SALVATORELLI, Luigi
– Nacque a Marsciano (Perugia) l’11 marzo 1886 da Salvatore e da Anna Alessandri.
Ebbe una formazione cattolica. Compì gli studi ginnasiali e liceali a Perugia, accolto nella dimora dello zio, monsignor Luigi, segretario generale dell’Archidiocesi. Trasferitosi a Roma nel 1903, si laureò in lettere nel 1907 con Ernesto Monaci, filologo romanzo, titolare della cattedra di storia comparata delle lingue e letterature neolatine; la dissertazione di laurea fu di carattere storico-filologico (La politica interna di Perugia in un poemetto volgare della metà del Trecento, edita nel 1953 nel Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria). Nel medesimo anno don Romolo Murri venne sospeso a divinis e Pio X condannò con l’enciclica Pascendi il movimento modernista: due eventi che non lasciarono indifferente Salvatorelli. Dopo la laurea, tuttavia, egli non si dedicò professionalmente alla ricerca ma, per necessità familiari, tentò e vinse un concorso al ministero della Pubblica Istruzione per un ruolo di primo segretario del Consiglio superiore. Si appassionava, però, di ricerca storica. Influenzato dal modernismo e specialmente dall’opera di biblista di Alfred Loisy (la prima recensione a un suo testo è del 1908, secondo titolo della sterminata bibliografia salvatorelliana; il primo risale al 1906, e affrontava già la questione modernista con una lettera aperta a Murri), dagli studi teologici di Georges Tyrrell e dall’opera di Ernesto Buonaiuti. Stimolato ma non convinto dal modernismo, Salvatorelli si concentrò sul primo cristianesimo e sugli studi veterotestamentari. In quel periodo entrò in contatto con Benedetto Croce, al quale inviò alcuni componimenti poetici, chiedendo un parere che se fosse stato negativo lo avrebbe indotto a perseguire altre strade, come poi accadde, in particolare gli studi religiosi, seguiti con metodo filologico e spirito laico, lontani da qualsivoglia dogmatismo, anche del modernismo, da cui fu profondamente influenzato.
A quegli studi Salvatorelli annetteva un significato civile e indirettamente politico, ritenendo che, condotti in tal modo, essi potessero servire a formare un nuovo spirito pubblico e a sviluppare una cultura lontana dalle secche del clericalismo cattolico e dall’anticlericalismo, orientata nello spirito dei Lumi, ossia razionalisticamente (cfr. la lettera a Croce del luglio 1911, cit. da Giuseppe Galasso in Luigi Salvatorelli (1886-1974), 2008, p. 6). In fondo, fin dai primordi della sua carriera di studioso, Salvatorelli manifestò fastidio per l’erudizione in sé e volle annettere un significato civile e politico al proprio lavoro che, prima della Grande Guerra, fu tuttavia concentrato sulle questioni bibliche e sulla storia del cristianesimo delle origini.
Recensioni, schede e articoli (raccolti nel 1914 in volume), saggi bibliografici ma anche lavori più impegnativi, come un’introduzione all’Antico e Nuovo Testamento (La Bibbia, a quattro mani con Ed Hühn, Milano 1914): questo l’insieme della produzione di Salvatorelli dopo la laurea. Si dedicò allora, continuando per tutta la vita, altresì a lavori di sintesi nei quali avrebbe eccelso nei decenni successivi: in particolare un manuale di storia generale (a uso degli istituti tecnici, con Rodolfo Micacchi, 1912-1915, I-III). Con questi titoli si presentò al concorso di storia del cristianesimo: il secondo posto nella terna, alle spalle di Ernesto Buonaiuti, lo portò alla cattedra di storia della Chiesa all’Università di Napoli, nel 1916, solo virtualmente, a causa dell’ingresso dell’Italia nella guerra. Salvatorelli, che si era schierato per la neutralità italiana, con una intensa collaborazione al foglio Italia Nostra, di orientamento crociano, fu richiamato alle armi come ufficiale di artiglieria. Durante il conflitto sposò una concittadina, Gina Mincarelli, dalla quale ebbe tre figli: Anna Maria, nata nell’aprile del 1919, Mario (4 giugno 1920) e Franco (3 marzo 1928).
