GREGORINI, Ludovico
Nacque intorno al 1661, quasi certamente a Roma, dove svolse in prevalenza la sua attività di architetto, rappresentando efficacemente il momento di passaggio tra l'arte barocca e la temperie settecentesca. Grazie ai numerosi incarichi pubblici, fu soprattutto impegnato in quelle attività pratiche (stime, misurazioni, perizie) che assumevano sempre maggiore importanza nella professione dell'architetto: ciò non gli impedì, tuttavia, di elaborare una sintesi personale di alcuni temi tipologici e stilistici ereditati dai maestri del Seicento. Fu padre di Domenico, architetto, ed ebbe nel suo studio come collaboratori C. De Dominicis e P. Passalacqua, che portarono avanti fino alla metà del secolo XVIII esperienze progettuali di marca barocca.
Fu attivo in seno all'Accademia dei Virtuosi al Pantheon, di cui fu reggente nel 1722, quando vi fecero il loro ingresso il figlio Domenico e F. Juvarra.
Fra i principali incarichi pubblici, che assimilano la sua figura a quella di un funzionario, va ricordata innanzitutto la lunga attività in qualità di architetto sottomaestro delle Strade (Manfredi, 1991), con competenze relative alla sistemazione di spazi pubblici, supervisione dell'attività edilizia privata, perizie e stime. Il G. rimase in carica per quarant'anni (1683-1723) a controllo di molti rioni romani, fra cui in particolare Pigna, Campitelli, Trastevere, Ponte. Fra le testimonianze grafiche, si segnalano una pianta della piazza di S. Andrea della Valle (1694) e la rettifica di una strada nel rione Monti (1715). Tra il 1695 e il 1717 ebbe numerosi altri incarichi dal Tribunale delle strade, prevalentemente stime e ricognizioni: per la stessa magistratura progettò due nuovi ponti presso Valmontone (1716) e Zagarolo (1720), di modesta entità; diresse inoltre lavori di riparazione a ponti e strade nel Lazio meridionale. Frequenti anche i suoi interventi sull'edilizia residenziale di tipo "borghese" della città.
Importante fu anche la sua attività come architetto dell'Annona (1694-1706). In tale veste collaborò con C. Fontana nella realizzazione del nuovo granaio a Termini (1704: stima di un sito dei padri di S. Bernardo alle Terme), per assumere poi la direzione della fase conclusiva (1706). L'incarico poco dopo passò ad A. Specchi.
Fra gli incarichi svolti per istituzioni religiose, il G. fu al servizio delle benedettine di S. Cecilia in Trastevere, sia per le normali attività di perito e tecnico, sia probabilmente come progettista del palazzetto di fondo in piazza Montanara (1699), demolito nel XX secolo, ma noto attraverso foto d'epoca.
L'incarico forse di maggior prestigio gli venne dagli oratoriani di Macerata, ai quali il G. era stato presentato dal tesoriere della Marca G.M. Baldinucci, in relazione al nuovo progetto per la chiesa di S. Filippo Neri.
Si tratta di una vicenda piuttosto complessa che principia con un progetto richiesto e pagato a G.B. Contini nel 1689 (Mariano, pp. 98 s.). Dopo un periodo di incertezza, nel 1697 fu commissionato un nuovo progetto al G. "architetto di buon nome in Roma […] riconosciuto & approvato con lode de' primi, e più famosi professori dell'architettura" (Marciano, 1699, p. 395). Il cantiere fu quindi avviato sulla base delle indicazioni del G., di cui resta anche un rilievo della ristretta area triangolare a disposizione (Ercoli, tav. III), posta alla confluenza di due importanti strade di Macerata. Tuttavia per problemi tecnici, forse legati alla difficoltà di scavare le fondazioni anche al di sotto della strada pubblica come richiesto dalla mole notevole dell'edificio, insorsero alcuni disaccordi con i capimastri e con la stessa committenza, che indussero il G. a lasciare il cantiere (1705). Al suo posto fu richiamato Contini che realizzò l'edificio attuale, ma probabilmente reimpiegò, almeno in parte, le strutture fondali già impostate. Il progetto del G. è noto dalla medaglia di fondazione (Miselli), che lo rivela come una delle prove compositive più interessanti dell'architetto: si trattava di una chiesa a pianta centralizzante - presentata come una Hierusalem nova dedicata a s. Filippo Neri - sormontata da una cupola ottagona raccordata da volute e aperta da edicole come nell'esempio dellaportiano del Gesù. La facciata era introdotta da un pronao tetrastilo, ripreso superiormente da un campo centrale chiuso da un timpano arcuato e spezzato: sono molti i riferimenti ai maestri del barocco, da Pietro da Cortona ai progetti per le chiese in piazza del Popolo di C. Rainaldi, ma con una chiarezza di impostazione che manca negli epigoni del barocco.
