FECIA (Fecia di Cossato), Luigi
Nacque a Biella l'8 genn. 1800, di antica famiglia nobile biellese, figlio secondogenito del conte Carlo Maria Giacinto e di Caterina Arborio Biamino.
Il F. si presentò giovanissimo come aggregato esterno agli esami presso la Reale Accademia militare, e li superò ottenendo la nomina a sottotenente di fanteria il 26 dic. 1817. Presto passò nel corpo di stato maggiore dell'esercito sardo, dove prosegui la carriera, giungendo al grado di colonnello nel 1847. All'inizio del 1848 comandò per un breve periodo il 17º reggimento di fanteria, ma nel marzo, non appena iniziò la guerra contro l'Austria, fu nominato sottocapo di stato maggiore.
Nel combattimento del ponte di Goito, condotto dal generale E. Bava contro gli Austriaci del maresciallo Radetzky in aprile, il F. si distinse, meritando la menzione onorevole e la medaglia d'argento al valor militare.
Alquanto contrastanti furono invece i pareri sul suo operato quale sottocapo di stato maggiore. Duro fu il giudizio espresso sul F. da uno dei protagonisti del Risorgimento milanese, il conte L. Torelli, il quale nelle sue memorie lo annoverò, insieme con il generale C. Canera di Salasco, tra quegli uomini freddi e compassati che "piuttosto che soldati, dovean divenir frati" (cit. da Pieri, p. 278). Indubbiamente l'aspra condanna trova la sua motivazione anche nel risentimento dei patrioti lombardi contro chi collaborò con il re nel deludere le loro aspettative. Il F., tra l'altro, ebbe l'ingrato compito di comunicare ai comandi dei volontari che guidavano la rivolta a Brescia, Peschiera e Venezia la notizia dell'armisfizio firmato a Milano il 9 ag. 1848, che restituiva agli Austriaci la regione.
Carlo Alberto continuò a nutrire la massima fiducia nel F., tanto da confermarlo l'anno successivo sottocapo di stato maggiore, stavolta con il grado di maggiore generale, e da nominarlo suo aiutante di campo in vista della seconda fase della guerra, dopo la rottura dell'armistizio di Milano. Il 23 marzo 1849 l'esercito sardo subi per opera di Radetzky una cocente sconfitta a Novara; per il valore dimostrato in tale battaglia il F. fu fregiato di una seconda medaglia d'argento. Lo stesso giorno il re gli affidò il delicato incarico di svolgere le trattative per l'annistizio. Tale vicenda fu poi descritta dal F. in un memoriale preparato nel 1851 per incarico del ministro della Guerra A. Ferrero de La Marmora (cfr. Degli Alberti).
Il primo sondaggio condotto alla Bicocca presso il generale H. Hess fu molto scoraggiante: il capo di stato maggiore austriaco rivendicò la cessione da parte piemontese della Lomellina e di Alessandria, condizioni che lo stesso F. giudicò inaccettabili; di fronte a esse, infatti, Carlo Alberto decise di abdicare, anche nella speranza che tale mossa spingesse gli Austriaci a più moderate richieste.
Vittorio Emanuele II, mantenendo la fiducia nell'abilità diplomatica del F., gli confermò Nricarico di negoziare l'armistizio. Questa volta però il generale chiese di essere accompagnato da una personalità politica, poiché non voleva assumere da solo la responsabilità di condurre una trattativa, sia pure come portavoce del re, in cui erano in gioco i destini dei Savoia. La scelta cadde sul ministro della Pubblica Istruzione C. Cadorna. Il 24 marzo i due delegati si recarono al comando austriaco, dove constatarono con disappunto che Radetzky non aveva modificato, nonostante l'abdicazione di Carlo Alberto, le condizioni di armistizio. In privato Hess propose al F. l'appoggio dell'esercito austriaco alle truppe sabaude per mantenere, nella precaria situazione politica, l'autorità del nuovo sovrano. Il F. si schermì affermando che non era di sua competenza discutere tali questioni, mentre ribadi l'auspicio che l'abdicazione del re inducesse Radetzky a una maggiore moderazione. Ma le condizioni furono solo leggermente mitigate e due giorni dopo il F. accompagnò Vittorio Emanuele a Vignale, dove Radetzky lo attendeva per la firma dell'armistizio. Nel frattempo Hess, non avendo ricevuto ancora l'ordine di sospendere le ostilità, aveva comandato di iniziare il bombardamento di Novara. Il F. di ritorno da Vignale accompagnato da La Marmora, giunto nei pressi della città, intervenne tempestivamente, mostrando al generale austriaco il testo dell'armistizio appena firmato.
