PAPO, Luigi
(Luigi Papo de Montona). – Nacque il 23 giugno 1922, da Guglielmo e da Maria Gregori, a Grado (Gorizia), luogo di origine della madre.
Visse inizialmente a Montona, borgo dell’Istria interna dove il padre gestiva una farmacia. Proveniente da una famiglia apertamente irredentista, era nipote della maestra Luisa Moratto, patriota internata in Austria, sposò prima della guerra la figlia del medico condotto di Montona, Vittorina De Franceschi, da cui ebbe i figli Maura e Paolo.
Dal dopoguerra, come esule giuliano, visse a Roma dove pubblicò numerosi interventi e volumi su foibe, esodo, storia e tradizioni italiane dell’Istria, diventando una delle figure di maggior rilievo nel dibattito pubblico e politico nazionale su questi temi. Scrittore militante e attivista nel panorama degli esuli giuliani, Papo pubblicò quasi tutti i suoi scritti come Luigi Papo de Montona e, nei primi anni del dopoguerra, con lo pseudonimo Paolo De Franceschi. Scrisse due monografie su Montona (Montona, Padova 1974 e Sòlfora: Montona tra realtà e sogno, Trieste 1975), antico castelliere romanizzato poi avamposto della Repubblica di Venezia, a lungo abitata da una popolazione di lingua e cultura italiane, ma inserita in un’area di sovrapposizione tra identità e parlate romanze e, prevalentemente, slave. A Montona, dove il padre Guglielmo era una figura eminente del Partito e dell’associazionismo fascista, Papo frequentò le scuole elementari, per poi studiare al ginnasio Gian Rinaldo Carli di Pisino, scuola e cittadina segnate da una storia di rapporti etnici particolarmente tesi tra italiani e croati.
La dimensione storica e culturale in cui si formò influì sulla sua forte attitudine patriottica, densa di venature irredentiste, e probabilmente condizionò la sua scelta di arruolarsi in guerra come volontario, ancora minorenne e appena cominciati gli studi universitari a Trieste. Durante la seconda guerra mondiale combatté in Africa settentrionale con il 3° reggimento granatieri di Sardegna; ammalatosi e riportato in Italia, quando rientrò in servizio fu impegnato a difesa dei convogli ferroviari per la Grecia. Dopo l’armistizio (8 settembre 1943) fu catturato in Istria, ma subito rilasciato dai partigiani a guida jugoslava, contro cui combatté ponendosi, suo malgrado, al servizio dell’apparato tedesco, che nell’ottobre del 1943 si instaurò nella Venezia Giulia sottraendola al controllo della RSI (Repubblica Sociale Italiana) e inserendola nella Zona d’operazioni del Litorale adriatico.
A Montona Papo ricostituì il Fascio e raccolse un gruppo di volontari che come Guardia nazionale repubblicana confluì nella MDT (Milizia Difesa Territoriale) voluta dai tedeschi (la loro Landschutz Miliz). Commissario del Fascio e capo del locale presidio della MDT, fu anche al comando della 3a compagnia del 2° reggimento Istria della MDT stessa, in seguito aiutante maggiore del I battaglione e uno dei due responsabili della propaganda del reggimento.
L’insurrezione partigiana del 1943 e l’assunzione del potere da parte delle forze partigiane jugoslave nel 1945 furono accompagnate da numerosi eccidi, in Italia conosciuti come foibe dal nome delle cavità carsiche dove furono gettate molte delle vittime. Papo ne fu uno dei primi e più assidui narratori; fu inoltre uno dei principali animatori del dibattito politico e, per certi aspetti, storiografico, sulle violenze compiute dai partigiani in quelle zone, con opere quali Criminali e Liberatori (Roma 1948), Foibe (Udine 1949) e Insegnamenti delle foibe istriane (Roma 1951), fino alle minuziose rievocazioni L’Istria e le sue foibe e L’Istria tradita (pubblicati entrambi a Roma nel 1999).
