PERRACHIO, Luigi
PERRACHIO, Luigi. – Nacque a Torino il 28 maggio 1883 da Ludovico e da Luisa Elia.
Crebbe in una famiglia della solida e colta borghesia piemontese, dove la conoscenza e la pratica della musica era un naturale complemento della vita professionale; maggiore di tre figli, ricevette la prima educazione musicale in casa, dal padre, ingegnere e acquerellista, e dalla madre, entrambi pianisti dilettanti. Ragazzo, suonò l’organo e ricevette rudimenti di violoncello e di armonia da Giuseppe Carlo Bono e Paolo Copasso; per la composizione si considerò sempre un autodidatta, mentre affrontò lo studio sistematico del pianoforte con Cesare Boerio ed Ermenegildo Gilardini, i quali nel 1895 avevano aperto a Torino una scuola privata per l’«insegnamento razionale-teorico-pratico del pianoforte» (Basso, 1971, p. 128 n. 82); a vent’anni si provò occasionalmente nella direzione d’orchestra, dirigendo il Ruy Blas di Filippo Marchetti al teatro di Treviglio e Rigoletto e Il trovatore a Ovada (Alessandria). Negli anni 1906-07 fu a Vienna per un perfezionamento pianistico con Ignaz Brüll, a quell’epoca ritirato dalla vita concertistica, ma sempre autorevole per gli stretti rapporti avuti con Johannes Brahms e il suo circolo viennese: in quegli anni studiò «furiosamente» il pianoforte, come scrisse in uno schizzo autobiografico (Torino, Biblioteca del Conservatorio, Archivio fondi musicali). Nel frattempo, completò gli studi di giurisprudenza laureandosi nel 1908; a trent’anni, nel 1913, conseguì i diplomi di pianoforte e di composizione al Conservatorio di Bologna e nello stesso anno sposò Irene Calandri (nel 1921 nacque il figlio Ludovico).
I suoi primi lavori (1910-20), fra cui una Sonata per pianoforte, alcune liriche da camera e un Quartetto d’archi, rivelano già un sicuro mestiere improntato al linguaggio tardoromantico di César Franck e Brahms; su La Critica musicale del dicembre 1918 Guido M. Gatti tracciò un affettuoso ritratto di Perrachio, presentando un musicista che non aveva ancora pubblicato nulla; a Gatti è dedicato un Quintetto per archi e pianoforte composto nel 1919.
Alla fine della prima guerra mondiale avvenne in Perrachio una svolta importante che si può riassumere nella rivelazione di Claude Debussy e Maurice Ravel, testimoniata, oltre che dalla pubblicazione, nel 1924, del saggio L’opera pianistica di Claudio Debussy, da un paio di lavori per pianoforte, i Nove poemetti (1917-20) e i Quattro autunnali del 1921, dove si mette in luce una sorta d’impressionismo, si direbbe, sereno e domestico, non inquietato da parvenze simbolistiche malgrado i titoli evocativi (Zefiro, Libellule, Danzatrici a Lesbo), ancorato a melodie di matrice popolare e a un quadro armonico personale di ariosa finezza. Allo stesso tempo si affermò l’altro aspetto peculiare di Perrachio, la vocazione didattica: tutta risolta in esperienza pratica (influenzata dagli insegnamenti di Tobias Matthay), con le raccolte di pezzi per pianoforte a quattro mani Il Re guardiano d’oche (1922) e La Luna (1925) dalle novelle di Hans Christian Andersen e dei fratelli Grimm, e in modo ancora più personale con i due successivi volumetti dei Canoni (1934). Cominciò allora il decennio più fecondo dell’attività di Perrachio, che si inserì così in modo non vistoso, ma efficace nella rinascita novecentesca italiana.
Musicista di grande perizia artigianale (componeva al tavolino, senza bisogno del riscontro al pianoforte), assai ricercato come insegnante privato, divenne una figura di punta nella Torino fra le due guerre, amico di Gatti, Giorgio Federico Ghedini, Vincenzo Davico, in contatto con Gian Francesco Malipiero e Alfredo Casella, che lo aveva in alta considerazione, stimato da illustri pianisti come Ricardo Viñes e Walter Gieseking. La sua azione a favore della musica moderna si concentrò specialmente nella collaborazione al Doppio Quintetto, fondato nel 1920 sul modello del Doppio Quintetto di Parigi, di cui divenne direttore stabile nel marzo 1922; come pianista assieme al Quartetto Pro Arte di Bruxelles portò in tournée la prima esecuzione italiana del Quintetto con pianoforte di Ernest Bloch, dirigendo in Italia e all’estero programmi di musiche nuove (Casella, Hindemith, Debussy, Busoni) o da lui espressamente composte: come, per esempio, le Quattro danze per doppio quintetto d’archi.
