GUARCO, Ludovico (Lodisio)
Nacque quasi sicuramente a Genova da Montanaro, si ignora il nome della madre. Molto probabilmente fu il secondogenito dei tre figli di Montanaro di cui si conosce l'esistenza: assai più del fratello Isnardo, infatti, il G. appare essere l'uomo di fiducia di Nicolò (doge dal 1378 al 1383), rivestendo importanti cariche militari e amministrative; la sua data di nascita si può quindi collocare ipoteticamente tra il 1325 e il 1330.
Il suo nome compare per la prima volta abbastanza tardi, agli inizi del 1380, quando il fratello Nicolò lo nominò, insieme con Annibaldo Lomellini, quale consigliere (con compiti soprattutto di controllo) di Gaspare Spinola di S. Luca, al quale aveva assegnato il comando delle forze genovesi impegnate nella laguna veneta in sostituzione di Pietro Doria, morto nei combattimenti.
Si era, allora, nel pieno della cosiddetta guerra di Chioggia, originata, nel 1376, dall'occupazione veneta dell'isola di Tenedo, all'imbocco dei Dardanelli, ritenuta dai Genovesi importantissima per i collegamenti con i loro insediamenti del Mar Nero. Seguendo un piano strategico già del suo predecessore Domenico Fregoso, Nicolò Guarco aveva deciso di attaccare i Veneziani non già nell'Egeo, ma nello stesso Adriatico, dove i Genovesi avrebbero potuto sfruttare l'aiuto del re d'Ungheria Luigi d'Angiò, del duca d'Austria e di alcuni signori della Terraferma veneta, a cominciare dal signore di Padova Francesco da Carrara e dal patriarca di Aquileia Marquardo di Randeck. Dopo varie imprese le forze genovesi, al comando di Pietro Doria, il 6 ag. 1379 avevano conquistato Chioggia, dopo un duro assedio, costringendo i Veneziani a chiedere la pace; Doria non seppe però sfruttare l'occasione e con le sue richieste esagerate pregiudicò il buon esito delle trattative, rafforzando nei Veneziani la determinazione a resistere fino all'ultimo. La distanza da Genova e la scarsa collaborazione degli alleati intralciarono notevolmente il seguito delle operazioni, tanto che nel giro di poco tempo i Genovesi - venuta meno l'opportunità di colpire direttamente Venezia - si trovarono, di fatto, accerchiati in Chioggia. Un tentativo di Doria di forzare il blocco venne respinto dopo un violento combattimento, nel corso del quale Doria morì e dieci galee andarono perdute, costringendo i Genovesi a restare appiedati e chiusi dentro Chioggia.
I tre, con un numeroso seguito di fanti e cavalieri, partirono da Genova agli inizi di febbraio del 1380, seguendo la via di terra, ritenuta più sicura. Essi giunsero a Chioggia, trovando una situazione disperata per cui, dopo avere inutilmente tentato di coordinare un'azione con la flotta che Matteo Marruffo aveva riportato in Adriatico agli inizi della primavera, riuscirono ad abbandonare la città e a imbarcarsi sulle galee genovesi. Lo Spinola, secondo gli ordini ricevuti alla partenza da Genova, ne assunse il comando e decise di vendicarsi dello scacco subito.
Il 26 giugno (lo stesso giorno in cui Chioggia era costretta ad arrendersi), la squadra genovese si presentò davanti a Trieste (da pochi anni sotto il dominio veneziano) e, grazie a un tradimento, riuscì a impadronirsene, consegnandola quindi al patriarca di Aquileia. I Genovesi si riportarono poi su Chioggia ma, visto lo stendardo di S. Marco sventolare sulle fortificazioni, preferirono ritornare verso la costa istriana. Pirano e Parenzo vennero attaccate senza successo, quindi le galee genovesi ripararono nella laguna di Marano, in territorio aquileiese. Qui l'ammiraglio veneto Carlo Zeno cercò di sorprenderle, ma esse riuscirono a sfuggirgli e a dirigersi verso Zara. Zeno le raggiunse e, il 23 settembre, pose il blocco alla città, ma, a questo punto, all'improvviso, egli pensò di modificare la condotta strategica fin qui seguita dai Veneziani, andando a colpire Genova direttamente nel suo mare. Difficile dire se nel suo piano figurasse anche un coordinamento con i numerosi avversari del doge Guarco; quel che è certo, tuttavia, è che, quasi contemporaneamente, scoppiava una rivolta nella Riviera di Levante, capeggiata dai Fregoso e da due capi ghibellini quali Spinetta Spinola e Simone Della Torre, quest'ultimo potente capofazione del Chiavarese.
Le galee genovesi, colte di sorpresa dalla partenza della flotta veneta, uscirono da Zara per darle la caccia, ma, anziché verso Sud, esse si diressero a Nord, pensando di incontrarla nel golfo di Trieste. Scoperto l'inganno, i Genovesi si vendicarono saccheggiando brutalmente Capodistria; quindi, rientrati a Zara, furono finalmente informati della rotta seguita dallo Zeno. Intuendo il pericolo, Gaspare Spinola si pose all'inseguimento, dopo avere lasciato sei galee nel capoluogo dalmata; il lungo viaggio fu compiuto in breve tempo perché, già il 23 ottobre, la flotta genovese compariva davanti a Portovenere, senza però essere riuscita a intercettare la flotta veneziana, rifugiatasi tra Livorno e Porto Pisano.
