TAVERNA, Ludovico
– Nacque a Milano nel 1535, figlio naturale legittimato di Francesco, gran cancelliere del Ducato di Milano e conte di Landriano; non si conosce il nome della madre.
Nulla sappiamo della sua giovinezza, anche se possiamo supporre che dovette ricevere un’educazione adeguata al rango di rampollo di un altissimo funzionario imperiale. Nel marzo del 1553 ottenne dall’arcivescovo di Milano la dispensa per prendere la prima tonsura e i quattro ordini minori. L’anno seguente intraprese gli studi di diritto presso l’Università di Pavia, dove si laureò in utroque iure nel settembre del 1560. Non sappiamo se e in che misura egli risentì dell’arresto del padre – vero e proprio deus ex machina della politica milanese – accusato nel 1556 di aver falsificato documenti imperiali. A ogni modo, nel 1561, essendo ormai morto il padre, complice la presenza sul soglio papale del milanese Pio IV, abbracciò la carriera ecclesiastica presso la Curia romana come referendario delle due Segnature. L’anno seguente, con l’appellativo di Il Constante, fu tra i giovani prelati e gentiluomini che parteciparono all’Accademia delle Notti Vaticane fondata dal cardinale nipote Carlo Borromeo. Nel 1563 acquistò l’ufficio di abbreviatore de parco maiori.
La carriera curiale di Taverna si esplicò nel governo di diverse città dello Stato ecclesiastico. Nel corso del 1564 fu governatore di Città di Castello e l’anno seguente venne ordinato sacerdote. Fu in seguito governatore di Camerino (1568-69), referendario della Segnatura di Grazia (1569) e governatore di Fermo (1570-71). Il primo salto di qualità fu la nomina decisa da Gregorio XIII all’importante carica di governatore di Roma, con quella annessa di vicecamerlengo, che ricoprì dall’agosto 1573 al dicembre 1576. Proprio nel corso del 1576 Taverna assunse l’ufficio, di ancor maggior rilievo, di tesoriere generale della Camera apostolica. È interessante notare che egli fu il primo tesoriere ad avere compiuto studi giuridici, a essere stato referendario delle due Segnature, nonché governatore di varie città dello Stato pontificio. Lasciò l’incarico allorché, il 9 dicembre 1579, il pontefice lo nominò vescovo di Lodi.
In ossequio ai suoi legami con Carlo Borromeo e alla sua linea, Taverna, munito di una serie di apposite facoltà concessegli dal pontefice, si recò nella sua diocesi per attuarvi i decreti tridentini. Tuttavia, nel gennaio del 1581, Gregorio XIII lo designò nunzio alla corte di Madrid dove giunse nell’ottobre di quello stesso anno. La missione era fra le più delicate che si potessero assegnare all’abile prelato, privo peraltro di esperienza diplomatica, visti gli aspri conflitti giurisdizionali che allora contrassegnavano i rapporti tra i rappresentanti papali e le autorità politiche dei regni iberici. La situazione era resa alquanto complicata, da un lato, dagli interessi spesso divergenti di Filippo II e della S. Sede in questioni cruciali della politica internazionale (impresa contro l’Inghilterra, rivolta dei Paesi Bassi e conquista del Portogallo) e, dall’altro, dalla lentezza dei processi decisionali nella corte del re cattolico. In special modo i rapporti tra il Consejo real di Castiglia e i ministri papali erano pessimi a causa dell’intricata materia giurisdizionale, fonte di appelli a Roma e di nuovi conflitti.
Nelle istruzioni impartitegli da Gregorio XIII il nuovo nunzio avrebbe dovuto, fra l’altro, occuparsi di alcune delicate questioni: sollecitare l’invio di un nunzio in America; evitare la proroga della tregua con l’Impero ottomano; promuovere la spedizione militare contro l’Inghilterra vincendo le resistenze del sovrano e dei suoi ministri; ottenere la restituzione di 50.000 scudi che il suo predecessore, monsignor Filippo Sega, aveva prestato al governatore dei Paesi Bassi, don Juan de Austria; impedire che si mettesse mano alla causa contro il priore di Crato e gli altri ecclesiastici portoghesi che avevano combattuto contro l’esercito di Filippo II, al fine di tutelare, ancora una volta, la giurisdizione ecclesiastica; e infine favorire gli interessi del nipote laico del papa, Giacomo Boncompagni.