Dal 1703 il G. fu anche architetto dei padri camaldolesi, per i quali riammodernò la chiesa romana dei Ss. Leonardo e Romualdo alla Lungara (1704), oggi non più esistente.
A navata unica, presentava la soluzione insolita di una sala in facciata (Fasolo); un rilievo del prospetto mostra un pronao tetrastilo di impianto monumentale, ma alleggerito da capitelli a volute introverse e organicamente collegato alla quinta edilizia.
Meno nota è l'attività come architetto della Confraternita della Madonna del Carmine in Trastevere, per la quale disegnò una macchina processionale nel 1708.
Il G. svolse anche una notevole attività al servizio di alcune famiglie aristocratiche romane. Fu infatti architetto degli Sforza Cesarini, in relazione al patrimonio immobiliare a Roma e nel feudo di Genzano. Intervenne nel palazzo lungo la via dei Banchi Vecchi, su commissione di F. Sforza Cesarini, che intendeva sistemare il fronte principale e gli ambienti affacciati sul giardino (1711-14); ma i lavori eseguiti furono poi riassorbiti nella completa riforma dell'edificio di poco successiva. Progettò (1713) altri interventi nel vasto palazzo di proprietà della famiglia che occupava il sito dell'attuale largo di Torre Argentina, fra cui un nuovo disegno per il prospetto, le riparazioni ai solai, la realizzazione di nuove rimesse. Su suo progetto (1714) fu costruito il casamento d'affitto in via del Sudario, ancor oggi esistente, opera che bene esemplifica, soprattutto nella lunga disadorna facciata, i caratteri dell'architettura residenziale d'affitto tipica del XVIII secolo. Sempre per gli Sforza Cesarini lavorò nel completamento del piano di espansione di Genzano soprintendendo all'urbanizzazione e alla costruzione degli edifici lungo la strada Livia (1707-08) e soprattutto condusse fra il 1715 e il 1723 il cantiere dell'imponente palazzo baronale.
L'edificio è frutto di una profonda trasformazione, in senso barocco, della precedente rocca che dava accesso al centro abitato; l'operazione, iniziata già nel Seicento, fu portata avanti da D.M. Magni (1713-15), che disegnò il portale di accesso, a cui subentrò il G. che, come risulta dalla documentazione (Marianecci; Melaranci, 1995) va considerato come il principale responsabile dell'attuale assetto dell'edificio; alla sua morte, il cantiere fu concluso dal figlio Domenico e da G.D. Navone. A causa delle preesistenze, l'edificio non ha corte e si sviluppa su un basamento a scarpata, con le estremità chiuse da robusti cantonali arrotondati. La grande fabbrica è però ravvivata dalla dialettica fra membrature di travertino e cortina di mattoni arrotati, nonché da ben undici assi di finestre, infittiti alle estremità, tanto che l'edificio costituisce una delle prove più convincenti della revisione settecentesca del modello palaziale romano.
Il G. fu anche architetto dei Santacroce, per i quali avviò negli anni 1723-25 i lavori di completamento del palazzo in piazza di Branca, il cui prospetto verso S. Carlo ai Catinari era rimasto incompiuto dal 1641. Il G. fece in tempo soltanto a iniziare i lavori, che dopo la sua morte furono continuati dal figlio Domenico. Tuttavia, il tratto realizzato, oggi non più visibile dopo le radicali trasformazioni ottocentesche, comprendeva solo due assi di finestre, con un alleggerimento complessivo dell'impostazione già data all'edificio.