Una volta giunto a Genova, il G. fu nominato dal fratello capitano generale della Riviera di Levante, ricevendo, il 26 di quello stesso mese, pieni poteri per combattere i ribelli. Il 1° novembre egli uscì dalla città alla testa di un robusto corpo di milizie che, imbarcate sulle galee dello Spinola, sbarcarono davanti a Chiavari. Occupato il borgo, gli uomini del G. si diressero verso la villa di Lemo, dove si erano rifugiati i partigiani dei Fregoso, mettendoli in fuga. Alla vittoria egli fece seguire una dura repressione: molti avversari politici dei Guarco furono imprigionati, molti banditi, molti impiccati e, tra questi, lo stesso Simone Della Torre, uno dei capi della rivolta. L'impressione a Genova fu fortissima, anche perché non si era abituati a tanta ferocia.
Il G., comunque, si guadagnò fama di energico capitano e, quindi, il doge gli affidò - insieme con Isnardo - il comando della guarnigione del palazzo ducale, in gran parte composta da mercenari. I due ne ebbero il comando fino all'aprile 1383, quando, dopo aver tentato inutilmente di difendere l'edificio dagli attacchi dei partigiani dei Fregoso e di Antoniotto Adorno, furono costretti ad abbandonare la città e a rifugiarsi nella Val Polcevera, tra i loro seguaci.
L'elezione a doge di Leonardo Montaldo, buon amico della famiglia Guarco, permise al G. e ai suoi fratelli di fare ritorno a Genova ma, nel giugno 1384, la precoce morte del nuovo doge e la presa del potere da parte di Antoniotto Adorno, loro implacabile avversario, li costrinsero all'esilio. Il G. seguì Isnardo nel Levante, stabilendosi forse a Rodi, allora dominio dei cavalieri di S. Giovanni Battista, ma di lui per quasi un decennio si perdono completamente le tracce. Fece ritorno a Genova solo nei 1391, quando il nuovo doge Giacomo Fregoso lo richiamò in patria insieme con i fratelli, restituendo loro i beni sequestrati da Antoniotto Adorno. Quando però questi riprese il potere, nel giugno dello stesso anno, i Guarco furono nuovamente costretti a lasciare la città. In assenza di Isnardo, rimasto a Cipro al servizio di re Giacomo II di Lusignano, il G. assunse il comando della fazione e si diede subito da fare per cercare di organizzare l'opposizione armata ad Adorno.
Vero capo dei fuorusciti fu però il bellicoso vescovo di Savona, Antonio Viale (o de Via), che ottenne il sostegno dei Fieschi, il potente gruppo nobiliare che signoreggiava gran parte dell'Appennino alle spalle di Genova. Il 19 apr. 1392 il vescovo, alla testa di 600 fanti avuti da Carlo Fieschi, entrò in città, e a lui si unirono il G. insieme con il cognato, Battista Boccanegra, figlio del primo doge Simone. Adorno riuscì tuttavia a respingere l'attacco. Viale fu catturato e rinchiuso nel castello di Noli, mentre il G., ferito a un ginocchio, venne condotto su una nave che riuscì a prendere il largo, sfuggendo agli uomini del doge.
Egli raggiunse Rodi, dove si trattenne qualche mese, ma nella primavera successiva, guarito della ferita, fece nuovamente ritorno in Liguria dove nel frattempo Adorno era stato abbattuto e sostituito, al dogato, da Antonio Montaldo. A differenza del nipote Antonio, che divenne uno dei più stretti collaboratori del nuovo doge, il G. cercò di sostituirsi a lui, trovando ancora una volta il sostegno del bellicoso vescovo di Savona, con il quale, il 13 luglio 1393, egli entrò in armi a Genova, cercando di approfittare del tumulto provocato da Pietro Fregoso e Nicolò da Zoagli. Il suo tentativo però fallì in quanto, costretto Montaldo ad abdicare, il dogato fu dapprima occupato da Fregoso e, successivamente, nel giro di pochi giorni, da Clemente di Promontorio e Francesco di Garibaldo, finendo per ritornare ad Antonio Montaldo. Risultato fu che il G. si ritrovò messo al bando, insieme con il fratello Isnardo e i nipoti Antonio e Domenico.
Morì qualche anno dopo, probabilmente lontano da Genova, forse a Rodi o Cipro.
È ignoto il nome della moglie, dalla quale ebbe vari figli, il maggiore dei quali partecipò agli avvenimenti del 1392; di loro e della loro discendenza non si ha però alcuna notizia.
Fonti e Bibl.: Genova, Biblioteca civica Berio, m.r. IX.2.23: F. Federici, Scrutinio della nobiltà ligustica, s.v. Guarco; G. Stella - I. Stella, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVII, 2, pp. 182, 185, 188 s., 199, 205; L'"Officium Robarie" del Comune di Genova (1394-1397), a cura di A. Roccatagliata, Genova 1989, III, p. 971; A. Giustiniani, Castigatissimi annali…, Genova 1537, cc. CXLVII, CXLVIII, CXLIX, CLVI; L.A. Casati, La guerra di Chioggia e la pace di Torino… con documenti inediti, Firenze 1866, pp. 152-158; L.T. Belgrano, Tumulti in Genova nell'aprile del 1392, in Giorn. ligustico di archeologia, storia e letteratura, XVII (1890), pp. 142-145; L. Levati, Dogi perpetui di Genova, Genova 1929, p. 450; G. Balbi, Giorgio Stella e gli "Annales Genuenses", in Miscellanea stor. ligure, II, Milano 1961, p. 199.