Nel volume parzialmente autobiografico L’ultima bandiera. Storia del reggimento “Istria” (Trieste 2000) Papo ha ripercorso i combattimenti in Istria, pur soffermandosi appena sulla feroce repressione tedesca nel riprendere il controllo della Zona nell’ottobre del 1943 e omettendo le uccisioni sommarie, le devastazioni e le atrocità condotte assieme da tedeschi e italiani, cui egli stesso partecipò.
Tra il 1943 e il 1945 in Istria la guerra rese insanabili quelle divisioni ideologiche, sociali ed etniche che si erano formate nella tensione politica al tempo dell’appartenenza all’Austria-Ungheria, per poi intensificarsi nel primo dopoguerra e negli anni del regime fascista. Il bilinguismo della popolazione slava e l’alfabetizzazione in lingua italiana, che anche prima del fascismo erano segno di un ordine sociale simile a quello di altre regioni plurilingue europee, vennero interpretati da Papo come l’evidenza di una ‘leggenda’ da sfatare, quella «sui diritti degli slavi dell’Istria» (Montona, p. 135). Sfidando ogni evidenza, Papo sostenne che durante il fascismo «non ci fu una imposizione» dei cognomi italiani (p. 121) e, a proposito della «soppressione delle scuole e della stampa slava», scrisse che «l’Italia istituì scuole, non ne soppresse, portò la cultura là dove prima imperava l’analfabetismo e gli allogeni slavi – dimentichi ormai della terra d’origine, fieri di essere stati sudditi veneti, fieri di essere divenuti cittadini italiani nonostante più di un secolo di propaganda antitaliana svolta dall’Austria –, frequentavano le scuole italiane ed andarono fieri della cultura che loro veniva data» (p. 121). La responsabilità delle tensioni interetniche sarebbe stata, per Papo, di «qualche propagandista slavo che seminò odio nelle campagne» (p. 146). In difesa dell’italianità dell’Istria «il nemico da combattere era lo slavo» (L’ultima bandiera, p. 143), e tra questi il nome di Papo divenne tristemente noto in particolare nell’area attorno a Montona, dove le squadre da lui comandate prelevarono, torturarono e fecero internare in Germania, dove poi sarebbero morti, vari sospetti partigiani (Karojba i okolica, 1983, p. 142).
La Commissione di Stato jugoslava per l’accertamento dei crimini di guerra degli occupanti e dei collaborazionisti mise per questo sotto accusa Papo, che per il suo coinvolgimento diretto e il ruolo di comando avuto fu accusato anche di saccheggio, incendio e distruzione di proprietà e di aver comandato l’uccisione e la tortura di partigiani e civili disarmati. Papo fu quindi inserito tra i 3798 criminali di guerra italiani, ma non tra i 768 di cui fu richiesta l’estradizione attraverso l’apposita commissione istituita dalle Nazioni Unite.
Dopo la smobilitazione fu catturato a Trieste dai partigiani, che lo condussero al carcere triestino del Coroneo per poi deportarlo nel campo sloveno di Prestranek, dove non fu riconosciuto e dopo un mese di dura prigionia fu liberato, come racconta in Prestrane. Diario di un condannato a morte (Gorizia 1984, pp. 97 s.). Nascostosi inizialmente a Trieste, raggiunse Grado, poi Milano e Roma dove, sotto falso nome, collaborò con l’Associazione schedario mondiale dei dispersi e partecipò alla fondazione del Comitato (poi Associazione) nazionale Venezia Giulia e Zara e alla sua rivista Difesa adriatica (E fu l’esilio. Una saga istriana, Trieste 1997). In seguito fu direttore del Centro studi adriatici, vicepresidente dell’Unione degli Istriani e attivo nelle associazioni di ex combattenti e d’arma. Fu anche consulente e figura di spicco in aziende e consorzi legati al settore turistico e gastronomico e autore di diverse pubblicazioni in tale ambito, in particolare dedicate al brandy (Il brandy dall’a alla zeta, Roma 1967; Antologia del brandy italiano, Roma 1972), ma anche alla grappa e al marsala e ai rischi legati al consumo di alcool.
