DELLA ROCCA, Ludovico
Appartenente a una famiglia originaria della Maremma pisana, da tempo stabilitasi a Pisa, il D. nacque in data imprecisata nella prima metà del secolo XIV da Dino, uno dei capi della fazione dei raspanti. A menzionato per la prima volta nella primavera del 1342, allorché fu tra gli ostaggi pisani chiesti da Luchino Visconti come garanzia dell'alleanza; imprigionato, nel 1343, in seguito al mutato atteggiamento pisano, gli ostaggi furono liberati a pace firmata, nell'agosto 1345.
Alla prematura ed improvvisa morte di Ranieri Novello Della Gherardesca (5 giugno 1347) - dal 1340 signore di Pisa sotto la tutela di Tinuccio Della Rocca, parente del D. - il debole equilibrio interno si incrinò e le due fazioni rivali dei raspanti, guidati dai Della Rocca, e dei bergolini, capeggiati dai Gambacorta e dagli Alliata, "si scopersono", come ebbe a dire un cronista. In conseguenza dei tumulti scoppiati alla vigilia di Natale 1347, i raspanti furono costretti a lasciare la città e si rifugiarono a Volterra. Già prima, però, il D. era stato esiliato a Lucca dopo i disordifli verificatisi in occasione della disputa circa la conferma del cancelliere degli Anziani. Il D. rientrò a Pisa, insieme con il padre Dino, soltanto nel 1355, approfittando dello squilibrio causato nell'assetto politico pisano dalla discesa in Italia di Carlo IV di Lussemburgo.
Mentre nel 1347 il ceto politicamente ed economicamente egemone di Pisa si era schierato in gran parte attorno ai Gambacorta, nel 1355 furono questi a trovarsi isolati, con accanto soltanto pochi altri gruppi familiari ad essi più strettamente legati, e la vittoria della fazione raspante fu resa possibile, oltre che dal sostegno delle forze imperiali, anche da un'intesa con gran parte del ceto dirigente. Certamente vi fu accordo con gli Alliata, che pure, negli anni precedenti, avevano condiviso con i Gambacorta le massime responsabilità di potere.
In un tumultuoso consiglio dell'aprile 1355 furono appunto il D. e Cecco Alliata a proporre, di fronte ai quattrocento "magiori huomeni" di Pisa, la cessione della città in signoria all'imperatore, pur insistendo sulla riaffermazione della dipendenza di Lucca da Pisa. I Gambacorta dovettero associarsi per non rimanere del tutto isolati, ma riuscirono soltanto a rimandare di poco la loro rovina politica. Il D. fu allora designato a far parte dell'ambasceria di quattro persone, incaricata di recarsi a Siena ad offrire la signoria di Pisa a Carlo IV.
Allorché il 20 maggio la situazione politica pisana precipitò e la parola passò alle armi, il D. fu in primissima fila, capeggiando 600 uomini insieme al conte Jacopo Della Gherardesca di Montescudaio, detto il Paffetta, e al comandante delle milizie imperiali: nonostante i loro alleati non fossero riusciti ad impadronirsi del ponte Vecchio, essi riuscirono a passare l'Arno al grido di "viva lo imperatore et muoiano i traditori", e a penetrare vittoriosamente nel quartiere di Chinzica, roccaforte dei Gambacorta, attraverso il ponte della Spina. Il D. fu in seguito tra coloro che trattarono con l'imperatore per definire la nuova situazione politica pisána ed ebbe certamente responsabilità anche nella definizione delle aspre vendette di parte (condanne a morte ed esili) nei confronti dei Gambacorta e dei loro sostenitori.
Negli anni successivi il D. fu certamente uno dei capi dell'oligarchia pisana, anche se la frammentarietà della documentazione cancelleresca e l'assenza di particolari avvenimenti che avessero attirato l'attenzione dei cronisti non permettono di dare molti dettagli. Nel 1359 lo troviamo a Roma, senatore e capitano della città, una prova, questa, del respiro non puramente cittadino della sua personalità e dei legami che era venuto stringendo forse fin dagli anni dell'esilio. Ma oltre ad essere un uomo politico di prestigio, il D. fu anche uomo d'armi. Nel 1361, rientrato a Pisa, venne inviato infatti dal Comune, con un piccolo seguito militare, a Lucca Pietrasanta, Camaiore, Sarzana, Massa Lunense, e in Lunigiana, sia per riaffermare l'autorità politica pisana, sia per trattare un accordo con la compagnia di Pandolfino Malatesta. Poco dopo si recò a Firenze, come vicario del capitano del Popolo, "certis casis requirentibus".