Solo nel gennaio del 1582 Taverna giunse a Madrid, ove dovette attendere di essere ricevuto dal sovrano, che si trovava a Lisbona. L’attività del nunzio non cominciò sotto i migliori auspici: la richiesta di Gregorio XIII affinché egli pubblicasse nei regni spagnoli la bolla In Coena Domini ebbe come unico risultato che Filippo II, nell’autunno del 1582, reiterò le sue disposizioni affinché essa non avesse luogo, obbligando Taverna ad ammettere con Roma la sua impotenza a procedere. Negli stessi mesi, al fine di impedire nuove azioni legali da parte dei tribunali regi in materia di spogli del clero, Taverna assunse anche la carica di collettore apostolico. Per quanto riguarda l’impresa contro l’Inghilterra, questione che, dopo la conquista del Portogallo, catalizzava l’attenzione di Gregorio XIII, Taverna si scontrò con le preoccupazioni di Filippo II e dei suoi ministri. Pertanto, nell’autunno del 1583, il pontefice decise di affiancare al prelato un nunzio straordinario: la scelta cadde proprio sul suo predecessore, monsignor Sega. Il papa era disposto a concedere come finanziamento per l’impresa un prelievo straordinario di 400.000 ducati sui beni e i redditi del clero dei regni iberici, ma il sovrano si mostrò più interessato a incamerare il denaro e altri eventuali sussidi papali che a muover guerra all’Inghilterra e il negoziato finì per impantanarsi.
Dopo l’elezione di Sisto V (aprile 1585) i giorni della nunziatura spagnola erano contati. Già nel febbraio del 1586 fu nominato un collettore apostolico e, nei mesi successivi, Taverna fu sostituito nell’incarico dal milanese Cesare Speciano, vescovo di Novara. Tornò a Lodi nel corso del 1586, dove si dedicò al governo della diocesi, compiendo la visita pastorale e facendo avviare importanti lavori nella cattedrale e nel palazzo vescovile. Sulla scia dell’esempio borromaico si preoccupò di riformare il capitolo, aumentando il numero delle prebende e istituendo fra l’altro le dignità di penitenziere e teologo, e di erigere la cattedrale a parrocchia. Nel 1591 celebrò una nuova visita pastorale, al termine della quale si tenne il sinodo diocesano, di cui fece stampare i decreti rivisti da Carlo Bascapè, generale dell’Ordine dei barnabiti e già stretto collaboratore di Borromeo. Per volontà di papa Clemente VIII divenne poi nunzio presso la Repubblica di Venezia dal febbraio 1592 al marzo 1596.
Il compito assegnatogli in una sede prestigiosa, quanto difficile, non era affatto semplice: le istruzioni al nunzio, infatti, richiedevano che egli difendesse a spada tratta la giurisdizione ecclesiastica, sovrintendesse alle questioni del S. Uffizio e alla tassazione del clero veneto, mantenesse buoni rapporti con l’episcopato veneziano e la piena autonomia della nunziatura da ogni ingerenza del governo. Clemente VIII si mostrò fermo assertore delle prerogative ecclesiastiche nei confronti della Serenissima, al punto da richiamare a Roma il nunzio per ben quattro mesi nel corso della seconda metà del 1592, a causa dei tentennamenti del Senato ad appoggiare la politica papale di repressione del banditismo nello Stato ecclesiastico. Il famoso bandito Marco Sciarra, per esempio, trovava nelle terre della Repubblica riparo e protezioni autorevoli.
Fra le numerose questioni di cui Taverna si occupò durante la sua nunziatura vale la pena ricordare le trattative relative all’estradizione a Roma del domenicano Giordano Bruno, accusato di eresia e arrestato dall’inquisitore veneziano nel maggio del 1592.
Nel corso del 1596 Taverna ritornò a Lodi, dove sarebbe rimasto per quasi due decenni, rifiutando di recarsi nuovamente come nunzio a Madrid a causa dell’età avanzata. Tuttavia non cessò di servire la S. Sede: nel 1596-97 fu incaricato dell’amministrazione dei castelli di Stazzano e Carezzano, nel Tortonese, il cui governo temporale era conteso tra il vescovo-feudatario di Tortona e il governo di Milano. A Lodi il prelato si dedicò, in particolare, alla riforma dei religiosi e, nel 1605, introdusse i barnabiti nella chiesa di S. Giovanni alle Vigne, appartenuta agli umiliati. In almeno due occasioni, Clemente VIII utilizzò Taverna per questioni politiche: nel marzo del 1601 fu inviato a Perugia per mediare tra il vescovo e il Collegio delle arti e, nell’ottobre successivo, compì una missione a Milano per trattare di questioni giurisdizionali.
Dopo aver rinunciato alla diocesi di Lodi nel maggio del 1616 a causa dell’età avanzata ed essendosi riservata una pensione di 1000 scudi sulle entrate della mensa vescovile, Taverna si ritirò a Milano, dove morì il 3 giugno 1617. Fu tumulato in un primo tempo nella chiesa milanese di S. Maria della Passione e quindi nel duomo di Lodi. Suo erede universale fu il pronipote Cesare II Taverna, conte di Landriano.
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