Frattanto veniva liberandosi dall’eredità debussiana puntando a una concezione più architettata della forma, già evidente nella più asciutta scrittura del trittico pianistico Preludio Sarabanda Toccata (1923) e soprattutto nelle Sonate popolaresche italiane (1925-26), la più importante delle quali, la Sonata per arpa (dedicata a Clelia Gatti Aldrovandi e l’unica pubblicata, nel 1928), sfrutta con ingegnosa maestria temi popolari di varie regioni italiane. Ma l’opera che lo rappresenta in modo più riassuntivo è la raccolta dei 25 Preludi (1929), dove al perdurare dell’intimismo elegiaco (n. 11: «Alla memoria di mio Padre») si unisce il contrasto con la ritmica ostinata, l’energia massiccia di accordi dalle aspre dissonanze sul tipo dei Nove pezzi di Casella. Importante a definire questo periodo è pure l’ininterrotta consuetudine con l’opera di Bach, che oltre a un saggio analitico sul Clavicembalo ben temperato (Torino-Parma 1947, completo rifacimento di un saggio pubblicato a Milano nel 1926), produsse un frutto ragguardevole nelle magistrali trascrizioni pianistiche di Sei Corali per organo (1931).
Sempre vicino a Gatti, scrivendo assiduamente sulla rivista Il Pianoforte e poi su La Rassegna musicale, fu un suo prezioso collaboratore anche nell’attività del teatro di Torino di Riccardo Gualino (1925-30); negli stessi anni insegnò pianoforte al Liceo musicale della città, quindi pianoforte complementare per compositori quando l’istituto diventò Conservatorio. Nel 1937 si accostò per l’unica volta al teatro d’opera con Mirtilla (mai rappresentata), libretto di Nino Costa, una fosca vicenda di lotte feudali in cui la giovane popolana eponima trova la morte. Dal 1940 al 1955, sempre al Conservatorio di Torino, insegnò composizione, sostituendo dall’agosto al novembre 1943 Lodovico Rocca alla direzione dell’istituto. Gli ultimi anni, assieme alle schubertiane Valses per pianoforte (1953), videro intensificarsi l’attenzione, mai interrotta in verità, per le musiche popolari piemontesi in una raffinata ‘liederistica’ in dialetto, di cui era profondo conoscitore: apparvero così Sette neuve canson (1953), Canzon per coro (1956), Tre canzoni piemontesi fiorite e variate (1958). Costretto all’immobilità da una malattia, continuò fino all’ultimo l’insegnamento privato.
Morì a Torino il 6 settembre 1966.
Opere. Poche furono le opere stampate durante la vita di Perrachio: da Pizzi & C. di Bologna, da Gori e da Augusta di Torino, da Curci, Ricordi e Carisch di Milano. Solo i 25 Preludi e i 6 Corali d’organo (da J.S. Bach) pubblicati da Ricordi nel 1929 e 1931 sono stati ristampati dallo stesso editore nel 1954 e nel 1983; nel 2000 l’editore Giancarlo Zedde di Torino ha pubblicato la Seconda Sonata popolaresca italiana per violino e pianoforte. La maggior parte della produzione di Perrachio è rimasta manoscritta, depositata nella Biblioteca del Conservatorio di Torino. Oltre ai brani citati e ad abbozzi o pagine incompiute, sono da ricordare alcune composizioni per orchestra: Tre notturni a Giuseppe Verdi (1929), Taccuino (1930), Piccola suite (1930, dedicata a Casella), Concerto per pianoforte (1931-32), Concerto per violino (1932), Temi con variazioni: due miti (1944), il balletto La calunnia (1952), la cantata Il creato (1961).
Scritti, oltre a quelli citati: Trattato di armonia elementare pratica (con un volume complementare: Bassi realizzati), Torino 1927; Bele fije e galantin, Torino 1951; I principi fondamentali della composizione musicale, Roma 1951; Chansonnier valdotain, a cura di A. Berthet (armonizzazione delle melodie di Luigi Perrachio), Torino 1960.
Fonti e Bibl.: G.M. Gatti, L. P., in La Critica musicale, I (1918), pp. 229-235 (e in G.M. Gatti, Musicisti moderni d’Italia e di fuori, Bologna 1920, pp. 87-98); M. Castelnuovo-Tedesco, L. P. Nove poemetti, in Il pianoforte, II (1921), pp. 253 s.; A. Casella, Jeunes et indépendants, in La Revue musicale, VIII (1926-27), 3, pp. 62-70; G. Pannain, L. P.: 25 Preludi, in La Rassegna musicale, II (1929), pp. 501 s.; M. Saint-Cyr, L. P., in Rassegna dorica, III (1932), pp. 191-194; E. Desderi - G.M. Gatti - P. Rattalino, Ricordo di L. P., in Musicalbrandé, VIII (1966), 32, pp. 2-5; M. Mila, Ricordato con un concerto il musicista torinese P., in La Stampa, 14 marzo 1968; A. Basso, Il Conservatorio di musica Giuseppe Verdi di Torino, Torino 1971, pp. 128, 137 s., 142 s.; R. Zanetti, La musica italiana nel Novecento, Busto Arsizio 1985, I, pp. 258-260, II, pp. 833 s.; A. Piovano, Aspetti armonici e considerazioni stilistiche nella musica cameristica di L. P., in Tradizione popolare e linguaggio colto nell’Ottocento e Novecento musicale piemontese, Torino 1999, pp. 219-235; R. Cognazzo, Introduzione, in L. Perrachio, Seconda Sonata popolaresca italiana, Torino 2000; G. Pestelli, Opera di P. al Piccolo Regio: un melo-dramma dove c’è anche odor di vino, in La Stampa, 13 febbraio 2000; J.C.G. Waterhouse, L. P., in The new Grove dictionary of music and musicians, XIX, London-New York 2001, pp. 452 s.