Quest'ambasceria va probabilmente inquadrata nei tentativi allora in corso per la composizione pacifica del vario contenzioso tra le due città; ma nel giugno dell'anno seguente, dopo la conquista di Pietrabona da parte dei Pisani, si venne alla guerra aperta. I Pisani furono sconfitti dai Fiorentini a Cascina ed il conseguente precipitare della situazione politica interna permise a Giovanni Dell'Agnello di farsi proclamare doge della città il 12 ag. 1364, in seguito ad un colpo di mano politico e militare di cui il D. fu uno dei promotori, insieme con Bindaccio Benetti e gli Aiutamicristo. I capi del governo raspante intendevano così puntellare, il loro declinante potere, ma aprirono in realtà un processo politico che portò ad una progressiva affermazione del potere personale e familiare di Giovanni Dell'Agnello e al suo allontanamento da coloro che lo avevano innalzato al dogato.
Così, se ancora nel Consiglio generale dell'8 ag. 1366 il D. aveva parlato a favore dell'accrescimento dei poteri del doge e della nomina a cosignori ed eredi dei due suoi giovani figli, al momento della seconda venuta dell'imperatore Carlo IV nel 1368, quando la situazione politica a Pisa e a Lucca entrò nuovamente in movi.mento, il distacco del D. e dei suoi consorti, come degli altri capi raspanti, apparve evidente. Allorché un momentaneo impedimento del doge, dovuto ad una sua accidentale caduta da un'impalcatura a Lucca, fece precipitare gli avvenimenti, il D. fu tra coloro che presero in mano la situazione a Pisa decretando la fine del dogato. Tuttavia il tentativo di dissociarsi dal passato regime, mediante la confisca dei beni dei Dell'Agnello e il richiamo di gran parte degli esiliati politici, non ebbe successo. Nella notte tra il 3 e il 4 apr. 1369 i Gambacorta, interrompendo un breve periodo di equilibrio politico ispirato da società popolari che avevano un programma di concordia cittadina, arsero le case del D. e di altri capi raspanti già rifugiati a Lucca, ponendo le premesse per la signoria di Piero Gambacorta, destinata a durare oltre un ventennio.
Sono note le esitazioni di Carlo IV di fronte alla nuova situazione politica pisana e si possono dunque comprendere i mutevoli rapporti del D. con l'imperatore. In un primo tempo il suo tentativo di far schierare Carlo IV dalla parte dei raspanti sconfitti ebbe soltanto il risultato che egli, insieme con molti altri esponenti di quella fazione, fu dall'imperatore arrestato e rinchiuso nel castello di Lucca, da allora chiamato la "prigione de' Pisani". Ma dopo che i raspanti ebbero riscattato con abbondante quantità di fiorini la propria libertà, Carlo IV si dimostrò più propenso a sostenere i loro tentativi di rientrare in, Pisa con le armi. Il 6 apr. 1369, così, il D., che si era frattanto riaccostato ai Dell'Agnello, insieme con i suoi consorti Piero e Jacopo e a Gherardo Dell'Agnello, cercò di entrare in città dalla porta del Leone alla testa di fuorusciti pisani e di milizie imperiali. Il tentativo fallì, anche se la spedizione continuò nei giorni successivi, con una serie di saccheggi e devastazioni nella bassa Valdiserchio e con una puntata fino a Barbaricina. Nel dicembre del 1369 troviamo il D. a Milano, presso Bernabò Visconti, insieme con Gherardo Dell'Agnello, per preparare ancora una volta la riconquista di Pisa, nel quadro dei tentativi viscontei di espansione in chiave antifiorentina in Toscana. Nel maggio 1370 infatti il D. capeggiò una spedizione militare contro Pisa, stabilendo la propria base in quella. Maremma dove la famiglia aveva ancora, probabilmente, possessi e fedeli.
Non sappiamo se abbia partecipato ancora ad altri tentativi organizzati dai fuorusciti pisani, né conosciamo la data della sua morte. La famiglia comunque rimase a Milano, presso la corte viscontea, accanto ai Dell'Agnello. I Della Rocca potranno rientrare nel gioco della politica pisana soltanto nel 1393, quando il colpo di Stato di Jacopo d'Appiano pose fine sanguinosamente alla signoria dei Gambacorta. Ma tra i vari consorti che le fonti ricordano in quest'occasione, il nome del D. non compare più.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Pisa, Comune Div. A, regg. 31 e 134; Le cronache di Giovanni Sercambi lucchese, a cura di S. Bongi, I, Roma 1892, in Fonti per la storia d'Italia, XIX, pp. 101, 151-58; R. Sardo, Cronaca di Pisa, a cura di O. Banti, Roma 1963, pp. 121 s., 127-33, 159-63, 174-84; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medioevo, Roma 1935, p. 127; G. Rossi Sabatini, Pisa al tempo dei Donoratico (1316-1347), Firenze 1938, pp. 212-35; E. Dupré Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Roma-Bologna 1952, p. 661; E. Cristiani, Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla signoria dei Donoratico, Napoli 1962, pp. 429 s.; M. Tangheroni, Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel Trecento, Pisa 1973, pp. 40, 48.