VERONA, Maffeo
– Le poche notizie disponibili sulla famiglia di origine e sull’apprendistato di Maffeo si ricavano dalle pagine di Carlo Ridolfi (1648), il quale, in apertura della vita dedicata al pittore, lo dice nato a Verona nel 1576 da Giovanni, di cui si ignora il cognome, di professione causidico (p. 148); questa data di nascita deve essere considerata solo indicativa.
In giovane età – Ridolfi lo definisce «ancora figliuolo» (mentre Vertova, 1986, p. 892, lo dice di sei anni senza precisare la fonte di questa informazione) – Maffeo seguì il padre a Venezia, dove entrò come apprendista nella bottega del pittore veronese Luigi Benfatto, noto come Alvise dal Friso, nipote di Paolo Veronese da parte di sorella. La sua formazione avvenne quindi nell’orbita di Caliari (che Vertova, 1977, p. 420, ipotizza Maffeo possa avere conosciuto di persona), per arricchirsi successivamente delle lezioni di Tintoretto e di Palma il Giovane. L’esperienza presso la bottega di Dal Friso ebbe conseguenze personali e professionali: in un anno imprecisato, Maffeo ne sposò una figlia (Ridolfi, 1648, p. 147), e nel 1609, alla morte del suocero, ne ereditò la bottega (Francescutti, 2001, p. 117).
Poco si sa della sua attività giovanile, durante la quale eseguì opere destinate a Venezia, come nel caso della Crocifissione per la chiesa di S. Stae terminata nel 1604 (p. 118), e in parte ai centri dell’entroterra veneziano. Entro il 12 agosto 1600 realizzò la pala con l’Assunzione della Vergine per l’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Varago, in provincia di Treviso, commissionata dal parroco Marin Florio (Vertova, 1977, p. 431; Francescutti, 2001, pp. 122 e 138). All’inizio del secolo si colloca anche la decorazione della cappella privata di Paolo Tiepolo, decano di Aquileia ma residente a Udine, composta da una pala con l’Assunzione della Vergine tra i Ss. Ermacora e Fortunato e da un ciclo di sei tele con Storie della vita della Vergine (Francescutti, 2001, pp. 120-132). Il contenuto di una scritta apparsa nel 1995, nel corso di lavori di restauro, sul retro del dipinto raffigurante la Nascita della Vergine suggerisce che Maffeo era al tempo residente a Venezia nei pressi della chiesa di S. Lio (pp. 126 e 140). Nel suo testamento (1611) Tiepolo destinò l’intero apparato decorativo alla chiesa della Presentazione della Vergine al Tempio, comunemente nota come delle Zitelle, a Udine, dove le tele giunsero nel 1612 e dove tuttora si trovano.
Fu forse proprio grazie alla raccomandazione del decano di Aquileia, evidentemente soddisfatto della commissione affidata a Maffeo, che quest’ultimo ottenne l’incarico di realizzare la pala con la Presentazione della Vergine al Tempio per l’altare maggiore delle Zitelle (Francescutti, 2001, pp. 118 s. e 137). La commissione è documentata tra il 26 novembre 1609 e il 18 ottobre 1611, benché il nome dell’autore non sia mai esplicitamente citato (Francescutti, 2004, p. 165; Ead., 2001, p. 119). Una prima versione dell’opera forse non incontrò pienamente i gusti delle committenti, le quali inviarono la tela all’artista a Venezia il 22 gennaio 1611, con ogni probabilità affinché egli vi apportasse alcuni ritocchi (Francescutti, 2001, p. 119). La fortuna di cui godette Maffeo a Udine è ulteriormente confermata dalla realizzazione, nel secondo decennio del Seicento, delle portelle d’organo con lo Sposalizio della Vergine e il Transito di s. Giuseppe per il duomo cittadino (p. 139, con datazione all’inizio del decennio; Francescutti, 2004, p. 171, con datazione alla metà, e p. 164, per un elenco delle opere di Maffeo attestate a Udine).
Il pittore sembra avere trovato con facilità un mercato per i propri dipinti anche a Venezia, dove le commissioni si moltiplicarono soprattutto dopo la morte del suocero. Tra le qualità apprezzate di lui era una certa prestezza, caratteristica che gli permise di essere prolifico nel corso di tutta la sua carriera. Secondo Ridolfi (1648), «Maffeo Verona fu molto pronto d’ingegno, e dipinse con tale prestezza, che ne’ giorni dell’estate soleva nel bel mattino abbozzar le figure, e persciugatele al sole, prima che venisse notte dava lor fine» (p. 148). Anche Marco Boschini (1660) dedica alcuni versi a «Mafio Verona pronto et ressoluto» (pp. 454 s.).