L’opera più nota di Papo è Albo d’Oro. La Venezia Giulia e la Dalmazia nell’ultimo conflitto mondiale (Trieste 1989, ed. ampliata Trieste 1994), in cui ha raccolto i dati sui caduti civili e militari della e nella Venezia Giulia prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale, dando forte risalto a «foibe ed eccidi slavi» e «campi di concentramento», le cui vittime sono enumerate, in una sezione statistica che introduce il volume, attraverso le «salme esumate», quelle «accertate» e un numero altissimo di «vittime presunte» (1994, pp. 23-27). Tra i campi sono omessi Arbe (Rab) e Gonars, gestiti dall’esercito italiano e dove molti trovarono la morte. Non compare in questa statistica nemmeno la Risiera di San Sabba, gestita dai tedeschi, indicata però come luogo di decesso negli elenchi nominativi all’interno del volume, nelle sezioni su L’Olocausto degli ebrei e sulle Vittime civili dei tedeschi. Le altre sezioni dedicate espressamente ai civili, a parte due brevi sezioni dedicate alle vittime per «cause varie», sono quelle sui Civili vittime dei tedeschi: deportati, sui Civili vittime dei bombardamenti e le due sezioni dedicate ai Civili vittime degli slavi. Nel volume prevalgono tuttavia le vittime militari, che sono enumerate secondo l’Arma di appartenenza e il fronte di guerra. Le liste, incomplete, dei caduti partigiani sono incluse nelle sezioni delle vittime dei tedeschi e non in una sezione dedicata, mentre sono elencati integralmente i deceduti appartenenti alle formazioni della RSI, della Decima MAS, della Guardia nazionale repubblicana e della MDT.
Nel volume gli italiani appaiono quindi come vittime dei tedeschi, dei bombardamenti alleati, di slavi e partigiani, con pesanti omissioni sulle violenze e responsabilità di fascisti e militari italiani. Ciononostante il libro è diventato il testo ufficiale di riferimento adottato dalla Commissione ministeriale per l’assegnazione delle onorificenze ai familiari degli infoibati, tra i quali sono prevalsi, a oggi, i membri delle forze armate e di polizia attivi in Istria tra 1943 e 1945, rispetto a civili e istriani in genere.
Morì a Roma il 10 maggio 2010.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, Fondo Luigi Papo (1933-1993); Trieste, Archivio storico dell’Unione degli Istriani, Fondo Luigi Papo (1960-1997); Belgrado, Arhiv Jugoslavije (Archivio della Jugoslavia), Državna komisija za utvrđivanje zločina okupatora i njihovih pomagača (Commissione di Stato per l’investigazione dei crimini degli occupanti e dei loro collaboratori), 110, f. 165 (12593); The State commission for the investigation of war crimes. Report on italian crimes against Yugoslavia and its people, Belgrade 1946; le notizie anagrafiche sono ricavabili dall’Archivio parrocchiale di Montona d’Istria e dall’archivio del Comune di Grado.
Karojba i okolica, zbornik (Caroiba e dintorni), I, Karojba 1983; G. Perselli, I censimenti della popolazione dell‘Istria, con Fiume e Trieste, e di alcune città della Dalmazia tra il 1850 e il 1936, Trieste-Rovigno 1993; M. Zečević - J. Popović, Dokumenti iz Istorije Jugoslavije (Documenti della storia jugoslava), III, Državna komisija za utvrđivanje zločina okupatora i njihovih pomagača (La Commissione di Stato per l’investigazione dei crimini degli occupanti e dei loro collaboratori), Beograd 1999; P. Radivo, L. P. de Montona, in Atti e Memorie della Società istriana di archeologia e storia patria, n.s., LVIII (2010), pp. 439-441.