Fra le altre commesse, si ricordano: l'attività di perito per i Cenci (1687); un preventivo per lavori in palazzo Riario alla Lungara; con C. Crovara (1697) l'ampliamento del palazzo di N. Grimaldi in via della Pilotta (1699-1700); le mansioni svolte in qualità di architetto della regia casa e della chiesa di S. Antonio dei Portoghesi.
Il G. morì in Roma l'11 nov. 1723.
Fonti e Bibl.: G. Marciano, Memorie historiche della Congregazione dell'Oratorio, IV, Napoli 1699, pp. 391-397; F. Fasolo, Le chiese di Roma nel Settecento. Trastevere, Roma 1948, pp. 168-174; A. Braham - H. Hager, Carlo Fontana. The drawings at Windsor Castle, London 1977, pp. 152 s.; A. Del Bufalo, G.B. Contini e la tradizione del tardomanierismo nell'architettura tra Seicento e Settecento, Roma 1982, pp. 147 s.; F. Marianecci, Palazzo Cesarini in Genzano, tesi di laurea, Università di Roma "La Sapienza", facoltà di architettura, a.a. 1983-84, pp. 58-70; V. Melaranci, Un "casamento" settecentesco a largo Argentina a Roma e il suo architetto L. G., in Alma Roma, XXV (1984), 3-4, pp. 24-30; A. Marino, I "libri delle case" di Roma. Il catasto del monastero di S. Cecilia in Trastevere (1735), Roma 1985, p. 11; M. Moli Frigola, "Pietas Romana". Le processioni, in Roma sancta. La città delle basiliche, a cura di M. Fagiolo - M.L. Madonna, Roma 1985, p. 143; C. Varagnoli, Ricerche sull'opera architettonica di G. e Passalacqua, in Architettura: storia e documenti, 1988, n. 1-2, pp. 21-65; E. Da Gai, I "granari" dell'Annona, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, II (1990), pp. 185-222 passim; T. Manfredi, in In Urbe architectus: modelli, disegni, misure. La professione dell'architetto, Roma 1680-1750 (catal.), a cura di B. Contardi - G. Curcio, Roma 1991, pp. 386 s.; E.H. Ercoli, Giambattista Contini e l'oratorio filippino di Macerata, Macerata 1993, pp. 14-16; S. Santolini, Le case Boccardini a Tor Sanguigna e a strada Paolina, in Roma borghese, a cura di E. Debenedetti, I, Roma 1994, p. 228; M. Costantini, La casa in via della Lungara, un esempio di abitazione borghese di fine Seicento, ibid., p. 257; V. Melaranci, Palazzo Sforza Cesarini a Genzano, in Castelli romani, XXXV (1995), pp. 66-68; C. Varagnoli, S. Croce in Gerusalemme: la basilica restaurata e l'architettura del Settecento romano, Roma 1995, p. 69; F. Mariano, Le chiese filippine nelle Marche, Fiesole 1996, pp. 98-100; F. Pace, Le trasformazioni del palazzo Sforza Cesarini, in Architettura: Storia e documenti, 1991-96, pp. 181 s.; G. Bonaccorso - T. Manfredi, I Virtuosi al Pantheon 1700-1758, Roma 1998, ad indicem; F. Barry, L'insediamento dei fiamminghi a Roma: la chiesa di S. Giuliano fra XVII e XVIII secolo, in Roma, le case, la città, a cura di E. Debenedetti, Roma 1998, p. 138; W. Miselli, Il Papato dal 1669 al 1700 le medaglie, Pavia 2001, p. 312; T. Manfredi, Palazzo Santacroce ai Catinari. Continuità e trasformazione architettonica a Roma tra il XVI e il XIX secolo, in Architettura: processualità e trasformazione. Atti… 1999, a cura di M. Caperna - G. Spagnesi, Roma 2002, p. 364.