Al ritorno della pace, prese servizio nell’Ateneo napoletano ma avviò nel contempo l’attività di notista politico, su vari quotidiani, innanzi tutto sul Tempo, meno sul Resto del Carlino e sul Giorno e, soprattutto, sulla Stampa di Alfredo Frassati. Questi, chiusa la parentesi bellica, gli aveva aperto le porte del giornale, nel dicembre del 1919, scorgendo in lui una «acuta» e «sicura percezione della realtà» (come si legge in una breve presentazione non firmata a un impegnativo articolo di Salvatorelli sulla politica adriatica, il 3 marzo 1920), scegliendolo di fatto come editorialista. Nominato ambasciatore a Berlino, dall’ultimo Governo Giolitti, Frassati nel 1921 affidò a lui le redini del quotidiano torinese, con il ruolo di condirettore supplente che, in assenza del direttore, implicava di fatto la direzione politica del giornale in tempi tumultuosi. Il nuovo ruolo comportò la necessità di abbandono della cattedra universitaria, nello stesso anno, una scelta alla quale Salvatorelli diede un significato politico: gli pareva fuori luogo, in quel momento storico, continuare a occuparsi di cristianesimo antico in un periodo in cui l’Italia liberale rischiava, come poi accadde, di essere sommersa dall’onda del fascismo, che ormai aveva imboccato la via dell’illegalità e della violenza. Decise dunque di mettere la sua penna al servizio della causa antifascista, non cedendo tuttavia, nei suoi numerosissimi interventi sul giornale torinese, al mero propagandismo, ma sempre conservando la lucidità dell’analisi storico-politica, attenta sia al quadro interno sia a quello internazionale.
Portava avanti intanto il lavoro scientifico di storia delle religioni, su riviste specialistiche, ma anche culturale su testate come Nuova Antologia e La Cultura, non cessando la produzione manualistica. Il suo nome, di fatto scomparso dagli ambienti accademici, diventò assai noto nell’ambito politico, attirando l’attenzione da un canto dei fascisti, dall’altro del mondo liberaldemocratico, quello che si collocava a sinistra di Giovanni Giolitti, in particolare del giovanissimo Piero Gobetti animatore a Torino di una frenetica attività pubblicistica ed editoriale. Fu Gobetti tra i primi a cogliere la novità dell’interpretazione salvatorelliana del fascismo, espressa in tempo reale in una serie di articoli su La Stampa e Il Tempo: ne nacque Nazionalfascismo (1923), un esile volume di grande perspicacia e di forte originalità, edito da Gobetti.
Il fascismo, questa la tesi salvatorelliana, poteva considerarsi espressione politica dei ceti medi, privi di rappresentanza, a differenza della borghesia (di cui era portavoce il Partito liberale), del proletariato (il Partito socialista), e dei ceti contadini (prevalentemente rappresentati dal neonato Partito popolare). Era «la rivolta del terzo escluso»: in particolare l’autore tracciava un profilo critico, non esente da un vivace sarcasmo, della piccola borghesia umanistica, che avrebbe suscitato un intenso dibattito, ripreso ancora nel secondo dopoguerra (si veda l’introduzione di Giorgio Amendola alla II edizione, del 1977). Una seconda tesi del libro, altrettanto originale, e forse più fondata sul piano politico, riguardava l’egemonia che la pattuglia di intellettuali costituti in Associazione nazionalista italiana (ANI) aveva di fatto realizzato sul movimento dei Fasci di combattimento: in sostanza, sarebbe stato il ‘pesce piccolo’ (il nazionalismo) a ingoiare il ‘pesce grande’ (il fascismo), fornendogli la sostanza ideologica. Al nazionalismo dedicò un successivo libretto (Irrealtà nazionalista, Milano 1925), tentativo di analizzare la politica estera di Francesco Coppola, Alfredo Rocco e sodali, come si esprimeva in particolare sulle pagine di Politica, la rassegna mensile diretta dai due intellettuali. Salvatorelli – con attitudine forse più ideologica che storiografica – intendeva mostrare come un esasperato realismo politico finisse per rovesciarsi nel suo contrario, un velleitarismo irrealistico, che pretendeva di assegnare all’Italia un ruolo di grande potenza, pronta a imporsi con la forza sulla scena internazionale.
