidiate da estintori a mano piccoli e grandi. Per avere una certa sicurezza, in caso di tali sinistri, bisogna che le scale e le uscite siano abbondantemente predisposte e calcolate.
Bibl.: D. Donghi, Manuale dell'architetto, II, i, Torino 1927; E. Wasmuth, Lex. d. Baukunst, Berlino 1931; Handb. d. Architektur, p. 4ª, II; G. Grimm, Kauf- und Warenhäuser, Berlino 1928; Store Building, in Architect. Record, giugno 1929; varî articoli in Deutsche Bauzeitung, 1929-30-31.