Subito dopo la cessazione del conflitto il F., sebbene avesse più volte escluso qualsiasi suo coinvolgimento politico, non fu estraneo all'opera di persuasione svolta particolarmente dai generali La Mannora e G. Durando su Vittorio Emanuele II, affinché egli mantenesse lo statuto liberale elargito dal padre. A ciò il F. fu spinto probabilmente non tanto da simpatie verso il movimento liberale quanto dalla preoccupazione di salvare la monarchia sabauda dal pericolo rivoluzionario. Effettivamente il giuramento prestato il 28 marzo da Vittorio Emanuele allo statuto albertino contribuì a tranquillizzare gli animi.
Nell'estate del 1849 al F. fu affidato il comando della Reale Accademia militare, che egli tenne fino al 1857.
Nel 1853, verso la fine della IV legislatura, fu eletto per il collegio di Cossato e di Bioglio nel Parlamento subalpino, in sostituzione di G. Sella, che si era dimesso. Confermato nella V e nella VI legislatura, fu per dedicarsi a tempo pieno all'attività politica che decise di lasciare nel 1857 il comando dell'Accademia di Torino. Nel giugno 1859 invece, ricevuta la nomina a luogotenente generale al comando della divisione di Modena, allora in via di costituzione, preferì abbandonare la carica di deputato.
Nell'attività parlamentare si segnalò per l'accesa opposizione al progetto di riforma della legge sul reclutamento dell'esercito proposto da La Marmora nel 1857, che tendeva a estendere l'obbligo del servizio di leva, per ovviare ai vuoti nelle classi che, a causa degli eccessivi esoneri, erano stati registrati durante la campagna di Crimea. L'opposizione delle file conservatrici, in cui il F. militava, paventando l'idea di una guerra contro l'Austria combattuta a fianco dei democratici, avversava la proposta di legge che si sarebbe tradotta in una diretta provocazione contro l'esercito austriaco. Al F. spettò di argomentare con motivi tecnici il dissenso dell'opposizione. La legge fu approvata a larga maggioranza.Nell'Italia unita il F. proseguì la carriera militare, passando dal comando della divisione di Modena rispettivamente a quello delle divisioni di Torino, Livorno e Genova. In quegli stessi anni assisteva ai progressi nella carriera militare del figlio Luigi che, giovanissimo, si era distinto nel 1860 nella campagna d'Umbria e nella presa di Mola di Gaeta.
Nel 1863 il F. chiese il collocamento a riposo per ragioni di età. Morì nella sua dimora di Cossato (Biella) il 23 genn. 1882.
Fonti e Bibl.: Necrologio, in La Stampa, 24 genn. 1882; Comando del corpo di stato maggiore. Ufficio storico, Relazioni e rapporti finali sulla campagna del 1849 nell'Alta Italia, Roma 1911, ad Indicem; Id., Il primo passo verso l'Unità d'Italia (1848-1849), Roma 1948: articoli di F. S. Grazioli, Le operazioni militari del 1848 (riferimenti a pp. 48 s.), e C. Geloso, Le operazioni militari del 1849, pp. 83-97; M. Degli Alberti, L'armistizio di Novara (26 marzo 1849), in Rass. stor. del Risorgimento, V (1918), che contiene il memoriale scritto dal F. nel 1851, pp. 360-372; A. Filipuzzi, La pace di Milano (6 ag. 1849), Roma 1955, pp. 20-29; E. Di Nolfo, Storia del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, VI, Milano 1959, pp. 623 ss.; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, pp. 276 ss., 311, 344 s. Cfr. inoltre Enc. milit., III, p. 676; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale. Profili e cenni biografici, Roma 1896, sub voce Cossato; V. Spreti, Enc. storico nobiliare ital., III, ad vocem; App., II, p. 78.