La sua produzione, ricostruita da Benno Geiger nel 1910 e poi indagata soprattutto da Luisa Vertova in numerosi contributi (1977, 1983, 1984, 1985, 1986), spazia dai fregi istoriati per le case dei ricchi patrizi veneziani, ancora visibili per esempio nella cosiddetta sala dei Cuori in palazzo Vendramin Calergi (Mejier, 1988-1989; per altri esempi si vedano Vertova, 1983, pp. 9-12, e Garas, 1989), ai gonfaloni per confraternite, scuole e ordini religiosi, tra cui sono datati 1612 quello con la Madonna incoronata dagli angeli e i committenti, ora al Museo civico di Casale Monferrato (Vertova, 1977, p. 424) e quello con l’Assunzione della Vergine con i donatori Giacomo e Antonio Busi, forse in origine anche firmato (Ead., 1983, pp. 12-14); dai modelli per mosaici (Robotti, 1973) alle tele con soggetti religiosi, dai cicli a fresco agli apparati decorativi di natura effimera. Tra questi ultimi, nel 1609, la nazione fiorentina di stanza a Venezia gli commissionò gli apparati funebri in onore del granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici, deceduto il 7 febbraio di quello stesso anno, per un funerale in effigie da tenersi nella chiesa di S. Maria Gloriosa dei Frari (Vertova, 1984). Gli apparati comprendevano un ricco catafalco, una teoria di figure allegoriche a monocromo e una di scheletri impegnati in varie attività quotidiane (Essequie..., 1609). Dopo la messa, celebrata il 26 maggio 1609, gli addobbi rimasero esposti per cinque giorni per consentire alla popolazione, accorsa in gran numero ad assistere all’evento, di ammirare le invenzioni di Maffeo.
L’artista fu iscritto alla fraglia dei pittori di Venezia dal 1611 al 1616 (Pignatti, 1965). L’ingresso alla corporazione corrispose a un aumento in termini di quantità e qualità delle commissioni pubbliche ricevute nella città lagunare. La sua fama a Venezia è in particolare legata alle numerose opere commissionategli a partire dal 1611 dalla Procuratia de Supra per la basilica di S. Marco, soprattutto i cartoni per mosaici, in realtà vere e proprie tele utilizzate come modello dai maestri mosaicisti. Il primo cartone per il grande mosaico dell’Inferno, realizzato poi da Alvise Gaetano sul piedritto di sinistra dell’arcone del Giudizio universale, fu commissionato a Maffeo, «pittor nipote del quondam Paulo Veronese», dai procuratori di S. Marco il 30 dicembre 1611 e pagato 45 ducati in ragione di 5 ducati per figura il 4 dicembre 1612 (Geiger, 1910, pp. 122-124). Il secondo cartone per la restante parte della stessa scena gli fu pagato 65 ducati il 7 marzo 1616, sempre a 5 ducati a figura (ibid., p. 127, e Robotti, 1973, p. 217). Dal 1611 sino alla morte l’artista lavorò intensamente nel prestigioso cantiere della basilica marciana, come emerge dai numerosi documenti pubblicati da Benno Geiger (1910). Nel 1614 dipinse la copertura della Pala d’Oro, con Cristo in cattedra e santi, che gli fu pagata 60 ducati il 19 dicembre di quell’anno (p. 125). Eseguì inoltre numerosi cartoni per altre opere a mosaico, poi realizzati da Giacomo Pasterini e Alvise Gaetano, come per esempio quelli per gli Evangelisti, pagatigli 25 ducati il 3 ottobre 1615 (p. 126); quelli per le quattro lunette dell’ordine superiore della facciata della basilica, commissionati il 15 marzo 1616 e pagati 90 ducati tra il 2 maggio e il 17 novembre 1617 (pp. 127 s., 129 s.); un cartone per i Vegliardi dell’Apocalisse, pagato 32 ducati il 17 ottobre 1616 (p. 129), e uno per la volta sopra la porta del battistero, per cui ricevette il saldo di 32 ducati l’8 maggio 1618 (pp. 130 s.; per quest’ultima commissione si veda anche Robotti, 1973, p. 217). Maffeo realizzò inoltre vari dipinti per la basilica di S. Marco, tra cui un Padre Eterno, un cherubino e un S. Marco Evangelista pagatigli 15 ducati il 7 febbraio 1615 (p. 125), e due grandi tele con l’Andata al Calvario e la Crocifissione, ora perdute, destinate alla cappella di S. Isidoro, pagategli 20 ducati il 15 marzo 1615 (pp. 125 s.).