Nello stesso anno, con la ‘normalizzazione’ dell’informazione, La Stampa passò dalla famiglia Frassati alla famiglia Agnelli: Salvatorelli fu il primo a essere licenziato, come giornalista oppositore. Cominciarono tempi difficili, per lui e famiglia: senza la cattedra e senza il posto al quotidiano torinese visse di collaborazioni giornalistiche più o meno occasionali, specie al Lavoro di Genova e al Resto del Carlino di Bologna, spesso firmate con pseudonimo; a esse affiancò un’intensissima attività di compilatore di manuali e opere generali. La frequentazione degli ambienti gobettiani, dopo che nel 1924 aveva aderito all’Unione nazionale di Giovanni Amendola, divenne più difficile e del resto, all’inizio del 1926 Gobetti stesso, sottoposto a vessazioni e aggressioni, emigrò a Parigi, dove morì poco dopo. Salvatorelli, sottoposto al vigile controllo della polizia, si dedicò alla ricerca storica, tornando agli studi religiosi (si segnalano in particolare le due monografie sui santi umbri, Vita di san Francesco d’Assisi, Bari 1926, e San Benedetto e l’Italia del suo tempo, Bari 1929), e alle grande campiture storiche, tanto italiane quanto europee e mondiali, rivelando una capacità di sintesi mirabile e una sicura padronanza di un immenso materiale; si segnala, per esempio, L’Italia medioevale (Milano 1938), un libro di grande intelligenza storica. Esterne all’ambito religioso sono le opere più celebri: Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870 (Torino 1935; ed. accresciuta 1941, 1942, 1943); Pensiero e azione del Risorgimento (Torino 1943), edite da Einaudi, nel cui ambito egli si era avvicinato a Giustizia e Libertà (pur senza svolgere un’attività cospirativa, fu colpito nella seconda tornata di arresti nel maggio del 1935, per essere poi rilasciato ma sottoposto al provvedimento dell’ammonizione); Leggenda e realtà di Napoleone (Torino 1944, nuova ed. 1960), un testo pieno di risonanze antimussoliniane, edito non a caso da Franco Antonicelli, nella sua ultima creatura editoriale, la Francesco De Silva.
Quella di Salvatorelli fu nell’insieme, durante il Ventennio, una dignitosa posizione di antifascismo non militante, anche se pagò un piccolo pegno al regime in qualche passaggio di sue compilazioni di politica internazionale. Assai più rispondente al suo orientamento, l’adesione al Partito d’azione nel 1942, nel quale rappresentò la destra, ostile alla collaborazione con i comunisti, anche se nel settimanale La Nuova Europa, da lui fondato a Roma (dove si era trasferito) nel dicembre del 1944 e durato solo alcuni mesi, lo spettro delle collaborazioni fu ampio. Fu un foglio di alto valore culturale che provò a disegnare i tratti di un’Italia davvero nuova nel postfascismo.
Salvatorelli entrò nella Commissione d’epurazione per i docenti universitari, ma non svolse altri ruoli politici. Riprese l’attività di compilatore di opere sempre di notevole efficacia, come la Storia del fascismo, del 1952, poi rielaborata nel 1956 e infine nel 1964 con il titolo Storia d’Italia nel periodo fascista, firmata con Giovanni Mira, il primo tentativo storiografico di fare i conti con il regime mussoliniano al di là della memorialistica. Tornò alla Stampa come editorialista specializzato nella politica internazionale, su posizioni filoatlantiche ed europeistiche, ma anche come elzevirista specializzato in quadri storici.
Morì a Roma il 3 novembre 1974.
Opere. Si segnalano le riedizioni di San Benedetto e l’Italia del suo tempo, con introduzione di G. Arnaldi, Roma-Bari 2007; Leggenda e realtà di Napoleone, con introduzione di L. Mascilli Migliorini, Torino 2007; l’anastatica di La Nuova Europa (1944-1946), con introduzione di A. D’Orsi, Marsciano 2004.
Fonti e Bibl.: Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale Pubblica sicurezza, Casellario politico giudiziario, ad nomen; Marsciano, Biblioteca comunale, Archivio Salvatorelli; Cinque lettere di Leone Ginzburg a L. S., a cura di A. D’Orsi, in Annali della Fondazione L. Einaudi, 2003, n. 36, pp. 371-384.
Omaggio a L. S., in Rivista storica italiana, 1966, n. 78, monografica; G. Spadolini, Il mondo di L. S., Firenze 1980; S. storico, a cura di F. Tessitore, Napoli 1981; L. Casalino, Un’amicizia antifascista. Le lettere di Lionello e Franco Venturi a L. S. (1914-1944), in Quaderni di storia dell’Università di Torino, 1997-1998, n. 2, pp. 441-462; L. S. (1886-1974). Storico, giornalista, testimone, a cura di A. D’Orsi (con la collab. di F. Chiarotto), Torino 2008; Id., S. storico (politico) del cristianesimo, in Storici e religione nel Novecento italiano, a cura di D. Menozzi - M. Montacutelli, Brescia 2011, pp. 371-401; Id., L. S., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Storia e politica. Ottava appendice, Roma 2013, pp. 640-645.