Nel 1617 Maffeo firmava e datava una pala d’altare con l’Eterno Padre e quattro sante, ora nella chiesa sconsacrata di S. Francesco a Staffolo, in provincia di Ancona (Lucco, 1982). Oberato da numerose e ben più prestigiose commissioni, non stupisce che l’artista affrontasse il soggetto con una certa fiacchezza stilistica, comune ad altre opere realizzate per centri periferici negli ultimi anni di vita. L’alta valutazione attribuita a un suo dipinto – una Susanna – nell’inventario dei collezionisti ferraresi Roberto e Giacinto Canonici (1627) suggerisce che Maffeo godette comunque di una buona fama anche fuori dal territorio veneziano (Una storia silenziosa, 2013).
Come risulta dal libro dei morti della chiesa di S. Maria del Giglio (detta anche S. Maria Zobenigo), il pittore morì l’8 novembre 1618 all’età «d’anni 44 incirca» (Geiger, 1910, pp. 47 e 131), indicazione che suggerisce la possibilità di anticipare al 1574 la data di nascita fornita da Ridolfi. È ancora Ridolfi che fornisce un racconto delle circostanze della morte dell’artista. Dal 1617 Maffeo era impegnato a dipingere a fresco nella villa di Vincenzo Cappello a Orgnano, non lontano da Udine (ora perduta). Ogni sera, posati i pennelli, il pittore cavalcava sino a Venezia per tornare poi a Orgnano il giorno dopo, «stanco delle fatiche della notte». Questa routine, unita a una predisposizione per gli eccessi amorosi, lo avrebbe progressivamente indebolito al punto da farlo cadere vittima di una epidemia di febbre diffusasi a Venezia nel 1618 (Ridolfi, 1648, p. 150).
Al suo funerale parteciparono numerosi pittori e fu seppellito nella chiesa di S. Maria del Giglio. Lasciò il figlio Agostino, definito da Ridolfi (1648) «molto studioso et universale nella pittura» (p. 150), che alla morte del padre aveva a quanto pare già dato prova delle sue doti.
Fonti e Bibl.: Essequie del serenissimo don Ferdinando Medici, gran duca di Toscana III, celebrate in Venezia dalla nazione fiorentina, descritte da don Agostino Masi, Venezia 1609; C. Ridolfi, Le Maraviglie dell’arte, overo le Vite de gl’illustri pittori veneti e dello Stato, ove sono raccolte le opere insigni, i costumi et i ritratti loro; con la narratione delle historie, delle favole e delle moralità da quelli dipinte, II, Venezia 1648, pp. 147-150; M. Boschini, La Carta del vavegar pitoresco: dialogo tra un senator venetian deletante e un professor de Pitura, Venezia 1660, pp. 454-456; B. Geiger, M. V. (1574-1618) und seine Werke für die Markuskirche zu Venedig: ein Beitrag zur Geschichte der venezianischen Kunst im Zeitalter des Barock, Berlin 1910; T. Pignatti, La Fraglia dei Pittori di Venezia, in Bollettino dei Musei civici veneziani, X (1965), 3, pp. 16-39 (in partic. p. 37); C. Robotti, Il cartone di M. V. per un’opera musiva della Scuola marciana, in Bollettino d’arte, s. 5, LVIII (1973), pp. 214-218; L. Vertova, M. V. between Paolo Veronese and Tintoretto, in The Burlington Magazine, CXIX (1977), pp. 420-434; M. Lucco, Quei pittori veneti in Vallesina, in Jesi e la sua valle, XXI (1982), 4, pp. 34 s.; L. Vertova, Rivisitando M. V., in Antichità viva, XXII (1983), 5-6, pp. 7-26; Ead., M. V. per il Granduca di Toscana, in Interpretazioni veneziane: studi di storia dell’arte in onore di Michelangelo Muraro, a cura di D. Rosand, Venezia 1984, pp. 399 s.; Ead., Su M. V., la bottega Caliari e Palma il Giovane, in Antichità viva, XXIV (1985), 1-3, pp. 58-66; Ead., A signed M. V., in The Burlington Magazine, CXXVIII (1986), pp. 892 s.; B.W. Meijer, M. V.: due fregi ed un disegno, in Labyrinthos, VII-VIII (1988-1989), 13-16, pp. 187-192; K. Garas, Œuvre inconnue de M. V. à Budapest, in Bulletin du Musée Hongrois des beaux-arts, LXX-LXXI (1989), pp. 47-57; E. Francescutti, M. V. nella chiesa delle Zitelle di Udine, in Arte veneta, LVIII (2001), pp. 116-141; Ead., Tra maniera e natura: opere di Maffeo da Verona nella Casa secolare delle Zitelle di Udine, in Artisti in viaggio, 1450-1600. Presenze foreste in Friuli Venezia Giulia, a cura di M.P. Frattolin, Venezia 2004, pp. 159-190 (con appendice bibliografica); Una storia silenziosa. Il collezionismo privato a Ferrara nel Seicento, a cura di F. Cappelletti - B. Ghelfi - C. Vicentini, Venezia 2013, p. 126.